Ci preoccupiamo moltissimo per i nostri figli, a volte anche per motivi futili. Ma davanti a tutto dovremmo mettere il loro rapporto con Dio. Per loro dobbiamo desiderare la vita eterna, dunque che conoscano e amino Dio. Ecco qualche suggerimento
Da quando sono mamma la mia attività principale, il mio core business, la mia ragione sociale è diventata preoccuparmi. Svolgo la mia attività con metodica dedizione, con precisione certosina. Non perdo occasione per preoccuparmi, per ciascuno dei quattro figli, per tutti i possibili pericoli, veri o immaginari, ai quali sono esposti. A seconda della loro età, poi, le mie preoccupazioni si specializzano in uno o in un altro settore. Quando erano piccoli le insidie si nascondevano in un rigurgito latteo, in un osso di prugna, in una pentola bollente. Poi si sono annidate in uno scivolo troppo alto o in una collanina che poteva impigliarsi. Oggi però ho nuovo e più ricco materiale ad alimentare le mie ansie materne. Non ci sono solo le insidie alla salute del corpo: studierà abbastanza? Quanto può uscire (il grande)? Quanto contatto con la tecnologia (tutti)? Come dosare severità e amore? Regole ed eccezioni? Coccole e stimoli a migliorarsi? Avrò sbagliato moltissimo o solo molto?
Insomma, è difficile per una mamma rilassarsi, visto che la parte più preziosa del suo cuore si aggira da sola per il mondo, fuori del suo corpo, e lei non solo non può, ma anche non deve imprigionarla, quella parte del suo cuore, nel suo abbraccio soffocante. Per fortuna ci sono i padri, che salvano i figli dalla stretta, e mantengono la lucidità quando le mamme vanno in ansia.
La preoccupazione più importante
C’è però una cosa di cui forse alcuni di noi dovrebbero preoccuparsi di più, non di meno. Oltre che dell’altalena che minaccia di colpire il bambino, insieme ai detersivi scambiati per limonata, la domanda delle domande è: come trasmettere la fede ai nostri figli? Perché prima ancora della ricerca della formula dell’educazione perfetta (che, come è noto, non esiste, e per quanto mi riguarda sono lontana anche da quella quasi perfetta), i genitori devono chiedersi: che tipo di padre e madre vogliamo essere? Cosa desideriamo, anzi, come dice la formula battesimale, cosa chiediamo a Dio per i nostri figli?
Vogliamo che vincano il Nobel? L’Oscar? Il Pulitzer? L’oro olimpico? Che siano belli? Che siano ricchi? Di successo? Colti? Intelligenti? Genericamente buoni? Simpatici? Noi per i nostri figli chiediamo la vita eterna, e quindi che conoscano e amino Dio. Questo innanzitutto è utile a mettere le priorità, e a saper tralasciare alcune cose (pare che l’occultamento di spinaci dentro ai tovaglioli non sia ostativo all’ingresso nel regno dei cieli) a vantaggio di altre.
Stabilito che la priorità è trasmettere la fede in Dio, ci si può cominciare a chiedere come fare.
Non oberarli di attività
Tanto per cominciare, nel nostro caso per esempio quando abbiamo capito che le troppe attività pomeridiane toglievano serenità ai bambini, soprattutto ai più piccoli, mio marito ed io abbiamo tagliato. Si fanno pochissime cose, e si lascia tanto tempo per pensare, giocare liberamente, riposare. La vita interiore infatti ha bisogno di tempi, e non può svilupparsi in una griglia di impegni frenetici. Per lo stesso motivo non abbiamo voluto la scuola a tempo pieno, nonostante questo comporti qualche piccolo sforzo organizzativo (niente in confronto al piacere di stare insieme).
Affidarli a educatori validi e ortodossi
Una volta procurati spazi e tempi, si può entrare nel cuore del problema: come parlare di Dio ai bambini. Auguro a tutti di essere radicati in un buon tessuto parrocchiale, in una comunità di credenti che funzioni, con buoni sacerdoti che facciano la dottrina come si deve. Sappiamo che non sempre è così, anche se è auspicabile stare nella propria parrocchia, ed eventualmente essere anche il lievito che la aiuti a crescere. Quando la mancanza di sintonia è proprio totale (sappiamo che purtroppo ci sono parroci anche lontani dal magistero), ci si può magari appoggiare a un’altra realtà ecclesiastica, con il proposito onesto e fermo di riportare in parrocchia il bene ricevuto altrove, sennò finisce che le persone e le energie migliori vengono assorbite dai movimenti, e non lievitano più. Questo comunque è un altro tema.
