A pochi mesi dalle presidenziali, attacco alla Costituzione su famiglia e vita. E i vescovi americani si lanciano a difesa della libertà religiosa. Uno scontro istituzionale senza precedenti, mentre centinaia di leader di tutte le religioni scendono in campo a fianco dell’arcivescovo di New York, cardinale Dolan, che guida la “resistenza”
È una guerra lanciata contro la Costituzione laica, che paradossalmente vede in campo a guidare la sua difesa i vescovi cattolici americani, addirittura contro il presidente Barack Obama. E a pochi mesi dalle elezioni presidenziali – che si terranno il prossimo novembre – per il primo presidente di colore degli Stati Uniti questa è una grana non da poco.
Il problema è che Obama sta spingendo sull’acceleratore per quanto riguarda le riforme contrarie alla famiglia e alla vita, ripetendo in qualche modo ciò che in Europa aveva già fatto lo spagnolo Zapatero: in mancanza di risultati in economia, anzi di fronte all’evidente acuirsi della crisi e all’incapacità di affrontarla, si butta su temi sociali che, pur rilevanti soltanto per una ristretta minoranza, gli possono però garantire l’appoggio dei grandi magnati e di lobby molto influenti, come quella gay e quella per il controllo delle nascite. Obama ha perciò cominciato ad appoggiare apertamente le iniziative per l’abrogazione del Defense of Marriage Act (Doma), una legge del 1996 che riconosce come matrimonio solo quello monogamico ed eterosessuale, ovvero tra un uomo e una donna. Al proposito va anche ricordato che, di fronte agli attacchi contro la famiglia naturale, il predecessore di Obama, George Bush jr, per evitare i prevedibili colpi di mano aveva tentato (invano) di inserire il contenuto del Doma nella Costituzione. L’amministrazione Obama invece, nel febbraio 2011, ha annunciato ufficialmente che non difenderà più il Doma nei tribunali federali perché lo stesso presidente lo giudica incostituzionale, e da quel momento l’appoggio al riconoscimento delle unioni omosessuali si è fatto sempre più esplicito. La questione va ben oltre la legittimità delle richieste della comunità Lgbt (Lesbian, gay, bisexual, trans), essa implica in realtà una concezione sui fondamenti dello Stato laico, ovvero se la legge positiva dello Stato debba recepire o meno il diritto naturale come fonte di equità e giustizia su cui fondare il bene comune. Finora l’ordinamento degli Stati Uniti, la sua Costituzione, ha rappresentato questo baluardo a difesa del diritto naturale, ma le iniziative di Obama tentano di rovesciarlo.
La gravità della situazione e l’importanza della posta in gioco ha spinto il presidente dei vescovi americani, l’arcivescovo di New York monsignor Timothy Dolan (poi nominato cardinale nel Concistoro del 18 febbraio 2012), a un primo gesto clamoroso, senza precedenti, lo scorso 20 settembre: una lettera aperta al presidente Obama dai toni decisamente duri, in cui si accusa il presidente di volere fare «sprofondare il Paese in un conflitto tra Chiesa e Stato di proporzioni enormi da cui ci rimetteranno entrambe le istituzioni». Inoltre l’arcivescovo giudica «particolarmente sconcertante» che l’Amministrazione statunitense, «attraverso varie carte, pronunciamenti e direttive processuali, attribuisca a chi difende il Doma motivazioni pregiudiziali e preconcettuali». Ma la questione del matrimonio è stato soltanto l’inizio. L’amministrazione Obama ha allargato ulteriormente il fronte della battaglia con la sua riforma sanitaria, al punto che all’inizio dell’ottobre 2011 ancora l’arcivescovo Dolan ha annunciato l’istituzione – anche questa una decisione senza precedenti – di un “Comitato ad hoc per la libertà religiosa” negli Stati Uniti. In pratica, per i vescovi americani l’amministrazione Obama sta mettendo in pericolo uno dei capisaldi della Costituzione americana, violando il Primo emendamento che impedisce l’interferenza dello Stato nella sfera religiosa.
