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13.12.2024

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La nuova Apologetica di Giovanni Paolo II
31 Gennaio 2014

La nuova Apologetica di Giovanni Paolo II

 

 

Conquistare anime, difendere e promuovere il Vangelo: in tre verbi il Papa riassume i compiti dell’apologetica.

 

 

Per chi scrive sul Magistero in una rivista di apologetica, leggere il discorso che Papa Giovanni Paolo II (L’Osservatore Romano, 2-3 novembre 1999) ha rivolto ai vescovi canadesi delle regioni occidentali il 30 ottobre scorso, in occasione della consueta visita ad limina Apostolorum che i vescovi del mondo fanno periodicamente al Pontefice, è stata occasione di gioia ma soprattutto un’indicazione preziosa di come si possa e si debba promuovere una nuova apologetica, adeguata a trasmettere la verità di sempre alle persone di oggi.
“Insegnare la fede ed evangelizzare significa proclamare al mondo una verità assoluta e universale” ha detto il Papa ai presuli canadesi, ma il problema che interroga ogni forma di apostolato, e quindi prima di tutti il successore del capo degli apostoli, è trovare i “modi appropriati e significativi, che rendano le persone ricettive a tale verità”. Per affrontare questo tema tanto importante, il regnante Pontefice ha ricordato le parole del suo predecessore Paolo VI, contenute nell’enciclica con la quale inaugurò il suo pontificato, dove Papa Montini indicava quattro qualità necessarie alla promozione della verità nel mondo moderno: chiarezza, mitezza, fiducia e prudenza (Enciclica Ecclesiam Suam, 6 agosto 1964). Parlare con chiarezza all’uomo d’oggi, significa non soltanto ripetere, ma spiegare le verità della Rivelazione e l’insegnamento della Chiesa. “In altri termini – ha detto il Santo Padre – abbiamo bisogno di una nuova apologetica, in sintonia con le esigenze attuali, che tenga presente che il nostro compito non è quello di prevalere nelle discussioni, ma di conquistare le anime, di impegnarci non in dispute ideologiche, ma nella difesa e nella promozione del Vangelo”. Sono parole importanti: da una parte inducono i cattolici alla consapevolezza di essere stati investiti dalla Verità che salva per offrirla agli altri, d’altra parte ricordano agli stessi cattolici come la posta in gioco sia appunto rappresentata dalla salvezza delle anime e non dal risultato di discussioni ideologiche. Nella nostra epoca, successiva al tramonto delle ideologie, bisogna comprendere che le principali insidie alla Fede vengono portate non tanto da sistemi di pensiero alternativi, le ideologie appunto, ma dal trionfo del nichilismo e de relativismo nel modo di pensare e di vivere dell’uomo moderno, cioè dal vuoto, dall’assenza di significato e di scopo della vita umana. Se questo è vero, la nuova apologetica – definendo quest’ultima con le parole dell’Enciclopedia Cattolica, “la scienza che dimostra la credibilità razionale della fede cattolica”, – dovrà soprattutto impegnarsi nel cercare di preparare la persona all’atto di fede, mostrando la ragionevolezza di quest’ultima cercando, come ha detto sempre Papa Giovanni Paolo II, “una ‘grammatica’ comune con coloro che vedono le cose in modo differente e non condividono le nostre asserzioni”. A questo fine, “la nuova apologetica dovrà respirare anche uno spirito di umanità, quell’umiltà compassionevole che capisce le ansie e gli interrogativi delle persone e che non si affretta a vedere in esse cattiva volontà o fede”, ma senza assumere “un senso sentimentale dell’amore e della compassione di Cristo scisso dalla verità”, perché “non dobbiamo mai perdere di vista il fatto che il Vangelo di Gesù Cristo è la verità alla quale tutte le persone anelano, per quanto esse possano apparire distanti, reticenti od ostili”. Il Santo Padre Giovanni Paolo II ha ricordato la prima enciclica di Papa Paolo VI, Ecclesiam Suam. Promulgata nel 1964, prima di due avvenimenti epocali della storia contemporanea, quali il Sessantotto e la caduta del Muro di Berlino nel 1989, continua a conservare la validità che ha spinto il regnante Pontefice a partire da essa per invitare all’apostolato e a pensare una nuova apologetica. In questo documento, Paolo VI poneva le domande essenziali, precedenti ogni apostolato e fondamento di ogni apologetica: “Fino a quale grado la Chiesa deve uniformarsi alle circostanze storiche e locali in cui svolge la sua missione? Come deve premunirsi dal pericolo d’un relativismo che intacchi la sua fedeltà dogmatica e morale? Ma come insieme farsi idonea a tutti avvicinare per tutti salvare, […]” e impostava la risposta: “Non si salva il mondo dal di fuori; occorre, come il Verbo di Dio che si è fatto uomo, immedesimarsi, in certa misura, nelle forme di vita di coloro a cui si vuole portare il messaggio di Cristo, occorre condividere, senza porre distanza di privilegi, o diaframma di linguaggio incomprensibile, il costume comune, purché umano ed onesto, quello dei più piccoli specialmente, se si vuole essere ascoltati e compresi” […].
Ma il pericolo rimane. L’arte dell’apostolato è rischiosa. La sollecitudine di accostare i fratelli non deve tradursi in una attenuazione, in una diminuzione della verità. […] L’irenismo e il sincretismo sono in fondo forme di scetticismo rispetto alla forma e al contenuto della Parola di Dio, che vogliamo predicare. Solo chi è pienamente fedele alla dottrina di Cristo può essere efficacemente apostolo. E solo chi vive in pienezza la vocazione cristiana può essere immunizzato dal contagio di errori con cui viene a contatto”.
Era la prima enciclica del Papa, nel secondo anno di pontificato e in pieno svolgimento del Concilio Ecumenico Vaticano II: quanti errori, incomprensioni e disastri si sarebbero evitati se tutti avessimo prese sul serio tutte le sue parole. Queste rimangono, tuttavia, indicazioni preziose e autorevoli per la nuova evangelizzazione continuamente richiamata da Giovanni Paolo II.

 

“Il nostro compito non è quello di prevalere nelle discussioni, ma di conquistare le anime, di impegnarsi non in dispute ideologiche, ma nella difesa e promozione del Vangelo”

Giovanni Paolo II

IL TIMONE – N.5 – Gennaio/Febbraio 2000 – pag. 22-23

 

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