La lunga storia della prima evangelizzazione dell’Europa passa anche attraverso Teodolinda, principessa di Baviera. Sposa di un re longobardo, madre e regina, avvicinò il suo popolo alla Chiesa di Roma
Il matrimonio
Teodolinda «erat satis eleganti forma » (era bellissima) e aveva suscitato l’approvazione ammirata del suo futuro sposo, che ancora non si era svelato; mentre ella offriva la rituale coppa di vino, egli si era addirittura spinto a sfiorarle la mano. L’ardito, sfrontato gesto del re longobardo, che era «nel fiore della giovinezza, di alta statura, di lunghi e biondissimi capelli, molto bello d’aspetto » aveva suscitato il casto rossore della fanciulla. Si sarebbero sposati poco dopo, alle idi di maggio di un anno che – nel nostro computo – potrebbe essere il 589, al campo di Sardi, presso Verona.
Così Paolo Diacono, a due secoli di distanza dai fatti narrati, nei poetici capitoli dedicati alla coppia regale dell’Historia Langobardorum (Storia dei longobardi), raccoglie e ripropone i racconti tradizionali derivati dagli ambienti di corte, il gruppo di leggende che, in tempi relativamente brevi, si formò attorno alla figura di Teodolinda, a riprova dell’eccezionalità di questa figura femminile.
Difficile oggi distinguere tra i materiali leggendari e la veridicità dei fatti riportati. Certamente il matrimonio tra Autari e la principessa bavara fu anche l’esito di un calcolo politico del giovane re, il quale, dopo un decennio di anarchia, aveva faticosamente ricondotto all’obbedienza i riottosi duchi e aveva ricostituito la fragile unità del regno. Egli, cercando una solida alleanza con i Bavari, intendeva difendere i propri confini dalle aggressioni degli altri popoli.
La figlia di Garibald e di Wandrada, inoltre, discendeva dall’antica stirpe regale dei Longobardi, i Lethingi, e costituiva per il giovane re una legittimazione della propria autorità. Ma non fu sufficiente a salvare Autari da una morte imprevista, avvenuta qualche tempo dopo in circostanze dubbie e forse esito di una congiura di palazzo.
Paolo Diacono, nel riprendere la notizia, si preoccupa di porre in evidenza soprattutto la rilevanza assunta in quel momento da Teodolinda presso il popolo di cui era divenuta regina. «Quia satis placebat Langobardis» (perché piaceva molto ai Longobardi) le fu concesso di restare al suo posto e di scegliere un nuovo marito: la decisione cadde su Agilulfo, duca di Torino.
Vedova e ancora regina
Ancora una volta le parole dell’Historia disegnano una vicenda aggraziata e gentile, ma nascondono probabilmente una sorta di colpo di Stato; tuttavia se Teodolinda fu costretta ad accettare il nuovo marito, seppe da questo momento esprimere un sorprendente spirito d’iniziativa.
Di fede cattolica ma scismatica (aderiva allo scisma dei Tre capitoli, che in quel momento connotava fortemente le relazioni tra le Chiese dell’Occidente), decise di allontanarsi da Pavia, la città regia dei Longobardi, in quel tempo ancora pagani o professanti l’eresia ariana. Teodolinda si trasferì a Monza, un modesto vicus che predilesse come propria residenza e dove, sull’esempio di Teodorico, fece costruire un palazzo e un oratorio dedicato a san Giovanni Battista, decorato «multis ornamentis auri argentique» e dotato di una ricca rendita. Da questa sede diede l’avvio a un progressivo avvicinamento alla Chiesa di Roma, indicando una via di pacifica convivenza tra i due popoli. La presenza a corte dell’abate Secondo di Non, suo ascoltato consigliere spirituale e determinato difensore dello scisma tricapitolino, non le aveva impedito infatti una cauta apertura al papa san Gregorio Magno (540 ca-604); in un secondo momento, il consiglio e l’influenza del monaco irlandese san Colombano (542 ca- 615), deciso sostenitore dell’autorità del vescovo di Roma, avevano certamente favorito un dialogo tra Longobardi e Romani, come testimoniano i doni ricevuti dal papa (tra i quali una copia dei Dialogi e una crocereliquiario), che ancora oggi formano il nucleo originario del Tesoro della basilica. Teodolinda, come altre regine germaniche, seppe inoltre farsi intermediaria e consigliera del marito Agilulfo, che ancora aderiva all’arianesimo: il loro figlio, Adaloaldo, fu battezzato il giorno di Pasqua, presso l’oratorio di Monza, nella fede cattolica. Se erano terminati i tempi della prima invasione, nella quale i guerrieri germanici non avevano risparmiato né i beni né la vita delle popolazioni italiche, persisteva lo slancio di conquista verso i territori ancora sottoposti al dominio di Bisanzio. Agilulfo, che aveva condotto ripetutamente campagne militari nelle campagne del Lazio, nell’anno 610 accettò nuovamente di rinunciare a un devastante assedio a Roma e, poco dopo, pervenne a un duraturo armistizio con Bisanzio. I due sovrani longobardi favorirono inoltre la fondazione di un nuovo monastero, a opera di Colombano. Il cenobio sorse a Bobbio, sull’Appennino piacentino, quasi simbolico anello di congiunzione tra la “Langobardia” e la Liguria, terra bizantina, tra il mondo longobardo – ancora pagano e ariano – e quello latino, cattolico.
