Varcando il portale del Duomo di Monreale, veniamo avvolti da uno splendore e bellezza che affascinano e fanno sentire immersi nel mondo di Dio. Osservando le scene che narrano i momenti della creazione, notiamo che la maestosa figura del Creatore ha quella stessa fisionomia di Gesù che poi ritroviamo nelle rappresentazioni del Nuovo Testamento. Il volto del Padre Creatore è il medesimo volto del Figlio. Certamente la scelta dell’artista si ispira a quello che ripetiamo nella Liturgia durante la recita del Credo: «Per mezzo di lui (Cristo) tutte le cose sono state create». Ma c’è anche un motivo più profondo: nel Vangelo si narra che l’Apostolo Filippo chiese a Gesù: «“Signore, mostraci il Padre e ci basta”. Gesù gli rispose: “Filippo, chi ha visto me, ha visto il Padre”». Comprendiamo che se vogliamo immaginare Dio Padre, dobbiamo pensare a Gesù e se desideriamo incontrare il Padre, lo possiamo fare attraverso Gesù. Purtroppo l’arte barocca ci ha deviato dalla saggezza dei mosaici di Monreale, scegliendo di rappresentare il Padre come un anziano con lunga barba bianca, autorevole, degno di rispetto e a tratti persino severo. Questo ha sicuramente scoraggiato quel rapporto confidente e filiale con il Padre, che invece ha voluto donarci Gesù nel Vangelo. Se infatti consideriamo la nostra preghiera, possiamo riconoscere che difficilmente ricorriamo al Padre nelle nostre invocazioni, tanto meno abbiamo con lui un dialogo affettuoso e diretto. Forse l’unico momento in cui ci rivolgiamo al Padre, è quando usiamo le parole che Gesù stesso ci ha insegnato nel Padre nostro. Eppure, la missione di Gesù fu proprio quella di rivelarci il Padre, perché potessimo entrare nel suo mistero e chiamarlo Abbà. Non solo: tutta la preghiera liturgica a cui prendiamo parte è sempre un’invocazione rivolta al Padre attraverso Gesù Cristo nello Spirito Santo. Accantonando l’idea barocca, ci mettiamo alla scuola del sapiente suggerimento dei mosaici di Monreale e guardiamo Gesù per comprendere il Padre. I Vangeli mostrano la profonda intimità tra il Figlio Gesù e Dio Padre, e suggeriscono chi è il Padre e come dobbiamo rivolgerci a lui. Leggendoli, scopriamo che l’intimità di Gesù col Padre è alimentata innanzitutto da una strettissima unione: «Io e il Padre, siamo una cosa sola»; poi dallo spirito di lode: «Ti benedico, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai tenuto nascoste queste cose ai sapienti e agli intelligenti e le hai rivelate ai piccoli»; da una profonda confidenza nella prova: «Padre mio, se è possibile, passi da me questo calice! Però non come voglio io, ma come vuoi tu!»; dalla sicurezza di venire ascoltato: «Padre, ti ringrazio che mi hai ascoltato. Io sapevo che sempre mi dai ascolto»; dall’affidamento di chi gli sta accanto: «Padre santo, custodisci nel tuo nome coloro che mi hai dato» o anche: «Padre, perdonali, perché non sanno quello che fanno»; dal grido nel momento dell’angoscia: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?».
Imitando Gesù, noi dobbiamo accostarci con confidenza e audacia a Dio Padre, sentendo l’amore di cui ci circonda, percependo quale cura ha per ciascuno di noi con la sua provvidenza, coltivando la certezza che, con la sua volontà, ci conduce per mano, desiderando solo il nostro bene. Qualche volta tornerebbe utile osservare i giovani papà mentre stanno con i loro bambini. Noteremmo l’amore, il desiderio, la premura, la preoccupazione, la gioia, l’orgoglio, i sacrifici di cui circondano i loro piccoli. Anche dal semplice loro sguardo possiamo intuire che vivono per loro e per loro sono disposti a tutto. Gesù ci ha rivelato Dio come Padre proprio perché sentissimo su di noi questo amore paterno. Ed è proprio comprendendo la paternità di Dio che Santa Teresa di Lisieux ha percorso la sua piccola via, quella dell’infanzia spirituale: sentirsi dei piccoli bambini tra le braccia di Dio nostro Padre.
Ma come possiamo imparare a pregare Dio Padre con questi sentimenti, abbandonando quel senso di lontananza, di autorevolezza e di rispetto che sono le caratteristiche che sentiamo quando pensiamo al Padre? Diventa utile percorrere tre strade.
La prima: iniziare a pregare il Padre come Gesù ci ha insegnato. In concreto, dobbiamo imparare a recitare il Padre Nostro, fermandoci con il cuore sulla prima parola e pensando al Padre con le caratteristiche che abbiamo appena ricordato. Inoltre, bisogna ricorrere al Padre nelle varie circostanze della nostra esistenza, coltivando i sentimenti di Gesù, cioè ripetendo le parole che Gesù stesso ha rivolto al Padre nei diversi momenti della sua vita. L’elenco dei versetti riportati sopra potrebbe essere imparato a memoria e costituire un buon inizio, perché ci dà la possibilità di ripetere il versetto adeguato quando ne sentiamo il bisogno.
La seconda: coltivare nel cuore la certezza, lo stupore e l’orgoglio di essere figli di Dio. Con il Battesimo il Padre ci ha adottati nel Figlio e così ci ha fatto partecipare della sua vita divina. Continuamente, durante il giorno da quando apriamo gli occhi, dobbiamo imparare a ripetere a noi stessi: “sono figlio di Dio!”. La considerazione di noi stessi ed il modo di affrontare la vita cambierebbero di molto: affronteremmo le difficoltà, i rapporti con gli altri, la lotta al peccato e le delusioni con lo spirito e la dignità di chi ha la certezza di appartenere a Dio come figlio.
La terza: vivere uno spirito di abbandono nelle mani del Padre, sapendo che ha cura di noi, non ci dimentica e ci avvolge nel suo amore sconfinato. Per accrescere questo abbandono colmo di fiducia, è bello far diventare frequenti nella nostra vita le parole di Gesù: «Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito». E poi può essere utile pregare in alcuni momenti particolari con la splendida preghiera di Charles de Foucauld: «Padre mio, io mi abbandono a Te, fa’ di me ciò che ti piace; qualunque cosa tu faccia di me, ti ringrazio».
Solo percorrendo questa strada, attraverso la contemplazione del volto del Figlio Gesù, riusciremo ad innamorarci del vero volto del Padre.
Dossier: IL MISTERO DELLA PATERNITÀ DIVINA
IL TIMONE N. 101 – ANNO XIII – Marzo 2011 – pag. 46