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9.12.2024

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La “nostra casa”. Famiglia, ci salverà la Chiesa africana?
7 Febbraio 2015

La “nostra casa”. Famiglia, ci salverà la Chiesa africana?

Famiglia, ci salverà la Chiesa africana?

All’ultimo Sinodo i cardinali del Continente nero sono stati tra i più pugnaci nel difendere la dottrina su matrimonio e omosessualità.
Il loro protagonismo è il riflesso di un cattolicesimo giovane e vigoroso, che sui temi della vita e della sessualità è alla prese con una sfida decisiva

Sarà la Chiesa africana a venire in aiuto a quella che abita in Occidente sui temi legati alla famiglia?
Una Chiesa, la nostra, anzi le nostre, che vivono in un contesto di secolarizzazione estrema e che in tanti casi si dimostrano “porose” nei suoi confronti? La domanda è venuta a più di un osservatore dopo il recente Sinodo sulla famiglia, in cui i prelati africani sono stati tra i più assertivi nel difendere l’indissolubilità del matrimonio, nel richiamare il dettato delle Scritture e della Tradizione
riguardo all’ipotesi di ammettere i divorziati risposati civilmente alla Comunione, e nel ricordare la dottrina cattolica sull’omosessualità.
Sul primo punto, la loro prospettiva ha spiazzato molti. Uno degli argomenti pastorali portati all’attenzione generale, accanto a quelli teologici, è stato infatti la sfida che la Chiesa africana si trova ad affrontare nel contrastare la poligamia, de jure e de facto, e la visione dei rapporti tra uomo e donna che vi è collegata. «Dal racconto di numerosi cardinali – ha scritto il vaticanista statunitense John Allen – i prelati africani hanno parlato del loro sforzo per vincere l’accettazione della poligamia nella loro cultura, insistendo sul fatto che per la Chiesa il matrimonio è fra un solo uomo e una sola donna e per sempre. Qualsiasi cambiamento che offuscasse questo messaggio andrebbe a detrimento delle loro fatiche». Ovvero la voce di vescovi e cardinali dal Sud Africa al Kenya, dalla Tanzania all’Egitto ha richiamato, in modo molto concreto, l’universalità della Chiesa: il fatto che certe questioni che diventano “di bandiera” per pastori che vivono in Europa o nelle Americhe, altrove possono avere ricadute impensate e dirompenti.

«Non vogliamo la vostra decadenza»
Una descrizione efficace, a tratti tagliente, di questa criticità emersa al Sinodo l’ha fatta un altro influente intellettuale statunitense, George Weigel, sul mensile First Things, espressione autorevole del cattolicesimo di matrice wojtyliana e ratzingeriana negli Usa, che vale la pena di citare per esteso: «Non sorprende che le proposte su cui premevano maggiormente i tedeschi e i loro alleati nell’ultimo Sinodo siano state presentate dai maggiori media come qualcosa di coraggioso, fresco e innovativo, quando, di fatto, erano vestigia di una visione del cattolicesimo “progressista” che, sotto ogni aspetto, ha fallito in Europa e nel resto del mondo. Ciò che di nuovo è avvenuto nel Sinodo straordinario – e che ha contribuito a renderlo “straordinario” in senso letterale – è stato semmai il ruolo emergente del cattolicesimo africano, quale fattore fondamentale nel plasmare il futuro del cattolicesimo globale.
I padri sinodali africani sono stati fra i primi a criticare le proposte di Kasper, ricordando con forza che l’idea cristiana del matrimonio è giunta nelle loro culture come una forza di liberazione, soprattutto delle donne.
Hanno fatto capire, implicitamente ed esplicitamente, che i vescovi che rappresentano Chiese morenti non devono esportare la decadenza occidentale nel Sud globale, dove il cattolicesimo sta crescendo esponenzialmente, predicando le verità del Vangelo con compassione ma anche senza scendere a compromessi. Questa presa di posizione ha richiesto molto coraggio, non solo perché ha
esposto gli africani all’accusa di essere culturalmente arretrati […], ha richiesto coraggio perché buona parte della Chiesa in Africa è sostenuta da associazioni e fondazioni tedesche che aiutano i Paesi in via di sviluppo, che godono di ottima salute e sono molto generose proprio grazie alla Kirchensteuer (la tassa ecclesiastica, riscossa dallo Stato, con cui la Chiesa tedesca si finanzia ndr).
Così, a figure come il cardinale Wilfrid Fox Napier, l’arcivescovo francescano di Durban, in Sud Africa, spesso associato al cattolicesimo di sinistra, è parso che qualcosa della massima importanza fosse in gioco nel dibattito sinodale, sia sul matrimonio, sia sulla cura pastorale di coloro che hanno attrazione per uomini e donne del loro stesso sesso. Napier e altri hanno pensato che fosse giunto il momento di parlare francamente, cosa che il cardinale ha puntualmente fatto».
Napier, che un mese dopo è stato nominato dal Papa fra i presidenti delegati per il secondo round della partita, il Sinodo ordinario che si terrà nell’ottobre di quest’anno.
E papa Francesco che con le ultime nomine cardinalizie, in cui figurano il lazzarista Berhaneyesus Demerew Souraphiel, arcivescovo di Addis Abeba, e Arlindo Gomes Furtado, vescovo di Santiago di Capo Verde, ha portato il numero dei porporati africani a 20, di cui 18 elettori al conclave. Un riconoscimento del peso sempre maggiore che la Chiesa del continente nero va assumendo, come dimostrano anche solo le cifre: nel corso del ’900 i cattolici nell’Africa subsahariana sono passati da 1,9 milioni a più di 130 milioni, e il loro tasso di crescita resta tra i più sostenuti dell’orbe.

