Concordanze tra scienza e fede. La scienza moderna è in sorprendente armonia con il primo capitolo del libro della genesi. A conferma che scienza e fede ben si conciliano.
Malgrado la Bibbia non sia in trattato scientifico, è però molto interessante notare delle notevoli concordanze tra la scienza odierna e il primo capitolo della Genesi (d'ora in poi Gn 1).
La prima parola con cui inizia l'Antico Testamento, in Gn 1, è «berêshit», che significa: «all'inizio (del tempo)» o «ai primordi».La seconda parola dell'Antico Testamento è «bârâ», solitamente tradotto con «creò» (terza persona singolare), e tale parola viene utilizzata dal testo sacro soltanto per designare l'azione di Dio, il quale produce il meraviglioso e il nuovo, con un'azione rispetto alla quale ogni operare umano è problematico e caduco. La terza parola è «’elohim», che è un termine plurale, che vuol dire «dèi», e che gli ebrei interpretano come un plurale maiestatico. Ma, allora, se questo termine è un plurale, perché coniugare il verbo creare al singolare (infatti la Bibbia dice «creò», non dice «crearono»)? I Padri della Chiesa hanno intravisto in questa coniugazione del verbo al singolare una rivelazione (di cui l'agiografo che scrive questo testo biblico è inconsapevole), dell'unità di Dio e della Trinità della Persone. Quest’interpretazione trinitaria è confermata dal seguito del testo, che dice «[…] lo Spirito di Dio aleggiava sopra le acque. E Dio disse: “sia la luce”». Ho indicato in corsivo tre termini che rimandano alla Trinità. Infatti, vediamo che Dio opera attraverso la sua parola («Dio disse»), che in latino si dice «verbum» e in greco si dice «Iogos», e S. Giovanni (nel prologo del suo vangelo) scrive «In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio, e il Verbo era Dio […] e il Verbo si fece carne». Inoltre nel testo vengono nominati il Padre e lo Spirito, così preconizzando la Trinità: Dio Padre, il Verbo (il Figlio) e lo Spirito Santo.
Si noti che Gn 1 non prosegue dicendo che Dio «creò («bârâ») la luce», bensì dice semplicemente «sia la luce», cioè usa il termine «jehi», che vuoi dire «sia» o «sia fatto», cioè «avvenga come conseguenza naturale di tutto quello che è già avvenuto», il che vuoi dire che la luce nasce come una conseguenza naturale di ciò che Dio ha creato all'inizio. Questa descrizione data da Gn 1 è sorprendentemente in accordo con la scienza moderna. Infatti Gn 1 dice: «Dio creò il cielo e la terra», e basta interpretare la parola «cielo» come termine che indica gli esseri spirituali, e la parola «terra» come termine che indica le particelle elementari che costituiscono la materia. Come dice la scienza, queste ultime, se create in una zona spaziale ristretta e con velocità relative distribuite uniformemente fra zero e la velocità della luce, hanno prodotto il grande scoppio primordiale o Big Bang. Dopo un tempo brevissimo, le particelle elementari interagirono tra loro, producendo variazioni della loro velocità, ossia accelerazioni. Ora, una ca-rica elettrica accelerata (e tutte le particelle che costituiscono la materia possiedono carica elettrica) produce onde elettromagnetiche, di cui la luce è fatta. La luce, che era intensissima, si è quindi prodotta come conseguenza naturale dello scoppio primordiale (proprio come dice la Genesi, che per designare la sua origine adopera il termine «jehi»), e si è prodotta ben prima che nascesse il sole. Anche in Gn 1 la nascita della «luce maggiore», cioè il soIe, viene introdotta mediante un «jehi» (che vuoi dire «avvenga come conseguenza naturale di tutto quello che c'è già»), con il quinto «jehi", cioè ben dopo la nascita della luce, la quale si manifesta dopo il primo «jehi». Dunque, sia per la scienza sia per la Bibbia, il sole nasce dopo la luce. Nel 1700 Voltai re ridicolizzò Gn 1, proprio perché metteva la luce prima del sole. Invece, come ci dice la scienza attuale, la luce si ebbe una frazione piccolissima di secondo dopo l'inizio del Big Bang, mentre il sole si formò circa dieci miliardi di anni dopo.
Le azioni di Dio elencate da Gn 1 sono 10, e questo numero indicava per gli ebrei completezza, anche perché essi contavano sulle dita delle due mani.