Sono ben sei i punti critici rilevati dai vescovi nella lettera che istituisce il Comitato per la libertà religiosa. Oltre agli attacchi contro il Doma, l’arcivescovo Dolan indica le norme del Ministero della Sanità che costringono le compagnie di assicurazione e i fondi previdenziali a includere nella loro copertura la contraccezione, i farmaci abortivi e la sterilizzazione in tutti i piani di assicurazione sanitaria privata. È una violazione della libertà religiosa, perché le assicurazioni cattoliche non potranno rifiutarsi di coprire questi servizi, né i datori di lavoro cristiani potranno rifiutarsi di pagare contributi previdenziali che andranno a finanziare i contraccettivi o la pillola abortiva. Altra questione: lo stesso Ministero per la Sanità richiede che il Servizio per i Migranti e i Rifugiati (MRS), la storica agenzia della Conferenza Episcopale che assiste gli immigrati, fornisca quella che chiama la «piena gamma di servizi riproduttivi» – ovvero aborto e contraccezione – ad alcuni suoi assistiti, cioè le vittime del traffico di esseri umani e gli immigrati minorenni che entrano negli Stati Uniti non accompagnati da genitori o tutori. Per questi assistiti il MRS riceve un contributo finanziario dal governo federale, e il Ministero – sposando la tesi degli attivisti pro aborto che sono in causa contro il MRS – sostiene che questo contributo implica obbligatoriamente che le giovani immigrate assistite dall’agenzia cattolica siano aiutate, se lo richiedono, ad abortire.
Sotto accusa anche i programmi di aiuti internazionali contro l’Aids. USAID, l’agenzia federale per gli aiuti allo sviluppo che riceve le sue direttive dal Dipartimento di Stato ma con cui interagiscono enti e singoli cattolici, dà un ruolo prominente alla distribuzione di preservativi, qualche cosa con cui in coscienza i cattolici fedeli al Magistero non possono collaborare. Inoltre il ministero della Giustizia, davanti alla Corte Suprema, non ha difeso la cosiddetta “eccezione ministeriale”, che permette alle organizzazioni religiose di assumere o designare chi vogliono per ruoli ministeriali senza sottostare alle normali norme antidiscriminazione. Il rischio evidente è che sia il primo passo per aprire la porta a cause dove un giudice potrebbe imporre alla Chiesa Cattolica di ordinare delle donne come sacerdoti in nome della normativa contro la discriminazione.
E ancora, la nuova legislazione dello Stato di New York, che ridefinisce la nozione di matrimonio includendovi il matrimonio omosessuale, lascia un ruolo mal definito e ristretto all’obiezione di coscienza. Ci sono già azioni legali e disciplinari contro funzionari pubblici cattolici che si rifiutano di collaborare alla celebrazione o alla trascrizione di matrimoni omosessuali.
In aggiunta, Dolan non può non rilevare gli interventi pubblici del presidente Obama a sostegno delle esternazioni di Lady Gaga, i cui attacchi alle Chiese “omofobe” sono la punta estrema di una ostilità alla Chiesa.
Anche se il presidente dei vescovi americani ha sempre auspicato in questi mesi un ravvedimento dell’amministrazione e l’inizio di un dialogo serio, dalla parte della Casa Bianca i segnali vanno tutti in senso contrario. Il 20 gennaio scorso, ad esempio, l’amministrazione ha riconfermato tutte le norme contestate, così che l’iniziativa di Dolan ora raccoglie consensi sempre più ampi nella società americana. Il 1 marzo, ad esempio, è stato pubblicato un documento in difesa della libertà religiosa contro le norme inserite nella riforma sanitaria, dall’inequivocabile titolo “Unacceptable” (Inaccettabile), firmato da 500 leader di tutte le religioni, inclusi islamici ed ebrei. Ed è ormai un fiume in piena, è la rivolta della società contro la “dittatura” imposta da una élite minoritaria quanto potente. Proprio per questo la posizione di Obama in vista delle presidenziali si è fatta delicata, e nella sua guerra contro la Costituzione e il popolo è anche lecito aspettarsi degli sviluppi clamorosi. E chissà che almeno in parte anche la fuga dei documenti dall’appartamento del Papa e la loro pubblicazione non abbia a che fare con quanto succede negli Usa.
IL TIMONE N. 115 – ANNO XIV – Luglio/Agosto 2012 – pag. 16 – 17
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