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11.12.2024

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La Confessione nella storia della Chiesa
31 Gennaio 2014

La Confessione nella storia della Chiesa

 

 

Lo sviluppo del sacramento della Confessione nelle diverse epoche della storia della Chiesa. Il caso irlandese e quello della comunità cristiana di Cartagine

La recente iscrizione nel catalogo dei beati di John Henry Newman ci può aiutare a comprendere il concetto di evoluzione omogenea del dogma che è stata la sua grande scoperta. I protestanti accusavano la Chiesa cattolica di aver inventato cinque su sette sacramenti, considerati privi di un chiaro fondamento nella Sacra Scrittura. Perciò solamente Battesimo ed Eucaristia furono riconosciuti come veri sacramenti. La pretesa di tornare alla Chiesa delle origini, quando non esisteva una prassi liturgica relativa a ogni sacramento ben testimoniata, somiglia alla pretesa in età adulta di accettare solo ciò che si era fatto fino all’adolescenza. Evoluzione omogenea significa che la Chiesa, con il passare del tempo, ha incrementato e regolato una prassi sacramentale presente fin dalle origini, ma spesso bisognosa di riforma a causa dei mutamenti accaduti nella sensibilità morale dei fedeli.

Durante i primi secoli
Fino all’editto di Costantino del 313, che riconosceva al cristianesimo la condizione di religio licita, l’ingresso nella Chiesa avveniva mediante il Battesimo ricevuto da adulti, definito anche prima paenitentia, comportante la remissione di tutte le colpe precedenti. Il Battesimo appariva un impegno tanto forte che molti rimanevano catecumeni per gran parte della vita, taluni fino a quando erano in pericolo di vita e che perciò ricevevano un Battesimo d’urgenza: erano chiamati clinici, un termine contenente una certa dose di riprovazione.
Tertulliano ricorda anche una secunda paenitentia, la riconciliazione possibile una sola volta dopo il Battesimo. Fino al VI secolo troviamo notizie solamente della penitenza pubblica, inflitta a seguito di colpe notorie che avevano scandalizzato la comunità: per esempio l’incesto bollato da san Paolo nelle Lettere ai Corinzi; l’eccidio di Tessalonica compiuto su ordine di Teodosio e riprovato da sant’Ambrogio; la bigamia rimproverata a Lotario che tentava di tenersi per moglie Valdrada ecc. Di fronte a una colpa notoria, la Chiesa locale denunciava il reo e lo escludeva dalla comunione, l’unica pena che essa poteva infliggere. Più complessa diveniva la questione nel regime di cristianità, quando la legge civile aveva lo stesso valore della legge canonica e perciò la condanna della Chiesa equivaleva a una condanna civile: per esempio, la scomunica di Enrico IV che liberava i sudditi dal giuramento di fedeltà nei suoi confronti.
Abbiamo qualche notizia in più per la situazione del IV secolo per merito di sant’Agostino, che in due sermoni parla dell’utilità della penitenza. La prima forma di penitenza è il Battesimo. Poi c’è la supplica prima di salire sull’altare e soprattutto quando si recita il Padre Nostro. Infine, egli cita la penitenza per le colpe gravi, già accennata: se il fedele voleva tornare in comunione con la Chiesa, entrava nell’ordine dei penitenti per il tempo giudicato necessario al suo ravvedimento.
La storia della Chiesa ci informa che la comunità di Cartagine era famosa per il suo rigorismo: nella questio ne dei lapsi: coloro che non reggevano la prova del martirio e sacrificavano agli idoli, ma poi cercavano di rientrare nella comunità cristiana, erano ritenuti dai vescovi di Cartagine colpevoli di apostasia imperdonabile. Si trovarono di fronte il papa san Cornelio martire (251-253) e il grande vescovo di Cartagine Cipriano, martire e padre della Chiesa (210-258), in qualche misura discepolo di Tertulliano. Cipriano dette un grande esempio di obbedienza quando accettò la soluzione della Chiesa di Roma: dopo un periodo di congrua penitenza, anche i lapsi dovevano esser perdonati. In quella occasione fu coniata la sentenza Roma locuta, causa finita.

