1. I dati del Nuovo Testamento
a. Una parola dell’apostolo Paolo
Nella Lettera ai Galati (4,22-26) san Paolo raffronta la Gerusalemme storica, col suo asservimento alla legge e il suo particolarismo etnico, alla «Gerusalemme dall’alto», cioè alla Gerusalemme messianica, libera e universale, di cui aveva parlato il profeta Isaia (cf Is 2,2). In questa «Gerusalemme dall’alto» egli vede, contrapposto all’«Israele secondo la carne», l’“Israele di Dio”, cioè la Chiesa; e di essa dice: «È la nostra madre» (Gal 4,26). Questa piccola frase è il seme fecondo di un’idea che andrà successivamente sviluppandosi nella coscienza della “nazione santa”.
In questo passo, il mondo invisibile ed eterno è visto non come remoto e separato dalla vicenda ecclesiale che si svolge nel tempo, ma come qualcosa di totalizzante che vive sia nel Regno sia nella storia, tanto da avere nei confronti di ogni cristiano una funzione “materna”: proprio di questa realtà cosmica onnicomprensiva san Paolo ci ha detto che è “la nostra madre”.
b. L’insegnamento dell’Apocalisse
Il tema della maternità ecclesiale è svolto con dovizia di particolari nel capitolo 12 dell’Apocalisse, che descrive la Chiesa nella figura della «Nuova Eva», alle prese sì con il «serpente» ma anche splendida di gloria cosmica; e, come l’antica, nella sua funzione di «madre dei viventi». La Chiesa – secondo questa pagina – vive simultaneamente in una pluralità di situazioni: è «in cielo», «vestita di sole», coronata di stelle (cf Ap 12,1) ed è afflitta dalle doglie del parto (cf Ap 12,2); è sottoposta alle insidie del demonio (cf Ap 12,4-13) ed è al sicuro nel rifugio del deserto (cf Ap 12,6-14). Frutto della sua fecondità (la sua «discendenza») sono «quelli che osservano i comandamenti di Dio e sono in possesso della testimonianza di Gesù» (Ap 12,17). Cioè tutti i cristiani.
2. Il linguaggio dei Padri della Chiesa
Gli antichi scrittori maturano e sviluppano questo concetto, sempre alla luce del parallelismo, anzi dell’identificazione «tipica», tra Eva, la prima donna (la “madre di tutti i viventi”), e la Chiesa. Nel loro pensiero il raffronto comporta due preziose persuasioni: in primo luogo, l’affermazione della totale origine della Chiesa da Cristo (come Eva da Adamo); in secondo luogo, l’affermazione di una compartecipazione della Chiesa all’azione salvatrice e santificatrice del Figlio di Dio, che è espressa appunto dall’idea di «maternità» (come per l’antica «madre di tutti i viventi» cf Gn 3,20). I Padri ritengono che proprio la confluenza di questi due dati manifesti l’indole del mistero ecclesiale e l’originalità del disegno divino.
Non ci meravigliamo allora di vedere che l’assegnazione della prerogativa materna alla Chiesa diventi un uso comune non solo negli scritti omiletici dei singoli, ma anche nella liturgia e nei documenti del Magistero (cf ad esempio il Concilio Lateranense IV, Denzinger 433,436 e il Concilio Lionese II, Denzinger 460).
3. Approfondimento teologico
Come si vede, siamo qui di fronte a un’immagine che, come ogni immagine, abbisogna di una concettualizzazione accurata e inequivocabile. Proponiamo, a questo riguardo, tre livelli di comprensione.
