La “novità” cristiana
Che significa “nuova evangelizzazione”?
Significa in primo luogo la nostra volontà di cogliere e di far cogliere il carattere intrinseco dell’azione salvifica di Dio, che è data appunto dalla “novità”.
Il cristianesimo, quando è compreso nella sua autenticità, è sempre qualcosa di inedito, di diverso, di sorprendente rispetto a tutto lo scenario mondano in cui si inserisce. Ma non sempre è capito così, neppure da noi che ci professiamo discepoli del Signore Gesù. È importante allora che tutti prendiamo coscienza dell’assoluta giovinezza del Vangelo (il quale è inconfrontabile con tutte le mutevoli e senescenti ideologie in cui si imbatte) e della sua sempre viva capacità di ringiovanire i cuori, le culture, la storia.
Nella vicenda mondana – così ripetitiva e monotona nei suoi errori, nei suoi drammi, nelle sue insipienze – l’evento cristiano è la sola vera novità. È una “alleanza nuova” con il Creatore (di una “novità” assoluta che la rende definitiva: cf Lc 22,20); è una “dottrina nuova con potenza” (Mc 1,22); è una “creazione nuova” (2 Cor 5,17); è una “vita nuova” (Rm 6,4), animata e regolata da un “comandamento nuovo” (Gv 13,34).
Nella società stanca e logora del nostro tempo l’incidenza della proposta evangelizzatrice per larga parte dipenderà dalla nostra capacità di far percepire come una scoperta la sua novità sostanziale.
Nuovo slancio per nuovi interlocutori
“Nuova evangelizzazione” indica poi la nostra determinazione a proclamare il messaggio di Cristo con slancio più generoso, con voce più fresca, con animo più risoluto, oltre gli schemi convenzionali e i moduli consueti.
“Nuova evangelizzazione” manifesta anche la nostra consapevolezza di avere degli interlocutori che non sono più nelle condizioni concrete che contrassegnavano le epoche precedenti.
Un’analisi adeguata qui sarebbe troppo lunga: ma qualche rapida annotazione è doverosa.
Dopo oltre due secoli di predominio della cultura illuministica, il mondo occidentale ha quasi consumato il patrimonio residuo delle convinzioni cristiane che fino a pochi anni fa apparteneva ancora alla coscienza comune (per esempio: la saldezza della famiglia, l’intangibilità della vita umana innocente, l’educazione al senso del dovere, ecc.): anche se venivano spesso violate, le norme cristiane del vivere erano riconosciute praticamente da tutti. Ora non è più cosi: la società è profondamente mutata soprattutto perché sembra non aver più le stesse regole del gioco sociale.
Per esempio, all’umanità post-sessantottina – che ha tra i dogmi più intransigenti e venerati della sua “cultura” quello che “è vietato vietare” – la proposta evangelica riesce antipatica, perché è percepita come un’imposizione arbitraria e comunque estrinseca al soggetto che agisce, il quale si ritiene signore unico e giudice insindacabile di se stesso e della sua esistenza.
In particolare a partire dal 1974 – l’anno infausto del più miope e clamoroso sbandamento ecclesiale – la cristianità italiana è esposta senza tregua ad attacchi contro la concezione cattolica, che si fanno sempre più accaniti in tutti campi della vita personale e della vita associata.
Con la fine del comunismo infine – dissolto il pericolo di cadere sotto la più brutale e irragionevole schiavitù che abbia conosciuto la storia – stanno emergendo i termini veri ed eterni della “questione umana”: la questione cioè della natura dell’uomo, del suo destino, del suo limite, del suo impegno morale. E su tali problemi si va sempre più delineando una vasta omologazione in senso antievangelico. Come si vede, la situazione si è in pochi anni radicalmente alterata.
Verità e comunione ecclesiale
A un’impresa come quella della “nuova evangelizzazione” ci si deve accingere con un grande amore per la verità divina e con un culto non puramente terminologico della comunione ecclesiale.
