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13.12.2024

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La guerra di Secessione
31 Gennaio 2014

La guerra di Secessione

Ci voleva un libro come quello di Thomas E. Woods Jr. per sfatare un mito duro a morire, quello della guerra civile americana come conflitto per la liberazione degli schiavi neri del Sud. Per esempio, non c’è film né fumetto che non riproponga, ancora oggi, il mito in questione. Anche nelle fiction più tenere verso i sudisti (come il celebre Via col vento o il crudo Il texano dagli occhi di ghiaccio con Clint Eastwood), lo spettatore cava almeno l’impressione che, sì, i nordisti non erano sempre degli stinchi di santo ma avevano ragione.
Invece Woods (già autore di Come la Chiesa cattolica ha costruito la civiltà occidentale, Cantagalli) ci dice il contrario: avevano ragione i sudisti. Infatti, è sbagliato anche solo parlare di guerra civile, perché si trattò in realtà di una guerra d’indipendenza, così come lo era stata quella che le colonie d’America avevano condotto contro l’Inghilterra nel secolo precedente. In quest’ultima (che non fu affatto una rivoluzione, al contrario), gli americani reagirono contro un potere che era diventato centralistico e oppressivo, reclamando diritti conculcati (dunque, un ritorno allo status quo ante, diversamente dai giacobini francesi).
Lo stesso fecero gli Stati del Sud quando il governo federale cominciò a comportarsi come a suo tempo aveva fatto Londra. Il libro di Woods è esplicito fin dal titolo: Guida politicamente scorretta alla storia degli Stati Uniti d’America (D’Ettoris Editori, a cura di Maurizio Brunetti e con prefazione di Marco Respinti, firma del «Timone»). E ci informa che il predecessore di Abraham Lincoln (1861-1865) alla presidenza, James Buchanan (1857-1861), aveva consentito che ben sette Stati del Sud uscissero dall’Unione senza far storie. Infatti, era previsto fin dalla Dichiarazione d’Indipendenza che uno Stato potesse ritirarsi dal patto federale quando lo avesse ritenuto opportuno. La schiavitù non c’entrava affatto. Il problema era (tanto per cambiare, nella storia americana) squisitamente economico: il Nord era protezionista e il Sud liberoscambista. Cioè, il Nord, industriale e manifatturiero, difendeva i propri prodotti con alti dazi; il Sud, che questa roba la doveva importare, esportava però nel mondo il suo cotone e il suo tabacco. Il suo distacco dall’Unione avrebbe dirottato il commercio verso i suoi porti, praticamente privi di dazi. Paradossalmente, agli abolizionisti conveniva che il Sud se ne andasse per i fatti propri, tant’è che William Lloyd Garrison (1805-1879), fondatore della Società antischiavista americana, ne sosteneva la secessione. L’esempio era dato dal Brasile, Stato federale in cui uno degli Stati, il Ceará, aveva abolito la schiavitù. Col risultato che i neri presero a rifugiarvisi; ciò ne fece crollare il prezzo e, in pochi anni, portò all’abolizione nell’intero Paese. La secessione americana avrebbe provocato la fuga degli schiavi negli Stati abolizionisti e ciò avrebbe costretto il Sud, rovinato, a seguire l’esempio brasiliano. Non solo. La stragrande maggioranza dei sudisti non era proprietaria di schiavi e, anzi, diverse personalità di primo piano (come i generali Lee e “Stonewall” Jackson) erano contrari alla schiavitù. I primi sette Stati che si erano ritirati dall’Unione lo avevano fatto in realtà perché a loro non conveniva più restarci. Ciò era pacificamente ammesso fin dai tempi di «padri della patria» come Thomas Jefferson e John Quincy Adams; perfino da un osservatore acuto come Alexis de Tocqueville. Così, giudicando che ormai il governo centrale era divenuto oppressivo, sette Stati rivendicarono il loro diritto di sbattere la porta: South Carolina, Texas, Louisiana, Mississippi, Alabama, Georgia e Florida. Ma poi fu eletto Abraham Lincoln, il quale nel 1861 mandò una nave ad approvvigionare Fort Sumter, che controllava il porto di Charleston, in South Carolina. Era una provocazione, perché quello Stato si era già reso indipendente e non intendeva permettere al governo federale di mantenere – e rafforzare – una guarnigione sul proprio territorio. I locali spararono contro il forte e non ci fu nemmeno un ferito, ma la loro reazione servì a Lincoln per dichiarare i secessionisti ribelli e scatenare la guerra.