Sette di queste azioni sono designate con il termine «sia» (jehi). Il 7, per gli ebrei, rappresentava il numero cosmologico, per ché ogni fase della luna dura sette giorni, da cui la settimana. L'ultimo giorno della settimana era dedicato a Dio, per cui 7 era anche il numero sacro.
Le altre tre azioni di Dio (7 + 3 = 10) sono designate col termine «bârâ». Il 3, per gli ebrei, era usato per ottenere il superlativo, ripetendo tre volte lo stesso aggettivo (<Ora, nell'ebraico antico si scrivevano solo le consonanti e ogni consonante indicava anche un numero (come in latino, dove X sta per 10, V per 5> ecc.). La meraviglia è che il nome di Dio, scritto ma non pronunciato, il famoso tetragramma sacro JHWH, letto come numero dava proprio il numero 21.
Le prime 6 azioni di Dio sono indicate da Gn 1 con un 1 «bârâ» e con 5 «jehi», il quinto dei quali riguarda la formazione del sole e della luna. I successivi 2 «jehi» pronunciati da Dio sono usati da Gn 1 per descrivere l'origine degli esseri viventi, e per descriverli quali conseguenze naturali della creazione iniziale della terra (le particelle elementari, in termini fisici). Infatti, come ho già spiegato prima, «jehi» denota un avvenimento naturale, che è conseguenza di ciò che esiste già in precedenza. Dal testo biblico sembrerebbe allora che la vita sia potuta nascere spontaneamente in base a reazioni fisico-chimiche della materia. In effetti, come avevo già mostrato in un mio precedente articolo sul Timone [n. 16, (2001), pp. 40-41], la formazione spontanea del primo DNA del primo vivente non è assolutamente impossibile, sebbene dal punto di vista scientifico essa abbia una probabilità così infima, da essere praticamente impossibile. È allora sorprendente che Gn 1, quando parla dell'origine dei viventi, usi 2 «jehi.., come detto, ma anche 2 «bârâ» (l'azione esclusivamente divina, che produce qualcosa di assolutamente nuovo, che solo Dio può produrre), così risultando in armonia con le conoscenze scientifiche attuali. In altri termini, sarebbero bastati 2 «jehi» per descrivere la nascita del primo DNA quale semplice effetto di reazioni fisico-chimiche, ma la probabilità di una simile nascita del primo DNA era così bassa che Dio è dovuto intervenire, e dunque il testo della Genesi usa anche due «bârâ». Il motivo per cui la Genesi usa 2 «jehi» e 2 «bârâ», invece che 1 solo, per descrivere l'origine della vita, è di carattere simbolico, in modo da raggiungere il numero sacro 7 (cioè per raggiungere, nel testo, l'uso di 7 «jehi» e di 7 «bârâ»). Essa raggiunge il numero di 7 «jehi» proprio nel momento della nascita della vita, e il numero di 7 «bârâ» con il terzo intervento diretto di Dio: la creazione dell'uomo e della donna, dove Gn 1 usa 4 volte il termine «bârâ».
Ricapitolando: 1 «bârâ» per designare la creazione del mondo + 2 per l'origine della vita + 4 per l'origine dell'uomo = 7. Il crescendo dei «bârâ» indica anche un crescendo di novità: il primo indica l'apparire dell'universo fisico; i due seguenti la vita (che contiene un'informazione superiore a quella di tutto l'universo fisico); gli ultimi quattro indicano la nascita dell'uomo, il cui spirito, o anima, supera ogni altra forma di vita, ed è ciò che rende l'essere umano «a immagine e somiglianza di Dio», il quale è puro spirito.
E anche il fatto che l'uomo sia una novità assoluta non lo dice solo la Bibbia, ma anche la scienza.
Ricorda
«L'antitesi scienza-fede è la più grande mistificazione di tutti i tempi»,
(Antonino Zichichi, cit. in Carlo Fiore, Scienza e fede, Elle Di Ci 1986, p. 5).
Bibliografia
Giancarlo Cavalleri, La quinta via e la scienza, in Il Timone, 16 (2001), pp. 40-41.
Idem, L’universo? E’ progettato a misura d’uomo, in Il Timone, 33 (2004), pp. 50-51
Idem, Common sense, foundation of any science and the origin of the universe, in Sensus communis, 2, vol. 2,pp.439-446.
IL TIMONE – N. 41 – ANNO VII – Marzo 2005 pag. 32 -33