Pur tenendo il massimo distacco, non posso considerare la pellicola di Gibson un semplice film. È vero, ci sono un paio di scene forse un po’ forzate da un punto di vista spettacolare, ma ciò non toglie che il film sia pervaso da grandi emozioni che procurano forti sensazioni. È innegabile (perché si vede!) che La passione di Cristo sia un film fortemente voluto e creduto da Mel Gibson. Il regista, pur basandosi sui testi sacri e su altri documenti importanti, aggiunge delle annotazioni personali (spesso con l’uso del flashback) che, in più di un’occasione, colpiscono direttamente il cuore dello spettatore. In questo contesto si può senz’altro inserire la scelta – in realtà una scommessa (vinta) – di far recitare in aramaico e latino. Particolarità apprezzabile per due motivi. Il primo: sentendo parlare nella lingua originale del tempo ti immergi (consentitemi il termine) completamente nella vicenda. Il secondo ha una visione un po’ più romantica: in tutto il mondo questo film, che parla della vita e soprattutto della morte di Cristo, è stato visto e sentito allo stesso modo creando una sorta di “unità”. Credo che a chiunque sia venuto più di un pensiero nel vedere la scena dell’ultima cena: sentire nella dizione in cui molto probabilmente sono state pronunciate le parole dove è racchiuso il mistero della morte e della resurrezione di Gesù non può lasciare indifferenti.
Da vedere. Da pensare.
IL TIMONE – N.41 – ANNO VII – Marzo 2005 pag. 63
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