La vita di Teodolinda non fu certamente facile. Se nella Historia prevalgono il fascino tutto femminile che la figura della regina evoca, la sua pietà religiosa, la delicatezza di sposa e la determinazione di madre, emergono tuttavia le difficoltà, le amarezze, i drammi che segnarono la sua esistenza, in particolare negli ultimi anni. Fu, infatti, angustiata da una doppia vedovanza, dalla morte del fratello Gundoald, ucciso in circostanze non chiare, e infine dalla pazzia, vera o supposta, del figlio Adaloaldo, il quale fu probabilmente oggetto di un complotto e morì prima della madre. Fu costretta, per lunghi anni, a misurarsi con l’ambiente di corte che professava la fede ariana e che probabilmente mal sopportava la presenza della regina.
La morte e l’eredità di Teodolinda
Nei secoli successivi alla sua morte il clero monzese tenne vivo il ricordo della regale protettrice. La (presunta) data della sua morte, il 22 gennaio 627, venne annotata nel Kalendarium- Obituarium della Chiesa monzese; ogni anno, alla vigilia di quel giorno, venivano celebrati i vesperi in suo onore, davanti al suo sepolcro. Agli inizi del Trecento, complice l’interessamento dei Visconti e la traslazione della regina da una tomba terragna a un avello marmoreo, la tradizione teodolindea riprese notevole vigore grazie a una ricca serie di raffigurazioni, delle quali la basilica monzese rappresenta la più efficace sintesi. Ma in altri, numerosi luoghi della terra lombarda fiorirono tradizioni che assegnarono all’instancabile iniziativa o alla memoria venerata di Teodolinda la fondazione di oratori, di chiese, di monasteri e persino l’origine della strada che corre sulla sponda occidentale del lago di Como. Quando nel 1941 venne aperto il sarcofago, sito in una delle cappelle absidali del Duomo di Monza, che ospitava i resti di Teodolinda regina e del figlio Adaloaldo, furono rinvenuti solo una punta di lancia, un oggetto cilindrico, frammenti di fibbia, fili d’oro e polvere. Quasi una conferma del fatto che la vera eredità della regina era da cercare altrove.
Se infatti la lungimiranza e la fede di Teodolinda non riuscirono nell’immediato a risolvere tutte le difficoltà di convivenza tra i Romani e i Longobardi, diedero però l’avvio a una intesa che nei decenni successivi avrebbe portato i propri evidenti frutti, con la conversione dei Longobardi al cattolicesimo romano e la progressiva integrazione tra i due popoli.
Paolo Diacono, Storia dei Longobardi, a cura di L. Capo, Fondazione Lorenzo Valla 2003. Gian Piero Bognetti, L’età longobarda, II, Milano 1966, pp.179-302.
R. Cassanelli, Teodolinda, regina e santa? Appunti sulla politica viscontea delle immagini a Monza nel XIV e XV secolo, in Monza. La Messa di San Michele, Monza 1990, pp. 102-121.
Renato Mambretti, Teodolinda, in Dizionario della Chiesa ambrosiana, VI, Nuove Edizioni Duomo, 1993, pp. 3649-3652.
S. Gasparri, L’alto medioevo: da Teodorico a Berengario, in Monza. La sua storia, a cura di E. Galbiati e F. De Giacomi, Ed. Silvana, 2002, pp. 55-60.
IL TIMONE N. 104 – ANNO XIII – Giugno 2011 – pag. 26 – 27
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