Genitori: siamo d’esempio
Indipendentemente dalla qualità dei pastori, c’è senza dubbio un lavoro che nessuno può fare al posto dei genitori. Il catechismo è di solito un’ora a settimana, mentre quello che possiamo fare noi è ogni giorno, tante e tante ore. E possiamo parlare non solo con le parole, ma anche e soprattutto con il nostro modo di essere, dal quale, è risaputo, i bambini imparano molto di più: è con gli occhi, molto più che con le orecchie, che ci ascoltano i figli.
Per questo io credo che il primo lavoro da fare sia su noi stessi. Radicare in Cristo la nostra fede, e rafforzarla. Essere persone serie, credibili. Non possiamo dare ciò che noi per primi non possediamo. Quando un bambino vede che per la mamma e il babbo il rapporto con Dio viene prima di ogni altra cosa; quando vede che i genitori sacrificano qualcosa di importante per alimentare la propria fede (il riposo, lo shopping, lo sport, per pregare o magari per andare a una messa feriale); quando un bambino vede che trattiamo Dio con serietà, non come uno spauracchio, né come una slot machine a cui chiedere favori; quando vede i genitori sereni e fiduciosi, abbandonati al Padre, beh, quello è un bambino fortunato, che ha delle certezze e che, nonostante i difetti e i limiti delle persone che ha vicine, sa da che parte voltare lo sguardo.
Parlare di Dio con serietà
È fondamentale parlare con serietà di Dio ai bambini. Lo scrivo per la terza volta, perché mi sembra la qualità che più manca ai noi contemporanei. Non si può dipingere Gesù come un tenero bambolotto biondo, o come un succedaneo di Babbo Natale. La storia della salvezza è una storia seria, fatta anche di sangue, di un corpo immolato per noi, di un Padre tenerissimo, che però non c’entra niente con la magia, con l’emozione, con le lucine, gli angioletti svolazzanti. I bambini crescono, e anche velocemente, e ben presto rifiutano quel tipo di messaggi, con il rischio che rifiutino insieme anche Dio, se quella è stata l’unica immagine loro proposta. Si sentiranno presi in giro, la loro intelligenza sottovalutata.
Un’altra cosa fondamentale è rispondere sempre seriamente alle domande, con impegno, impiegando tempo ed energie (tralasciamo il fatto che le domande più importanti a me vengono rivolte da sotto le coperte, la sera, quando la luce è spenta e l’orario di limite massimo posto dal padre drammaticamente superato, e bisogna parlare sottovoce per non incorrere in una ramanzina: si può sempre rimandare al giorno dopo, ma non bisogna assolutamente dimenticare di rispondere). Se non si conosce la risposta, si può anche dire. C’è il Catechismo della Chiesa Cattolica sempre a nostra disposizione (ce lo avete, vero, in casa, come ha raccomandato il Papa?). Ci sono tanti bravi sacerdoti a cui sottoporre le questioni a cui non dovessimo saper rispondere (per esempio, l’Ufficio Catechistico della Diocesi di Roma sta mettendo su youtube ogni settimana un video in cui un padre dell’ordine dei Filippini, Maurizio Botta, risponde alle domande dei bambini che io, come mamma, gli sottopongo).
Insomma, essere veri e profondi credenti, e sempre ricordare che il vero Padre e la vera Madre dei nostri figli non siamo noi.
DA NON PERDERE
A gennaio è nato Junior T, “il Timone dei ragazzi”. Per dar loro una mano a consolidare la fede, per innaffiare quel seme che genitori, catechisti, educatori hanno già impiantato nel loro animo. Storie, notizie, fumetti educativi, vita illustrata dei santi, curiosità, Bibbia e Vangelo a fumetti. Ma anche giochi, barzellette, indovinelli, in un mensile agile, gradevole, coloratissimo, facile da leggere e soprattutto utile. Utile a far crescer la fede cattolica nei nostri ragazzi. Presentatelo al vostro parroco, al viceparroco – che solitamente si prende cura dell’oratorio – ai catechisti e agli educatori, invitandoli a chiedercene copie saggio (omaggio!) per i loro ragazzi.
IL TIMONE N. 120 – ANNO XV – Febbraio 2013 – pag. 12 – 13
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