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12.12.2024

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La Fede
31 Gennaio 2014

La Fede


In questo Anno della Fede il Papa ci invita a «riflettere sullo stesso atto con cui si crede» (Porta Fidei, 9). Riflettere sulla fede significa in qualche modo osservarsi, rendere ragione della propria scelta, senza dare nulla per scontato nei confronti di se stessi e degli altri. Esistono innumerevoli definizioni della parola “fede”, ma credo che la più centrata sia questa: «lasciarsi abitare dalla presenza di Dio».
Se permettiamo a Dio di abitare dentro di noi, tutto il resto diventa possibile; diventa possibile l’accettazione piena delle verità rivelate, anche quelle misteriose per la nostra ragione; diventa possibile la sequela sulle orme di Cristo e la sua imitazione; diventa possibile la fiducia; diventa possibile l’annuncio; diventa possibile la carità. E diventa perfino possibile l’abbandono completo alla volontà di Dio, ultimo stadio della fede, che ci permette di lasciarsi guidare da Lui istante per istante, rinunciando a voler controllare noi il timone della nostra vita.
Lasciarsi abitare dalla presenza di Dio. Un atto semplicissimo eppure così difficile da conquistare. Un atto possibile solo ai semplici, a chi possiede l’infanzia del cuore. È una zona del cuore che tutti possiamo ritrovare, con la preghiera, con la meditazione del vangelo, con l’esercizio vivo della carità. Poggiare il capo sul suo petto come Giovanni, abbandonarsi ai piedi di Gesù come Maria sorella di Lazzaro, dormire sulla nave in tempesta come Egli stesso, fiducioso nel Padre. Condividere tutte le azioni con Lui, interrogandolo di continuo e lasciandosi consigliare.
Spesso si è discusso sul valore della fede in contrapposizione col valore delle opere. In realtà non vi è alcuna contrapposizione, anzi, nemmeno alcun dualismo. Dio è operoso. Pertanto, se Dio abita in noi, la fede non può che essere una fede operosa. Le opere della fede sono, in definitiva, naturale espressione della fede stessa. Il dualismo si manifesta solo quando le opere sono compiute senza la fede, e allora diventano efficienti ma non efficaci. Non trasmettono l’amore di Dio, non sono “conversive”. Le opere compiute dalla fede sono invece veicoli della fede stessa, comunicano lo stesso Spirito che le anima.
Un altro dualismo nel quale ci si è spesso imbattuti è quello tra le parole e le opere. Dalla lettura della Lettera di Giacomo, si comprende invece che le parole non sono altro che opere della lingua, pertanto sono anch’esse azioni, e per esse vale lo stesso discorso sulle opere: se le parole sono emanazione della fede, non sono mai vuote o portatrici di discordie; vei- La Fede colano lo stesso Spirito veicolato dalle opere. Se davvero Dio abita in noi, tramite la fede siamo abitati da un Dio che parla. Nella fede, è Dio che parla attraverso di noi. Non solo nelle catechesi o durante l’evangelizzazione; anche nel quotidiano le parole possono contenere segni sacri che raggiungono chi le ascolta, agendo dentro di lui come un seme. Non è solo per il modo con cui vengono porte, o per l’amorevolezza del parlare, ma per i simboli invisibili che le animano, che danno sostanza al dire comunicando in modo arcano ciò che si ha nel cuore. Chi le ascolta ne viene trasformato perché percepisce inavvertitamente dentro di sé l’impronta della propria interiore somiglianza.
In definitiva, fede, parole e opere appartengono a un’unica realtà indivisa, come è indiviso Dio, che suscita tutte e tre nell’anima che si lascia abitare dalla sua presenza. E tutto questo è un dono della Grazia.

IL TIMONE N. 120 – ANNO XV – Febbraio 2013 – pag. 61

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