a. Prima comprensione
Il Concilio Vaticano II ci offre un primo approfondimento, quando parla di Maria come del «tipo» della Chiesa; e dice che, a somiglianza della Vergine, la Chiesa «diventa anch’essa madre; infatti con la predicazione e col battesimo genera a vita nuova e immortale i figli concepiti dallo Spirito Santo e nati da Dio» (Lumen gentium 64). Gli uomini diventano figli di Dio in virtù della divina parola accolta nella fede e in virtù del rito battesimale. Poiché è la Chiesa ad annunciare e a battezzare, si istituisce un rapporto d’origine dell’uomo rigenerato dalla Chiesa rigenerante. Questa dottrina implica che la Chiesa non sia solo «serva» e «custode» della parola di Dio (come sembrerebbe implicito in qualche analisi teologica dei nostri tempi), ma che ne sia compenetrata, sicché la parola divina diventa qualcosa di veramente anche suo: e suppone altresì che si dia una vera azione della Chiesa nei sacramenti e non un rapporto di pura esteriore occasionalità.
b. Seconda comprensione
In secondo luogo, la “maternità” della Chiesa suppone il convincimento che nessuno si mette in contatto con l’unico Salvatore e col Padre senza la mediazione di una realtà di comunione tra gli uomini e in Cristo che è preesistente a ogni singolo uomo.
L’annuncio salvifico, la Sacra Scrittura, la vita di fede, di speranza, di carità, non arrivano a me se non in quanto sono in antecedenza posseduti dalla Chiesa. Cristo stesso è per me vivo e operante – e non soltanto un defunto personaggio della storia, conoscibile solo attraverso indagini libresche e ricerche erudite – in quanto è presente e attivo nella realtà della comunione ecclesiale; una realtà che mi precede, alla quale io sono invitato ad aprirmi perché anche in me si accenda la vita nuova.
Nessun uomo trova la norma della propria fede e del proprio essere cristiano dentro di sé, ma nella fede e nella vitalità della Chiesa. Questo vale per tutti, dal Papa al più oscuro dei credenti: nessuno è iniziatore del cristianesimo, ma ognuno è «erede»; «erede » perché «figlio», generato dalla ricchezza spirituale della Chiesa: chiamare la Chiesa “madre” significa tutto questo.
c. Estrema comprensione
Per una esauriente comprensione di questo dato della Rivelazione dobbiamo ripartire dal mistero della redenzione e dalla radicalità della sua efficacia. Secondo l’imprevedibile e trascendente disegno del Padre, Gesù riscatta e rinnova l’uomo strappandolo realmente al dominio del male, purificandolo e congiungendolo a sé. Ma tale rinnovazione è così decisiva e integrale che fa di ogni uomo – in Cristo, con Cristo e subordinatamente a Cristo – addirittura il coprincipio della stessa azione salvifica: siamo così redenti che diventiamo, a misura che siamo autenticamente redenti, «corredentori». Nessuno, che sia così rinnovato, è estraneo all’opera di rinnovamento dei suoi fratelli e dell’intero universo.
È una legge universale, che regola tutta l’esistenza cristiana. La mia fede è concretamente sorretta dalla fede dei credenti, e la sorregge. La mia speranza e la mia carità sono alimentate dalla speranza e dalla carità di tutto il popolo di Dio, e le alimentano. La mia purificazione si avvale della sofferenza e della penitenza degli altri, così come «io completo nella mia carne quello che manca ai patimenti di Cristo, a favore del suo corpo che è la Chiesa» (Col 1,24).
La Chiesa, «madre dei nuovi viventi», originando tutta dal «Nuovo Adamo», tutta (in tutte le sue membra) si congiunge a lui nell’opera di trasmissione della vita nuova. lo dunque ricevo il mio essere nuovo da Cristo: ma da Cristo cui sono vitalmente uniti (e sono soprannaturalmente attivi nei miei confronti) coloro che mi hanno preceduto nella rinascita. E anch’io, a mia volta, in proporzione della verità della mia interiore trasformazione, collaboro alla sovrumana trasfigurazione degli altri. Evangelizzato, devo evangelizzare; salvato, devo salvare; santificato, devo santificare; anch’io, come si vede, in quanto appartengo alle membra vive della Chiesa, partecipo alla sua prerogativa materna.
IL TIMONE N. 97 – ANNO XII – Novembre 2010 – pag. 48 – 49
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