I ricatti di Ong e agenzie internazionali
Dopo l’ultima assise sinodale, non sono poi mancate le prese di posizione significative delle conferenze episcopali africane sui temi dibattuti a Roma. Per esempio quella del Ghana, che riunitasi dal 4 al 15 novembre ha divulgato una nota in cui si legge: «L’insegnamento perenne e immutabile della Chiesa sulla famiglia è basato sulla natura umana ma specialmente sulla Scrittura e sulla Sacra Tradizione, secondo cui Dio ha ordinato che il matrimonio sia tra un uomo e una donna, quando “Dio li fece uomo e donna e li benedì”. Dio ha voluto il matrimonio aperto alla vita “quando li benedì e disse crescete e moltiplicatevi”. Inoltre, Dio ha voluto che il matrimonio sia indissolubile, con le parole di Gesù: “L’uomo non separi ciò che Dio ha unito”». Dietro dichiarazioni simili, pur nel linguaggio “soft” ecclesiale, c’è tutto lo sforzo di resistere a pressioni da parte di lobby internazionali e Ong estere per introdurre contraccezione, aborto e ideologia del gender in Paesi che si ostinano a fare muro contro questi “doni” dell’Occidente.
Non va dimenticato che nonostante decenni di veri e propri ricatti subiti da potentissime agenzie internazionali, gli Stati africani che hanno adottato una legislazione sull’aborto simile a quella dei Paesi europei sono quattro: Sudafrica, Mozambico, Capo Verde e Tunisia. Lo scorso anno uno tra i più accreditati centri di ricerca su etica e religioni, il Pew Research Center di Washington, ha condotto un’indagine su come sono viste alcune grandi questioni morali nelle varie parti del mondo.
Nella lista dei Paesi che giudicano moralmente inaccettabile l’omosessualità, tra i primi dieci sei sono africani. Nell’ordine (la percentuale si riferisce a coloro che condividono questo giudizio sulla totalità della popolazione): Ghana 98%, Egitto 95%, Giordania 95%, Territori Palestinesi 94%, Indonesia 93%, Uganda 93%, Tunisia 92%, Kenya 88% Malesia 88%, Nigeria 85%.

Comunità in crescita, laici protagonisti
La forza, il vigore della Chiesa africana non è comunque solo una questione di clero (+ 39% l’aumento dei sacerdoti nel decennio 2003- 2013) e del loro protagonismo, come si è visto al Sinodo. Crescono anche i laici (e non solo per l’aumento dei nuovi nati: negli ultimi anni, dei 40mila battesimi annuali in Zambia, circa la metà sono stati di adulti) e il loro attivismo.
Un caso che merita di essere conosciuto è quello della nigeriana Theresa Okafor. Nata nel 1965, il padre, ateo, proveniva da una famiglia poligamica ma si era sposato con una nigeriana cattolica conosciuta durante gli studi a Oxford e, pur non convertendosi, era rimasto fedele al nuovo regime monogamico.
Okafor, cresciuta come cattolica dalla madre, è oggi a capo di League Nigeria, un’associazione pro-life che riunisce giovani professionisti del Paese, e direttrice della Foundation for African Cultural Heritage, un network interconfessionale di una ventina di associazioni pro-vita e pro-famiglia. Ha organizzato la prima conferenza contro l’aborto in Nigeria, ad Abuja nel 2009, si è battuta con successo contro il progetto di introdurre l’educazione sessuale nelle scuole, è diventata quindi un’ambasciatrice della cultura della vita di matrice africana nel mondo. Un profilo simile al suo è quello di un’altra cattolica nigeriana, Obianuju Ekeocha, ricercatrice in microbiologia, tra gli animatori di “Culture of Life Africa”, associazione a difesa della santità e della dignità della vita in Africa, il cui sito è un utilissimo bollettino per seguire la battaglia quotidiana che la Chiesa africana sta combattendo, spesso a nostra insaputa, per affermare la verità sull’uomo e sulla famiglia. â–

 
Il Timone – Febbraio 2015

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