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12.12.2024

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La fede, fra crisi e speranza
31 Gennaio 2014

La fede, fra crisi e speranza


La crisi della fede in Europa, la fede che si diffonde in Africa e Asia. Benedetto XVI invita a non perdere la speranza e suggerisce come affrontare la «crisi della coscienza europea»

Nel discorso di Benedetto XVI del 22 dicembre 2011 alla Curia romana c’è una domanda che il Papa pone e si pone: «La grande tematica di quest’anno come anche degli anni futuri è in effetti: come annunciare oggi il Vangelo?». Certamente per un Pontefice, ma dovrebbe essere così anche per ogni battezzato, questa è la domanda. Come, oggi, in questo tempo storico, posso contribuire a diffondere la fede? Sarebbe sciocco eludere questa domanda, magari rispondendo che bisogna cambiare tutto oppure continuare semplicemente a fare come nel passato. In entrambi i casi ci si dimentica del Mistero dell’Incarnazione, fondamento del cristianesimo, per cui Dio è entrato nella storia, assumendo la natura umana. Nella storia l’uomo si sviluppa rimanendo se stesso e così avviene per la Chiesa, chiamata a custodire fedelmente il patrimonio ricevuto, ma imparando a trasmetterlo nella diversità delle epoche storiche. Ecco perché il compito principale del Magistero consiste nel trasmettere l’insegnamento di sempre in modo adeguato ai cambiamenti in corso, perché l’uomo possa accogliere più facilmente il messaggio della salvezza. Certamente è Dio che salva grazie ai meriti del Sacrificio perfetto del Figlio, ma è vero che lo stesso Dio ha voluto la collaborazione dell’uomo al compimento della salvezza, come ricorda san Paolo: «Ora sono lieto di soffrire per voi; e quel che manca alle afflizioni di Cristo lo compio nella mia carne a favore del suo corpo che è la Chiesa» (Col 1,24).

Il caso europeo
La Chiesa opera la salvezza nella storia e questa cambia. Nella storia del cristianesimo in Europa è mutato diverse volte il contesto nel quale si è svolta l’evangelizzazione. Si è cominciato con l’epoca delle persecuzioni iniziata con la morte in croce del Signore e conclusa con l’Editto di Milano dell’imperatore Costantino nel 313, poi c’è stata la prima evangelizzazione grazie anche alla diffusione dei monasteri che hanno ricoperto il territorio e contribuito alla nascita di una nuova cultura greco-romanico-cristiana, per arrivare alla crisi della civiltà cristiana medievale. In queste diverse epoche la Chiesa ha cambiato il modo di proporre il Vangelo, mutando anche i modelli principali di riferimento, passando dal martire, al monaco, alla famiglia come p r i n c i p a l e strumento di insegnamento della fede durante i secoli medioevali. Poi la Chiesa, di fronte alla corruzione della compagine ecclesiale e alla Riforma, eretica, proposta da Martin Lutero, ha affrontato il male con una grande Riforma cattolica culminata nel Concilio di Trento, i cui effetti peraltro hanno cominciato a penetrare nel corpo ecclesiale molti decenni dopo, addirittura in certe situazioni nel XVIII secolo. Anche oggi, per riferirci sempre e soltanto all’Europa, dopo la crisi e la scomparsa della civiltà cristiana e degli stessi tentativi di prendere il posto del cristianesimo da parte delle ideologie che hanno dominato la modernità, il Papa compie una diagnosi precisa e suggerisce i principali rimedi.
Parlando dell’Europa, Benedetto XVI ricorda come la crisi della presenza cristiana in Europa sia anzitutto una crisi della fede: «Il nocciolo della crisi della Chiesa in Europa è la crisi della fede». E ancora: «se la fede non riprende vitalità, diventando una profonda convinzione ed una forza reale grazie all’incontro con Gesù Cristo, tutte le altre riforme rimarranno inefficaci». In sostanza, il Pontefice sembra dire che la stanchezza con cui la fede viene vissuta in Europa rende impossibile un’adeguata evangelizzazione e ancor di più una educazione alla fede, attraverso la catechesi. Se ci riflettiamo, questa è una “notizia” di fondamentale importanza: la massima autorità della Chiesa ci dice che, in Europa, il problema principale è la fede, nel senso della sua crisi.
Ecco perché nel 2012 comincerà l’Anno della Fede, con al centro il Catechismo della Chiesa Cattolica: la fede va annunciata, ma poi anche insegnata perché il cristianesimo è una Persona, ma questa Persona, uomo e Dio, ha una dottrina che deve essere insegnata. Come annunciare dunque il Vangelo, ma poi come insegnare la fede che attraverso l’annuncio ha attecchito nel cuore di qualcuno. Questo significa donare la fede, o fare apostolato, oppure ancora praticare la nuova evangelizzazione. Ciò significa anche superare la «stanchezza della fede» dominante in Europa. Non si può annunciare, e tantomeno educare, quello che non si conosce, e tanto meno si riesce a convincere senza essere convinti profondamente, senza chiedere la grazia che la nostra vita venga completamente trasformata da Cristo e quindi la nostra testimonianza diventi vitale, espansiva, feconda. Qui si gioca uno snodo importante per la catechesi, cioè evitare il duplice errore che l’educazione alla fede rimanga un approccio soltanto esistenziale senza radicamento nella verità o, al contrario, che scada in un semplice insegnamento formale che non incide nella vita vissuta.