L’esempio irlandese
Come è noto, la Chiesa irlandese delle origini presenta molte singolarità. Poiché non esistevano città nell’isola verde, ma solamente clan ubicati nei villaggi di campagna, il capo clan fungeva da unica autorità civile e religiosa. Il monastero locale era l’unico centro sociale e aveva per abate il capo clan che esercitava la giurisdizione propria dei vescovi, senza aver ricevuto l’Ordine sacro.
Tra i monaci c’era il vescovo locale, ma col solo potere di ordine. Il monachesimo celtico non riconosceva il concetto di giurisdizione del vescovo sopra un certo territorio chiamato diocesi. I monaci irlandesi, perciò, andavano dove l’ispirazione li conduceva. Nei monasteri irlandesi si sviluppò la prassi della confessione auricolare segreta con il vescovo, non con l’abate che era un laico e che poteva dare ordini, ma sempre riguardanti il foro esterno, non la coscienza. La Confessione diveniva così un potente mezzo per la direzione spirituale.
Nell’ambiente irlandese fiorirono i Libri penitenziali, ampiamente criticati in seguito perché contenevano una serie di colpe con la pena da infliggere, come se si trattasse di multe. Era un modo per stabilire una certa uniformità nel trattamento dei penitenti, ma era soprattutto il tentativo di imitare il diritto di quel tempo che cercava di evitare il flagello della faida, la vendetta che colpiva un membro qualunque del clan avversario: perciò la pena trasformata in “multa” liberava il reo e il suo clan da conseguenze spiacevoli. Naturalmente alla nostra sensibilità quei sistemi appaiono grossolani, ma sono importanti per ricordare che la penitenza è un tribunale in cui occorre confessare le colpe con sincerità assoluta, ma sapendo che seguirà l’assoluzione più completa e la riconciliazione con Dio, a differenza dei tribunali di questo mondo che, dopo la confessione, infliggono una pena immancabile.

Verso il Concilio di Trento
Con il passare del tempo la prassi dell’assoluzione differita nel tempo, e quindi l’ordine dei penitenti, scomparve: l’assoluzione era impartita subito dopo la confessione con l’obbligo di eseguire la penitenza inflitta. Nei tempi forti dell’anno liturgico, specialmente in quaresima, l’imposizione delle mani del vescovo sui penitenti il giovedì santo segnava la fine ufficiale del tempo di penitenza. Alla fine dell’XI secolo, papi e vescovi impartivano l’assoluzione generale collettiva a tutti coloro che partivano per la crociata in terra santa. Nel Concilio Lateranense IV, del 1215, fu stabilita l’importante legge ecclesiastica che i fedeli dovessero confessarsi almeno una volta l’anno e comunicarsi
almeno a Pasqua, un precetto della Chiesa che non è stato abrogato, anche se molti non ne tengono conto.
Il Concilio di Trento (1545-1563) ribadì il canone appena ricordato, cercando di favorire i penitenti perché nelle feste maggiori e nel corso di pellegrinaggi trovassero ampia possibilità di accedere al tribunale della penitenza. Molti papi e vescovi davano l’esempio confessandosi tutti i giorni; alcuni santi divennero martiri del confessionale, in particolare il Curato d’Ars e Padre Pio. Gesuiti e Cappuccini divennero confessori nelle case reali, rendendo popolare la Confessione nel tempo di Pasqua. Purtroppo, dopo il Concilio Vaticano II, la rarefazione dei sacerdoti, che spesso sono soli in una parrocchia e non possono trovarsi nello stesso tempo nel confessionale e sull’altare, ha fatto cadere la pratica della confessione frequente, che rimane il mezzo principale della direzione spirituale dei fedeli.

 

 

 

 

Dossier: Il Sacramento della Penitenza

 

IL TIMONE N. 97 – ANNO XII – Novembre 2010 – pag. 44 – 45

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