Siamo sommersi da un’ondata di “eticità”. Turismo? lecito, purché responsabile. Banche? buone solo quelle etiche. Tutto, purché sia etico. Un bene? No! Ecco perché.
Inutile negarlo. Siamo travolti da un’ondata etica: il turismo etico (o responsabile che dir si voglia), la Banca etica con tanto di finanza etica, il commercio etico (detto anche equo e solidale). Istintivamente potrebbe sembrare un fenomeno positivo: finalmente c’è della gente che sente il bisogno di un po’ di pulizia, gente che interpreta la voglia di moralità e di cose pulite che, malgrado tutto, la maggior parte di noi desidera. Ma è solo una prima reazione, dura appena un istante. Poi comincia a subentrare un certo disagio, e cresce ogni volta che qualcosa di nuovo si presenta come “etico”. Perché questo disagio? Sostanzialmente perché si rovescia la realtà, perché questa filosofia dell'”eticità” nasconde una concezione negativa dell’uomo.
Prendiamo ad esempio il cosiddetto “turismo responsabile” : nato – almeno in Italia – come impulso a un modo più ecologico di andare in vacanza, ha poi esteso il proprio concetto fino ad abbracciare l’impegno per le culture e le società del Terzo mondo e la lotta al turismo sessuale. Decine di agenzie sono nate per assecondare la nuova tendenza. In sé tutti propositi meritori, a partire dalla lotta a quel tipo di turismo formato da facoltosi uomini occidentali che vanno a cercare avventure sessuali – spesso con bambini – in Paesi esotici. Ma qual è il problema? È che fino a qualche tempo fa queste forme di perversione o anche la più semplice maleducazione, inclusa la mancanza di rispetto per l’ambiente, venivano considerate – direi giustamente – come una forma di deviazione all’interno di un movimento turistico molto ampio composto di famigliole che si vanno a riposare qualche settimana al mare o in montagna o – per i più facoltosi – in qualche Paese lontano; di giovani e meno giovani che vanno a conoscere città d’arte e via dicendo. I numeri lo dimostrano: in tutto il mondo sono 650 milioni le persone che trascorrono le vacanze all’estero, gli occidentali protagonisti del turismo sessuale nei Paesi esotici sono nell’ordine delle decine di migliaia. Ora invece, le grandi campagne sul turismo responsabile e i titoli cubitali dei giornali fanno apparire il contrario: irresponsabili e immorali sono praticamente tutti, ad eccezione di quella schiera di eletti che pratica il “turismo responsabile”.
In estrema sintesi, il facoltoso pedofilo che va a cercare avventure nel Terzo mondo e il modesto operaio che risparmia un anno per portare la famiglia dieci giorni a Rimini si ritrovano accomunati dalla stessa condanna: i primi per lo sfruttamento di donne e bambini dei Paesi poveri, i secondi per un presunto impatto negativo sull’ambiente.
Si diceva all’inizio della concezione negativa dell’uomo. Basta leggere questo passo tratto dalla presentazione dell’Associazione Italiana del Turismo Responsabile: “II turismo è un fenomeno complesso, le cui conseguenze in termini di impatto ambientale, culturale, sociale ed economico non possono più essere ignorate. Impatto che spesso è devastante, soprattutto nei Paesi del sud del mondo, dove la perdita di valori e tradizioni, la sottrazione di risorse, il disagio sociale dovuti all’invasione del turismo di massa non viene nemmeno compensata da un’equa redistribuzione del reddito generato”.
È una descrizione catastrofica – oltretutto irrealistica -che riecheggia certi documenti usciti dalle Conferenze internazionali dell’Onu in cui si afferma che la popolazione nel mondo è eccessiva e che tale pressione provoca ogni genere di catastrofe, dalla distruzione della natura all’esaurimento delle risorse fino alle guerre.
La stessa filosofia, in fondo, sta dietro la Banca Etica con relativa finanza etica. Una definizione di questo genere già suggerisce che tutte le altre banche non sono etiche, cioè sono immorali.
Certo, molti di noi – se non tutti – hanno qualcosa da ridire sul modo in cui siamo trattati dalle banche. Ma qui il discorso non riguarda le norme sulla trasparenza bancaria o i costi del conto corrente, bensì il modo in cui i nostri soldi sono investiti. È certamente giusta la preoccupazione di non voler finanziare delle attività criminali con i propri risparmi, ma in realtà ben difficilmente si pone un’alternativa di questo genere. E comunque la pretesa di definire etica una banca implica che la quasi totalità dei risparmiatori sono immorali.
Analoga la questione del commercio equo e solidale, quando pretende di essere l’unico canale commerciale che rispetta i produttori e le culture del Terzo mondo.
Mentre – questo è il messaggio – il commercio mondiale è in sé “una struttura di peccato”. Ora qualcuno dovrebbe spiegarci perché la casalinga che fa fatica a far quadrare i conti alla fine de! mese è immorale se va al discount invece di recarsi alla bottega del commercio equo dove mediamente paga i prodotti un bel po’ di più. Eppure ormai è questa la situazione paradossale in cui viviamo: l’ondata di eticità si trasforma in una condanna del genere umano, semplicemente perché il 95% delle persone non fa vacanze responsabili, non investe in fondi comuni etici e non fa spesa nelle botteghe del commercio equo e solidale. C’è un ulteriore aspetto su cui vale la pena riflettere: questo richiamo continuo all’eticità o alla moralità – anche all’interno della Chiesa cattolica – porta a ritenere che il problema fondamentale per l’uomo sia morale.
Ma in questo modo si riduce la stessa domanda dell’uomo, che è una domanda di senso, di significato per la propria vita. Perciò la questione fondamentale non è etica ma ontologica, riguarda l’essere. E la risposta a questa domanda è Gesù Cristo, ovvero una persona e non un codice morale.
Chi fa esperienza de! cristianesimo comprende che la moralità è conseguenza della vita cambiata da Cristo, esigenza di corrispondere all’Amore.
Tale esperienza ci insegna inoltre che nella realtà coesistono bene e male, così che l’apposizione di un marchio di “eticità” (o di bene assoluto) è una menzogna che porta alla tirannia.
RICORDA
“Certo, nella sua azione pastorale la Chiesa deve percorrere ogni strada per far conoscere e rendere comprensibili all’uomo di oggi i principi morali che scaturiscono dalla fede. Ma una strada non è percorribile: quella che tenta di eliminare la croce di Cristo. I tentativi fatti in questo senso non riusciranno mai, perché un’etica senza la partecipazione alla croce di Cristo non sarebbe cristiana. Per la nostra fede cattolica, Cristo è il centro dell’etica. Nell’etica secolare, invece, il centro è l’uomo”.
(Card. Paul Poupard, Quei valori sospesi nel vuoto, in 30Giorni, n. 3, marzo 1998, p. 74).
IL TIMONE N. 15 – ANNO III – Settembre/Ottobre 2001 – pag. 16-17