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La formazione del Canone neo-testamentario
31 Gennaio 2014

La formazione del Canone neo-testamentario

 



Quando appare per la prima volta il canone neotestamentario? Esiste fin dai primi secoli un elenco dei testi sacri del Nuovo Testamento? La prima comunità cristiana era consapevole di dover distinguere i testi sacri da quelli non canonici. Quelli canonici andavano infatti riprodotti per le diverse chiese ed utilizzati nelle liturgie. Già San Paolo scriveva: «E quando sia stata letta da voi questa lettera, fate in modo che anche nella Chiesa dei Laodicesi sia letta, e che quella dei Laodicesi anche voi la leggiate» (Col 4,16). Anche la Didaché, scritta verso il 50-70 d.C., testimonia l’uso di leggere questi testi sacri nei raduni liturgici dei primi cristiani. San Giustino nel 155 scrive: «E nel giorno chiamato del sole (=la domenica)… si radunano nello stesso luogo e si fa lettura delle memorie degli apostoli (vangeli e lettere) e degli scritti dei profeti (Antico Testamento)». Tertulliano (150-220) mette i libri sacri cristiani sullo stesso piano dei libri ritenuti sacri dagli ebrei, usando per entrambi il termine “testamentum”. Inoltre, c’era la preoccupazione di salvaguardarsi da scritti non autentici. Paolo scriveva: «Vi preghiamo, o fratelli,… di non lasciarvi così facilmente turbare la mente, né confondere, sia da false ispirazioni, sia da dicerie, sia da lettere fatte passare come nostre” (2Tess 2,1-2). Questa missiva, fra l’altro, finisce dicendo: «Il saluto è di mio pugno, di me, Paolo; esso è il segno che distingue ogni mia lettera. Io scrivo così» (3,17). Anche a quei tempi, infatti, i nemici del cristianesimo avevano interesse a diffondere contraffazioni. Nasce così, fin da subito, l’esigenza di stilare un canone, un elenco dei testi ritenuti sacri. I criteri fondamentali per questa stesura erano due: apostolicità ed ecclesialità dei testi. Erano cioè autentici gli scritti di cui era certa la provenienza apostolica, e che erano accolti nella liturgia di tutte le comunità del tempo. Ireneo di Lione (130-202) attribuiva apertamente a questi testi il titolo di “Scritture”, fino ad allora riservato solo ai libri dell’Antico Testamento. E riguardo ai quattro Vangeli, utilizzava l’espressione “vangelo tetramorfe” o “quadriforme”, facendoci capire che solo Matteo, Marco, Luca e Giovanni erano, già agli inizi, gli unici vangeli.
Nella Biblioteca Ambrosiana di Milano si trova il Canone Muratoriano, un antichissimo manoscritto di 85 righe, scoperto dal Muratori, il cui testo latino rimanda ad un originale greco che per la maggioranza degli studiosi risale al 170 circa dopo Cristo. Questo Canon Muratorianus si mostra già ben consapevole della necessità di distinguere scritti sacri e non sacri: «Non conviene che il fiele sia mescolato col miele», e pertanto elenca le scritture che «sono ritenute sacre per l’onore della chiesa cattolica, per il regolamento della disciplina ecclesiale». Da questo antico autore i 27 libri del Nuovo Testamento vengono già elencati quasi tutti! (Non è citata la Lettera di Paolo agli Ebrei, ma questa è presente insieme a tutte le altre nel papiro Chester Beatty P46, risalente alla fine del secondo secolo). Inoltre, gli scritti canonici sono citati da Origene, Ireneo, Tertulliano, Clemente Alessandrino e da diversi vescovi dei primi secoli.
Un’altra antica conferma dell’esistenza di un elenco neotestamentario la troviamo nel Canone Eusebiano dell’anno 318: in esso Eusebio di Cesarea scrive: «Arrivati a questo punto ci sembra ragionevole ricapitolare (la lista) degli scritti del Nuovo Testamento di cui abbiamo parlato. E senza alcun dubbio, si deve collocare prima di tutto la santa tetrade (=quaterna) dei vangeli, cui segue il libro degli Atti degli Apostoli. Dopo questo, si debbono citare le lettere La formazione del Canone neo-testamentario di Paolo, a seguito delle quali si deve collocare la prima attribuita a Giovanni e similmente la prima lettera di Pietro. A seguito di queste opere si sistemerà, se si vorrà, l’Apocalisse di Giovanni… E questo per i libri universalmente accettati. […] Sono anche tramandate la lettera attribuita a Giacomo, quella a Giuda, la seconda di Pietro, e le cosiddette seconda e terza di Giovanni». Sant’Eusebio non solo stila così il suo canone, ma anche un elenco di testi contestati che ne erano esclusi; dopo alcuni commenti scrive infatti: «Pur stando così le cose per i libri contestati, tuttavia abbiamo giudicato necessario farne ugualmente la lista, separando i libri veri, autentici e accettati secondo la tradizione ecclesiastica, dagli altri che, a differenza di quelli, non sono testamentari, e inoltre contestati, sebbene conosciuti dalla maggior parte degli scrittori ecclesiastici […]. Assolutamente nessuno mai tra gli scrittori ecclesiastici ha ritenuto giusto di ritrovare i loro ricordi in una di queste opere. D’altra parte il carattere del discorso si allontana dallo stile apostolico» (Historia Ecclesiastica, III, 25,1-7). L’espressione «nessuno mai» indica tra l’altro un percorso ben precedente a Eusebio stesso.
Dopo quello eusebiano, abbiamo anche il Canone di Sant’Atanasio (295-373), vescovo di Alessandria d’Egitto, che nella sua Lettera del 327 elenca tutti i 27 libri del Nuovo Testamento! Nel giro di breve tempo tre sinodi avevano già citato il canone: quello di Laodicea in Siria (363), quelli di Ippona (393) e Cartagine, in Africa (397).
Anche Roma si interessa della questione, col Sinodo del 382, che recepisce la lista di Atanasio, decretando come ufficialmente accettati i 27 libri canonici ritenuti di origine apostolica con il decreto De Explanatione Fidei di papa Damaso I. Col Canone di Papa Damaso inizia così la traduzione latina delle Scritture, da egli stesso commissionata a san Girolamo, che diede vita alla Vulgata. Anche gli antichi Codici dei primi secoli (Codice Vaticano, Sinaitico, Alessandrino, di Efrem, di Beza, di Koridethi) confermano la canonicità dei testi sacri.

IL TIMONE  N. 107 – ANNO XIII – Novembre 2011 – pag. 61

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