Per comprendere come la Liturgia della Chiesa richieda, per sua natura, uno sviluppo organico, cioè rispettoso della sua propria identità e attento alle leggi che dall’interno la sostengono, ripercorriamo i momenti più significativi di tale sviluppo, prestando attenzione, oltre al rito, anche alla musica e all’arte sacra.
Parlare delle origini della Liturgia è problematico, perché le fonti a nostra disposizione sono ridotte, frammentarie e non sempre di facile interpretazione. Tuttavia, si può affermare che la nostra Liturgia sia stata praticamente “creata” dagli Apostoli, dietro istruzione e per incarico dello stesso Signore. Essi, infatti, provenivano da un popolo, quello ebraico, nel quale era presente una vita di preghiera ricca, definita e ordinata, comprendente un culto sia pubblico che privato. Così la Chiesa apostolica, per svolgere pienamente il suo compito, cioè proclamare l’avvenimento salvifico, ha creato nuove forme, seguendo gli insegnamenti del Signore e attingendo dalla vita religiosa quotidiana.
In merito alla liturgia eucaristica, è emblematico quanto attesta la Didaché, il documento della prima metà del II secolo d.C., che fornisce la prima forma concreta dell’Eucaristia, perché contiene le più antiche preghiere eucaristiche finora conosciute con struttura fondamentalmente giudaica, ma trasformate secondo uno spirito e una terminologia cristiani, attestando come la santificazione della Cena per opera dell’Eucaristia abbia avuto in breve tempo il sopravvento sul banchetto in quanto tale. Ciò corrisponde a quella spiritualizzazione di ogni forma di culto che caratterizza il giovane cristianesimo nei confronti della sinagoga.
Anche il giorno e il momento della celebrazione risentono di questo allontanamento dalla concezione della cena: non si riscontra più alcun motivo per ostacolare la celebrazione nelle altre ore del giorno e molto presto la domenica si afferma quale giorno preferito per la celebrazione (At 20,7), in ricordo della risurrezione di Gesù, prediligendo l’ora mattutina che meglio richiamava alla mente il momento glorioso dell’uscita dal sepolcro del Signore.
Allora, la Chiesa apostolica, separandosi dall’Antico Testamento, crea nuove espressioni della sua vita in Cristo tesa verso il Padre, appoggiandosi in molti casi su forme semplici della pietà sinagogale e quotidiana dei Giudei contemporanei.
Ma sarà nella seconda metà del sec II e nel III che si svilupperanno pienamente quegli elementi che avevano cominciato a delinearsi nel secolo precedente, in particolare: la separazione dall’ebraismo e la conseguente necessità di far nascere forme proprie. Le fonti che forniscono informazioni preziose circa la vita liturgica di questi secoli sono oltre alla Didaché, la cd. Lettera di Clemente, la I e II Apologia del martire Giustino, la Traditio Apostolica di Ippolito e la Didascalia Apostolorum.
In questo periodo, il cristianesimo non era riconosciuto come religione, e fu spesso perseguitato. Ciò comportò l’impossibilità per i cristiani di manifestarsi pubblicamente, e il doversi radunare ancora nelle abitazioni private per la celebrazione del culto. Il termine “chiesa”, adoperato in alcuni scritti di tale epoca, serviva a indicare non il luogo di culto, ma l’assemblea delle persone.
Nella I° Apologia di Giustino, scritta a Roma nel 150, troviamo la prima descrizione compiuta della celebrazione eucaristica. Egli ci tramanda la struttura che, nei tratti essenziali, è giunta fino ai nostri tempi: a) Le lezioni: che erano prese dalle “memorie degli Apostoli” e includevano le epistole e i Vangeli; a volte si aggiungevano anche gli scritti dei Profeti; b) Il sermone: una istruzione del celebrante basata sulle letture ascoltate; c) Le preghiere: che formavano la conclusione della synaxis e, successivamente, prenderanno il nome di “preghiera dei fedeli”; d) Il bacio della pace: che rappresentava l’inizio originale dell’Eucaristia, seguito da ciò che più tardi si sviluppò nell’offertorio. Il diacono, dopo aver steso una tovaglia sull’altare, deponeva le offerte del pane e del vino, portate dai fedeli, e mescolava al vino un po’ d’acqua; e) La preghiera eucaristica: una lunga e solenne preghiera di «lode e gloria al Padre di tutti, a nome del Figlio e nello Spirito Santo», che il popolo confermava alla fine con l’amen; f) La comunione del celebrante, dei diaconi e del popolo: fatta sotto le due specie, veniva distribuita a tutti i presenti dai diaconi, i quali la portavano pure a coloro che non potevano partecipare al Sacrificio.
Giustino non consegna alcun testo di questa liturgia, tuttavia alcuni hanno rilevato come il testo fornito da Ippolito nella Traditio Apostolica si applichi perfettamente all’ordine della descrizione di Giustino. Inoltre, il filosofo e martire puntualizza come il pane e il vino siano ricevuti «come il Corpo ed il Sangue di Cristo».
In relazione a quanto detto, pur essendo il testo della preghiera liturgica, ancora nel III secolo, composto dal celebrante, nello svolgimento generale della liturgia si seguiva un ordinamento- base, sia pure a larghe maglie, di norme formatesi per la legge della consuetudine. Ad esempio, il formulario liturgico sorto in Roma ad opera di Ippolito fu adottato in Egitto e persino in Etiopia. Quindi, quanto esso conteneva si adattò all’ordinamento proprio di altri paesi, permettendoci di poter parlare, in senso lato, di una liturgia cattolica dei primi secoli.
IL TIMONE N. 128 – ANNO XV – Dicembre 2013 – pag. 47
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