A quel punto, altri quattro Stati dichiararono la loro indipendenza: Tennessee, Virginia, North Carolina e Arkansas. Infatti, al momento di firmare la Costituzione, la Virginia – ma anche New York e Rhode Island – aveva ottenuto di inserire una clausola di ratifica che le consentiva di lasciare l’Unione se il governo centrale non fosse stato ai patti: non avevano combattuto contro l’oppressione fiscale inglese per ritrovarsi sottomessi a un potere analogo. Da qui la guerra. Che non fu degli Stati del Sud contro quelli del Nord, ma degli undici resisi indipendenti contro il governo federale.
Così scriveva un soldato nordista: «Stiamo combattendo per l’Unione (…). Loro stanno combattendo per l’indipendenza ». Per giunta, per i primi diciotto mesi di guerra la questione della schiavitù non venne neppure presa in considerazione. Lo stesso Lincoln, tre anni prima, così si era espresso: «Non sono – né mai sono stato – in alcun modo a favore dell’uguaglianza sociale e politica tra la razza bianca e quella nera (…), ed io sono, come chiunque altro, favorevole ad assegnare la posizione di superiorità alla razza bianca». Anche da deputato dell’Illinois, Lincolnaveva tenuto la stessa posizione. Semmai, era un forte sostenitore del progetto di mandar via i neri emancipati in qualche colonia fuori dall’Unione. Infatti, prese seriamente in considerazione l’idea di spedirli in Liberia o ad Haiti, o in Honduras, Ecuador, Amazzonia. Talmente sentita era la posizione costituzionale degli Stati secessionisti (riunitisi frattanto in Confederazione sotto il presidente Jefferson Davis) che le cosiddette «cinque tribù civilizzate», gli indiani Cherokee, Choctaw, Chickasaw, Creek e Seminole, si schierarono al loro fianco con tanto di dichiarazione ufficiale.
La Guerra di Secessione fu anche la prima guerra totale della storia dopo i tempi del paganesimo antico. Per la prima volta, anche la popolazione civile divenne un obiettivo bellico. Nella New Orleans occupata, il generale nordista Butler diede di fatto, con un proclama, licenza di stupro ai suoi soldati. A Vicksburg il generale Sherman fece distruggere tutte le fattorie e requisire totalmente i raccolti. A Meridian, per cinque giorni diecimila soldati nordisti lavorarono con picconi, asce e fuoco per radere al suolo ogni casa. L’incendio totale di Atlanta lo si può ammirare nel famoso film Via col vento. In quella guerra, per la prima volta la Scienza mise a disposizione il suo talento. Fecero la loro prima comparsa le corazzate e i sommergibili, il filo spinato, i palloni aerostatici, la mitragliatrice, i campi di concentramento. La guerra “cavalleresca” dei secoli precedenti era scomparsa per sempre, né mai più sarebbe ritornata, in un crescendo di orrori di cui ancora oggi non si vede la fine. Per questo e per le vere cause del distacco del Sud, l’assassino di Lincoln, dopo aver perpetrato l’attentato, esclamò: «Sic semper tyrannis», così sempre ai tiranni. Agli occhi dei sudisti, Lincoln non era che un oppressore.
Uno dei prodromi di quella guerra, poi celebrato come episodio- icona dell’antischiavismo, era stata l’avventura del famoso John Brown (1800- 1859). Del quale il libro di Woods ci dà un’immagine un po’ meno oleografica. Nell’otto bre 1859, John Brown e diciannove suoi seguaci sequestrarono l’arsenale federale di Harpers Ferry, in Virginia, allo scopo di armare gli schiavi negri e indurli all’insurrezione. Circondati dai cittadini, dalla Guardia Nazionale e dai soldati federali, i venti commandos risposero al fuoco. Dieci rimasero uccisi. John Brown e altri sei, impiccati. Durante la successiva Guerra di Secessione nacque la famosa canzone nordista John Brown’s Body (riesumata, in italiano, negli anni Sessanta dal trio – italianissimo – Los Marcellos Ferial, quelli della più conosciuta Sei diventata nera). Eppure, il famoso scrittore Nathaniel Hawthorne (autore della celebre Lettera scarlatta) ebbe a dire che «mai nessuno fu impiccato più giustamente». Quattro anni prima, John Brown, «che era quasi certamente pazzo », aveva compiuto un efferato massacro a Potatawomie Creek in Kansas. Brown, «che si credeva investito di una missione divina: distruggere la schiavitù», con i suoi uomini attaccò cinque famiglie. Nessuna di esse possedeva schiavi ma era legata politicamente alla fazione secondo Brown «sbagliata». I capi famiglia furono trascinati fuori di casa e trucidati sotto gli occhi atterriti dei familiari.


IL TIMONE N. 115 – ANNO XIV – Luglio/Agosto 2012 – pag. 20 – 21

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