«Nessuno può servire due padroni, perché o odierà l’uno e amerà l’altro, oppure si affezionerà all’uno e disprezzerà l’altro. Non potete servire Dio e la ricchezza. Perciò io vi dico: non preoccupatevi per la vostra vita, di quello che mangerete o berrete, né per il vostro corpo, di quello che indosserete; la vita non vale forse più del cibo e il corpo più del vestito? » (Mt 6,24-25)
Sappiamo che il Verbo di Dio è venuto in questo mondo per aiutarci, per alleggerirci la vita («Venite a me, voi tutti, che siete affaticati e oppressi, e io vi ristorerò» Mt 11,28). Non sembra invece che sia venuto a complicarcela ed appesantircela? Non distrugge, ma compie, cioè porta a perfezione… Non basta non uccidere, ma bisogna togliere qualunque pensiero di vendetta dal cuore… Non basta non commettere adulterio, ma bisogna togliere dal cuore ogni pensiero malvagio… Non basta non rubare, ma bisogna togliere dal cuore ogni attaccamento alle cose…
Per far tornare i conti abbiamo inventato diversi trucchi. Per esempio, un alleggerimento della legge per moderatismo: il seguace di Gesù è quello che non esagera mai, che non è “fanatico”. Cioè che non prende le cose troppo sul serio. Oppure per selezione: l’importante è “far del bene” o “volersi bene”. Se poi questi procedimenti non risultano convincenti c’è sempre la possibilità di immaginare un tribunale finale “di manica larga”. In fondo poi – come si dice a Roma – tutto finirà “a tarallucci e vino”.
Ma c’è un altro procedimento ancor più pericoloso. Se il «compimento della legge è l’amore » (Rm 13,10), perché non trovare il modo di costringere tutti ad essere poveri, distaccati dalle cose, altruisti, ecc. Il secolo che ci sta alle spalle ci ha fatto vedere i “paradisi” che gli uomini sanno costruire dando retta a tali nobili pensieri.
Dove allora trovare quella leggerezza che il Signore pur ci promette? «Il mio giogo infatti è dolce e il mio carico leggero» (Mt 11,30).
La risposta la troviamo ogni volta che andiamo a Messa e partecipiamo all’Eucaristia. «Questa sarà l’alleanza che io concluderò con la casa di Israele dopo quei giorni, dice il Signore: Porrò la mia legge nel loro animo, la scriverò sul loro cuore» (Ger 31,33). Dio aveva promesso di scrivere la legge nel nostro cuore di uomini, con tutta la perfezione che le compete, facendola diventare quello che essa è nel suo profondo e ciò a cui essa tende in tutte le sue forme e Gesù l’ha scritta nel suo cuore con la sua passione e la morte in croce, cioè con la sua libertà, perché la croce l’ha accettata e portata con tutta la libertà dell’amore: «Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue, che viene versato per voi» (Lc 22,20). Con la risurrezione egli vive e comunica questa sua vita a tutti coloro che liberamente la accolgono nel mistero della fede e dei sacramenti. Nel cuore di Gesù ogni infrazione della legge è distrutta, ogni ferita inferta all’amore è assunta ed è diventata vittoria dell’amore. È davanti a quel cuore che ci dobbiamo fermare e meditare e credere. È lì e solo lì che la nostra conversione diventa possibile e diventa leggerezza e allegria. Ciò che ormai è scritto a caratteri di sangue nel cuore di Gesù può essere scritto anche nei nostri cuori e darci la pace e farci gustare la vera gioia della giustizia, cioè dell’ordine di Dio, del suo “regno”.
La nostra giustizia è Gesù: «Nei suoi giorni Giuda sarà salvato e Israele vivrà tranquillo, e lo chiameranno con questo nome: Signore-nostra-giustizia» (Ger 23,6; 33,16). Con Gesù appare la giustizia di Dio: «in esso infatti si rivela la giustizia di Dio» (Rm 1,7). Questa giustizia non è più lontana, qualcosa da guardare fuori di noi e da considerare come un semplice modello, bello ma esagerato, sproporzionato alle nostre deboli forze. Essa si è realizzata perfettamente in un uomo come noi, che vuole essere «Il primogenito tra molti fratelli». A lui possiamo essere uniti con una unione profonda vitale, che nasce dalla fede e si compie naturalmente con l’amore. L’amore si manifesta nel desiderio che nasce dallo stupore e dall’ammirazione. Il Vangelo è buona notizia perché ci parla di questa venuta e ci descrive la vita di Gesù e la sua bellezza, tale da far nascere in noi il desiderio di essere come lui. Questo desiderio non parte da noi e non si può realizzare con le nostre forze, ma è il presupposto perché la giustizia che è Gesù venga da noi accolta.
L’affanno può consumare la nostra vita attorno alle cose materiali essenziali come il cibo e il vestito, ma può contagiarci con la sua febbre ansiosa anche attorno alle cose della salvezza.
C’è un detto di sant’Ignazio di Loyola che è giunto a noi per tradizione orale. La sua formulazione più sicura è questa: Credi, come se tutto dipendesse dalla tua fede; agisci, come se tutto dipendesse dalla grazia di Dio.
Ci aiuta a capire che l’invito di Gesù a non affannarci non riguarda solo il cibo e il vestito, ma tutta la nostra vita: l’unico “affanno” che ci è concesso è quello della fede, la quale è proprio, per sua intima natura, l’“anti-affanno”: «[…] come un bimbo svezzato in braccio a sua madre, come un bimbo svezzato è in me l’anima mia» (Sal 131,2).
Tutto ciò si esprime anche nel ricorrente dialogo liturgico: «Il Signore sia con voi! E con il tuo spirito». Questa sia la nostra unica vera preoccupazione.
IL TIMONE N. 102 – ANNO XIII – Aprile 2011 – pag. 60