In questo amore e in questo culto alla famiglia dei credenti si richiede che trovi, oltre la legittima varietà degli accenti, quell’unità che le consentirà di essere testimone plausibile e annunciatrice incisiva. L’annotazione è di rilievo, perché innegabilmente c’è in questi anni molta confusione nella cristianità e troppo spesso si ascoltano da più parti insegnamenti discordi. Sicché si rende necessario qualche principio per il discernimento.
Le guide autentiche
Da chi ci lasceremo guidare? È ovvio che attingeremo di che saziare la nostra sete di verità e di comunione soprattutto dalla Sacra Scrittura.
Essa va letta e compresa entro tutto l’avvenimento cristiano, così come la nostra contemplazione della vicenda salvifica va nutrita assiduamente con la meditazione della parola ispirata. Non dovrà essere dunque una lettura separata dalla piena e autentica esperienza del fatto salvifico; non dovrà essere una lettura intellettualistica, alla sola portata dei privilegiati del sapere, né una lettura spiritualmente aristocratica, ma una lettura integralmente ecclesiale, compiuta con la semplicità e la mansuetudine dei “piccoli”, ai quali i misteri del Regno riescono più congeniali (cf Mt 11,25).
Soprattutto è auspicabile che i detti del Signore siano da noi meditati senza scelte arbitrarie e senza censure, così che si possa davvero entrare nel “clima” degli inizi cristiani, luminoso di verità e caldo di passione apostolica.
Ci lasceremo guidare poi dagli insegnamenti dei legittimi pastori, secondo la natura della loro intrinseca autorevolezza: prima di tutto il magistero della Sede Apostolica e dei Concili ecumenici; quindi gli insegnamenti del vescovo che la Provvidenza ci ha concretamente assegnato per questi giorni fuggevoli che stiamo vivendo; infine i documenti della Conferenza episcopale italiana.
Il discernimento delle altre voci
Le opinioni che possiamo raccogliere dai singoli autori (quale che sia la loro qualifica ecclesiastica o accademica) e dalle varie riviste di teologia, di pastorale, di liturgia, di attualità (quale che sia la loro diffusione), chiedono di essere valutate con animo libero e sana attitudine critica alla luce di quanto ci viene esposto o proposto o suggerito da coloro che lo Spirito Santo ha posto a pascere la Chiesa di Dio (cf At 20,28): rovesciare questo criterio, e misurare gli atti del magistero autentico sul metro dei pareri dei singoli autori (per quanto famosi e blasonati) sarebbe procedimento teologicamente scorretto e pastoralmente rovinoso.
Le voci che si sentono sono tante e non di rado discordi. Personalmente mi sono fatto l’idea che a giudicare positivamente i diversi pronunciamenti (come del resto i vari fenomeni di aggregazione ecclesiale) sia utile verificare in via preliminare l’esistenza simultanea di questi tre dati:
– la piena convinzione che Gesù sia l’unico e necessario Salvatore del mondo (cioè di tutti gli uomini senza eccezioni, dei valori e delle culture) e non abbia bisogno di niente e di nessuno che lo salvi dall’inattualità;
– la percezione della bellezza soprannaturale della Chiesa (bellezza che di solito è visibile soltanto agli occhi della fede, ma non per questo è meno reale, anche quando è nascosta dalle nostre bruttezze), e conseguentemente l’amore schietto, semplice, appassionato per colei che è la Sposa del Signore Gesù e la Madre nostra;
– la consapevolezza che è tuttora in atto nella storia il combattimento tra il bene e il male, e l’armistizio non è mai stato dichiarato.
Chi condivide queste persuasioni, si può presumere che sia un compagno affidabile nell’opera che ci siamo prefissati. Chi non le condivide, possiamo solo sperare che dalla nuova evangelizzazione egli sia presto o tardi condotto a condividerle con la grazia del Signore.
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