L’esortazione Verbum Domini
Provvidenziale è così la pubblicazione dell’esortazione apostolica Verbum Domini di Benedetto XVI, dedicata appunto alla Parola di Dio nella vita e nella missione della Chiesa e resa ancora più importante dal fatto di tenere conto dei lavori, nell’ottobre 2008, del Sinodo dei vescovi, appunto dedicato alla Scrittura.
Come spesso capita ai testi del Magistero, il documento è passato sotto silenzio quasi completamente, complice la pubblicazione a ridosso di altri più eclatanti eventi, anche ecclesiali, e la mole non indifferente, oltre 200 pagine. Tuttavia è importante, per tanti motivi e anche per i dubbi che affronta e risolve con l’autorità, appunto, del Magistero pontificio, relativamente al rapporto fra Scrittura e Tradizione, fra utilizzo del metodo storico-critico e Parola di Dio, fra i diversi sensi dell’interpretazione della Scrittura. Il testo non si rivolge soltanto agli specialisti (io non ne faccio parte), ma anzi è una possibile lettura spirituale, che nutre e arricchisce l’anima del lettore e lo invoglia a leggere direttamente, con la Chiesa, quanto Dio ha voluto rivelarci attraverso la Sua Parola. Si divide in tre parti.
Dio parla
Nella prima, viene messa in luce la peculiarità del cristianesimo, l’unica religione attraverso la quale è Dio a rivolgersi agli uomini, per cui pur non essendo una religione del libro, è la «“religione della Parola di Dio”, non di “una parola scritta e muta, ma del Verbo incarnato e vivente» (Verbum Domini, 7). Questa Parola si manifesta completamente in Cristo, la Parola incarnata, ma è presente anche nella Creazione che «la tradizione filosofica – scrive il Santo Padre (n. 9) – chiama “legge naturale”».
La Parola è evidentemente presente anche nelle Sacre Scritture vere e proprie, cioè nell’Antico e nel Nuovo Testamento, che possiamo ascoltare attraverso la Divina liturgia, per mezzo delle ispirazioni dello Spirito Santo, avendo peraltro l’attenzione di non confondere la Rivelazione con le rivelazioni, queste ultime dette “private”, che hanno soltanto lo scopo di aiutarci a comprendere meglio la prima.
Così le Scritture incontrano la «viva Tradizione » che è «essenziale affinché la Chiesa possa crescere nel tempo nella comprensione della verità rivelata nelle Scritture» (Verbum Domini, 17). Dunque la viva Tradizione ha scelto i libri canonici che appartengono alla Scrittura ed è sempre la viva Tradizione ad aiutarci a interpretarla: una Scrittura vera e ispirata da Dio, scrive Benedetto XVI, ma che dobbiamo sempre confrontare con il Magistero. Su questo punto il Papa si sofferma a lungo, nei paragrafi successivi al n. 29, appunto per sostenere che l’autentica interpretazione della Bibbia non può avvenire se non nella fede ecclesiale, che ha Maria come paradigma: «non crederei al Vangelo se non ci inducesse l’autorità della Chiesa cattolica», scrive sant’Agostino e riporta il Pontefice (n. 29).
La Scrittura comunque è un tema delicato. Nonostante le parole colte e impegnative dei Pontefici e del Vaticano II, che leggono il Magistero della Chiesa sul tema Sacra Scrittura come continuità, molti teologi preferiscono usare la Bibbia secondo uno stile protestante, dunque individualista. Oppure, contrappongono le interpretazioni del Magistero alla Bibbia stessa. Invece papa Ratzinger applica felicemente l’ermeneutica della riforma nella continuità, usata nel celebre discorso alla curia romana del 22 dicembre 2005 a proposito del Vaticano II, anche in questa occasione a tutto il Magistero sul tema, dall’enciclica di Leone XIII Provvidentissimus Deus del 1893 a quella di Pio XII Divino afflante Spiritu del 1943. Mentre la prima aveva di fronte la sfida del razionalismo, e seppe contrapporsi a questa interpretazione culturale della storia senza fare concessioni a un vago spiritualismo, papa Pacelli doveva fare fronte ai sostenitori di un’interpretazione astratta e mistica della Scrittura. Poi, nel 1965, verrà la Dei Verbum, costituzione dogmatica del Vaticano II, che ricorda sia l’utilità dell’utilizzazione del metodo storico critico, sia i suoi limiti perché non deve mai scomparire l’aspetto spirituale e attuale della lettura della Scrittura. Questi due pericoli non vanno mai dimenticati nell’accostarsi alla Bibbia: una ermeneutica secolarizzata, positivista e dall’altra parte una interpretazione spiritualista, disincarnata dalla storia. Esse fanno male alla Chiesa, scrive il Papa, per diversi motivi (cfr. n. 35).
Inoltre il Papa raccomanda il profondo rapporto fra Antico e Nuovo Testamento, invitando a coglierne i diversi aspetti, da una parte la «continuità», ma anche la «rottura» e quindi il «compimento e superamento»: «Il mistero di Cristo sta in continuità d’intenzione con il culto sacrificale dell’Antico Testamento; si è attuato però in modo molto differente, che corrisponde a parecchi oracoli dei profeti, e ha raggiunto così una perfezione mai ottenuta prima» (n. 40).
La Parola nella Chiesa
Alla Chiesa appartengono coloro che hanno accolto la parola di Cristo. Lasciandosi trasformare da essa diventano figli di Dio. La Parola si incontra nella liturgia (n. 52), nei sacramenti (n. 53) e in particolare nell’Eucarestia (n. 54). Il Papa ricorda anche come i Padri sinodali abbiano insistito sul valore del silenzio, come occasione privilegiata per ricevere la Parola di Cristo, i cui misteri sono appunto legati al silenzio, come dicevano i Padri della Chiesa. In particolare, il Papa invita a non cadere nella soluzione apparentemente più semplice, che consiste nell’aggiungere nuovi incontri biblici ai già molti che vengono proposti, «ma di verificare che nelle abituali attività delle comunità cristiane, nelle parrocchie, nelle associazioni e nei movimenti, si abbia realmente a cuore l’incontro personale con Cristo che si comunica a noi nella sua Parola» (n. 73).
Una Chiesa missionaria
Dopo questa seconda parte dedicata al corpo di Cristo, il Pontefice affronta nella terza parte quella che indica come la missione specifica della Chiesa: annunciare la Parola di Dio al mondo. In queste pagine troviamo la consapevolezza di papa Ratzinger del dovere di continuare la missione ad gentes e di intraprendere la nuova evangelizzazione dei Paesi dove è profondamente penetrato il secolarismo (nn. 95-96). E così facendo, di trasformare le culture, secondo le intenzioni dell’esortazione apostolica di Paolo VI Evangelii nuntiandi, che già nel 1975 invitava a evangelizzare il mondo scristianizzato, per trasformare i criteri di giudizio degli uomini alla luce del Vangelo.
Il compito dell’uomo contemporaneo non è cambiato, anche se è profondamente mutato, da allora, lo scenario storico e geopolitico.
IL TIMONE N. 100 – ANNO XIII – Febbraio 2011 – pag. 58 – 59
Riceverai direttamente a casa tua il Timone
Se desideri leggere Il Timone dal tuo PC, da tablet o da smartphone
© Copyright 2017 – I diritti delle immagini e dei testi sono riservati. È espressamente vietata la loro riproduzione con qualsiasi mezzo e l’adattamento totale o parziale.
Realizzazione siti web e Web Marketing: Netycom Srl