Il caso dell’Africa e dell’Asia
Ma non dappertutto è così. Se l’Europa sembra stanca nella fede, in Africa (il Papa si riferisce al suo recente viaggio in Benin dal 18 al 20 novembre 2011) «non si percepiva alcun cenno di quella stanchezza della fede, tra noi così diffusa, niente di quel tedio dell’essere cristiani da noi sempre nuovamente percepibile ». L’Africa, dunque, ma anche l’Asia, i due continenti dove il cristianesimo si diffonde enormemente. E dove puntualmente arriva la persecuzione, quella feroce, fisica, senza mediazioni, che ricorda i leoni e il Colosseo, che termina nel sangue e che, come diceva Tertulliano, è il seme dei nuovi cristiani. Una persecuzione che prevede la morte di un cristiano ogni 5 minuti, 105mila all’anno come ha scritto Massimo Introvigne, rappresentante nel 2011 dell’Osce, l’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa. Quando la fede è entrata e ha trasformato la vita, allora il fedele diventa un apostolo, perché non può trattenere quello che ha ricevuto e vuole comunicarlo al suo prossimo.
Se Africa e Asia stanno diventando i continenti della speranza, dove il cristianesimo cresce e si sviluppa, il Papa tuttavia non si arrende in Europa, non la dà per perduta. Intanto ricorda la straordinaria esperienza della Giornata mondiale della gioventù, «una medicina contro la stanchezza del credere », una vera e propria «nuova evangelizzazione vissuta», che delinea un modo ringiovanito di essere cristiani nel tempo odierno, che il Papa indica in cinque punti.
1. L’universalità della Chiesa, nel senso che i milioni di giovani provengono da tutti i continenti e parlano diverse lingue, ma si capiscono perché sono «tutti toccati dall’unico Signore Gesù Cristo».
2. Donare il proprio tempo per Cristo provoca gioia. Il Papa cita san Francesco Saverio, il gesuita missionario in India, contemporaneo di sant’Ignazio: «Faccio il bene non perché in cambio entrerò in cielo e neppure perché altrimenti mi potresti mandare all’inferno. Lo faccio perché Tu sei Tu, il mio Re e mio Signore».
3. L’adorazione. Benedetto XVI insiste da tempo sull’importanza dell’adorazione eucaristica, una pratica che sta felicemente riprendendo in molte parrocchie. È un grande segnale di speranza perché Dio è lì presente e nell’adorazione Egli cessa dall’essere un’ipotesi filosofica, ma diventa l’oggetto della mia speranza, e di quella di chi adora con me.
4. Il Sacramento della Penitenza. Praticato tantissimo e con naturalezza a Madrid da centinaia di migliaia di giovani, esso è molto ricercato anche dalla gente comune, non solo come sacramento ma anche come direzione spirituale. In un mondo senza punti di riferimento, gli uomini disorientati cercano chi li possa consigliare. Speriamo se ne rendano conto anche i sacerdoti.
5. Infine la gioia. Il Papa la raccomanda come «una delle esperienze meravigliose delle Giornate Mondiali della Gioventù ». Può essere facilmente equivocata o trasformata in un modo sciocco di affrontare la vita, ma la gioia proviene dal riconoscersi voluti e amati, come spiega un autore molto caro al Pontefice, che cita espressamente, Josef Pieper (1904-2010, Sull’amore, Morcelliana 1974). E soltanto la fede, ricorda Benedetto XVI, mi dà la certezza che «è bene che io ci sia», e quindi mi fa superare la tristezza e la disperazione.

RICORDA

«Che cos’è la fede? La fede é quella virtù soprannaturale per cui crediamo, sull’autorità di Dio, ciò che Egli ha rivelato e ci propone a credere per mezzo della Chiesa».
(Catechismo di san Pio X, n. 232).
«Perché la fede è un atto personale e insieme ecclesiale? La fede è un atto personale, in quanto libera risposta dell’uomo a Dio che si rivela. Ma è nello stesso tempo un atto ecclesiale, che si esprime nella confessione: “Noi crediamo”. È infatti la Chiesa che crede: essa in tal modo, con la grazia dello Spirito Santo, precede, genera e nutre la fede del singolo cristiano. Per questo la Chiesa è Madre e Maestra».
(Compendio del Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 30).

IL TIMONE N. 110 – ANNO XIV – Febbraio 2012 – pag. 58 – 59

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