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12.12.2024

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La conversione di un condannato a morte
31 Gennaio 2014

La conversione di un condannato a morte

 

 

La straordinaria storia di Jacques Fesch, una vita dissoluta e un omicidio. Poi l’incontro con Cristo, che lo conduce sereno all’appuntamento con la ghigliottina.

 

È norma le pensare al carcere come ad un’esperienza che metta fine alla vita in senso lato, un’esperienza di “morte” sociale e personale. Ma anche da lì, dal punto più basso della comunità umana, si può rinascere alla vita e alla fede. Molte sono le storie che potremmo citare, dal buon ladrone a colui che uccise la piccola Maria Goretti, o a quel Pranzini convertito in extremis grazie a santa Teresina.
Qui parleremo di Jacques Fesch, un giovane di 27 anni ghigliottinato il 1 ottobre 1957 a Parigi, per omicidio.
Jacques nasce il 6 aprile 1930 (domenica di Passione) da genitori belgi a Saint-Germain-en-Laye vicino a Parigi. Il padre, ben affermato nel lavoro, era ateo, cinico, autoritario e disinteressato al figlio. Il quale, a causa di ciò, perde ogni entusiasmo, fiducia e la fede a dispetto della buona educazione religiosa ricevuta. Separatisi i suoi, Jacques va a vivere con la madre. Svogliato nello studio, gaudente, violento, incompreso dai genitori, senza carattere, frequenta cattive compagnie. Da militare, nel 1951, si sposa civilmente con l’ebrea Pierrette Polack, da cui ha Véronique.
Ben presto abbandona moglie e figlia. Tenta invano una nuova attività. Sfiduciato, decide di procurarsi del denaro rapinando un amico del padre, per partire per la Polinesia. Fallito il colpo, essendo fra l’altro miope, perde gli occhiali e spara tenendo la mano nella tasca. Senza volerlo, uccide un poliziotto. Arrestato, finisce in un carcere di rigore. Ha solo 24 anni. Dopo otto mesi di isolamento in carcere, salvo le visite (una a settimana, per mezz’ora) del cappellano, del suo avvocato – fervente cattolico –, dei familiari, Jacques afferma: «non avevo più la certezza della
inesistenza di Dio, diventavo ricettivo senza tuttavia possedere la fede». Molto lo aiutano le lettere di un suo amico, futuro sacerdote, oltre la lettura della Bibbia e della vita dei santi (sant’Agostino, santa Teresina e altri).
In una notte insonne, la conversione: «Poi (…) mi ha percosso un intenso dolore dell’animo che mi ha fatto molto soffrire; e bruscamente in poche ore, ho posseduto la Fede, una certezza assoluta. Ho creduto, e non capivo più come facevo a non credere. La grazia mi ha visitato, una grande gioia s’è impossessata di me e soprattutto una grande pace». Il ritorno alla fede e alla Comunione, lo porta a dire: «Ora ho veramente la certezza di cominciare a vivere per la prima volta. (…) Prima ero un morto vivente».
Quale ascesa spirituale, la sua. Dalla convinzione dell’inevitabilità dell’accaduto, la continua lotta tra l’uomo vecchio e il nuovo, la preghiera quotidiana anche per la conversione dei suoi cari, le notti oscure alternate a momenti di forte gioia e conforto, la purificazione, fino all’abbandono fiducioso al Padre. Toccanti le parole rivolte all’amico religioso: «Non sono io che amo Gesù, è Gesù che mi ama attraverso me stesso» e alla suocera: «Non angosciarti troppo nel tuo dolore, riconducilo in Dio e non soffrire che per una cosa sola: le offese fatte a Dio». E ancora: «Mi dolgo e voglio espiare il male che ho fatto». È confortante scrutare questo percorso, segnato dal dito di Dio, che portò Jacques a vedere il suo passato non più come qualcosa di irrimediabilmente perduto, perché finiva nell’amore di Gesù.
Il 6 aprile Fesch ha la certezza che l’iniziale speranza di uscire dal carcere, via via scemata, è svanita. Capisce che la sua condanna deve costituire un esempio per l’opinione pubblica e diventa un merito davanti a Dio (1 Pt 2,19). «Tutto è chiaro e
limpido, e io ho la certezza che ciò che sta avvenendo proviene dalla Misericordia divina… Questi due mesi che mi sono stati dati non lo sono stati se non al fine di fare della mia morte un’offerta degna d’essere ricevuta all’altare dell’Altissimo, un’opera redentrice utile a tutti quelli che hanno qualcosa da farsi perdonare».
Il giorno prima sposa religiosamente per procura sua moglie ebrea, che riceve i sacramenti. Muore, gioioso e in una pace incredibile, baciando il crocifisso proprio nel 60° della morte di s. Teresina. Jacques ne è sicuro: sarebbe andato diretto in Paradiso, proprio come il “buon ladrone”.
Il cardinale Lustiger ha avviato la causa di beatificazione di questo straordinario galeotto.

Bibiografia

A.M. Lemonnier, Luce sul patibolo, Elle Di Ci, 1986.
A.M. Lemonnier, Cella 18, Elle Di Ci, 1981.
R. Francavilla, Jacques Fesch. L’avventura della fede di un condannato a morte, Paoline, 2006.

Dossier: Fatti di vita

IL TIMONE – N.64 – ANNO IX – Giugno 2007 pag. 46

 

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