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11.12.2024

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La prudenza, fondamento delle virtù morali
31 Gennaio 2014

La prudenza, fondamento delle virtù morali

 

 

 

 

La prudenza è la capacità per cui l’uomo conosce e decide, percepisce la realtà e comanda al volere e all’agire di tendere al bene conosciuto. Essa si applica a tutte le altre virtù morali, stabilendo il modo in cui l’atto buono deve essere compiuto.
 
 

L' uomo buono è colui che sa scegliere il bene e compierlo; la realizzazione del bene è cosa completamente diversa sia dall'osservanza pura e semplice della prescrizione morale, sia dall'agire spontaneo originato dalle «buone intenzioni» del cuore. Le buone intenzioni non sono sufficienti a rendere buona un'azione: l'agire buono nasce da «intenzioni buone», è cioè il risultato di un processo in cui intervengono anche la conoscenza della realtà, la scelta di un bene, l'elezione dei mezzi, la deliberazione di tendere a quel bene determinato, il consenso, e infine il comando impartito dalla volontà alle altre facoltà per compiere l'azione.
La capacità per cui l'uomo conosce e decide, percepisce la realtà e comanda al volere e all'agire di tendere al bene conosciuto è la prudenza. La prudenza dà forma all'azione voluta, perciò essa si applica a tutte le altre virtù morali stabilendo il modo in cui l'atto buono deve essere compiuto: soltanto chi è prudente può essere anche giusto, forte e temperante.
Per l'etica cristiana prudenza e bontà coincidono nell'uomo, perché la prudenza è la causa per cui tutte le altre virtù sono tali.
Vi può essere una volontà istintiva di agire rettamente, ma soltanto attraverso la prudenza un'inclinazione istintiva verso il bene può diventare atto buono. Poiché la prudenza è la «misura» di tutte le altre virtù, essa ha una preminenza che le deriva dal conformare alla realtà ogni volere e ogni agire. La realizzazione del bene presuppone la conoscenza della realtà e un giudizio veritiero su di essa: colui che respinge la realtà respingendo la verità, non può compiere atti buoni.
La prudenza nasce da due fonti:
– i principi generalissimi della coscienza: bisogna amare e attuare il bene;
– la conoscenza delle circostanze concrete.
A partire da questo orizzonte, essa si configura come una specie di «coscienza della situazione» per mezzo della quale conoscenze vere si trasformano in decisioni buone. La conoscenza della situazione concreta è possibile grazie alla fatica paziente dell'esperienza, che nasce da una disposizione del cuore a «tacere» per poter «ascoltare» il senso delle cose. È questo sguardo silenzioso a racchiudere in sé le premesse della prudenza come conoscenza. Tali premesse sono: memoria, docilitas, solertia.

Memoria, docilitas, solertia: le modalità della prudenza
Memoria non significa solo ricordo, ma fedeltà all'essere della realtà. La memoria "fedele» serba la verità delle cose reali perché diventi norma dell'agire. La falsificazione della realtà custodita è la rovina della memoria, perché contraddice la sua natura intima che è di contenere la verità delle cose.
La docilitas è una premessa necessaria alla prudenza perché essa è apertura al reale, capacità di lasciarsi dire qualcosa, d'istruirsi. Essa esclude la saccenteria perché sorge dalla volontà di raggiungere una conoscenza vera della realtà; il saccente non ha in sé questa volontà perché ritiene di possedere già tutte le risposte ed è quindi strutturalmente impossibilitato a cogliere il senso del reale e il suo valore normativo.
La solertia è la capacità per cui, di fronte a una situazione imprevista e improvvisa, l'uomo non reagisce alla cieca, ma, rapidamente, con equilibrio e sguardo aperto, decide per il bene contro le tentazioni d'ingiustizia, viltà e intemperanza.
Memoria, docilitas e solertia riguardano la prudenza sotto l'aspetto conoscitivo in quanto permettono di analizzare il presente. Ma la prudenza riguarda l'azione che deve essere compiuta e ancora non c'è. Essa è anche capacità di prevedere quale sia la via migliore per la realizzazione del fine.
Pur sapendo che non vi sono soluzioni garantite e certezze assolute, si agisce imprudentemente in due modi:
– quando si trascura di riflettere sulla realtà sforzandosi di conoscerla;
– quando si è negligenti nella decisione rimandandola senza motivo.
Secondo san Tommaso d'Aquino le «imprudenze» dovute a un venir meno della virtù sono da mettere in relazione con la mancanza di purezza; il venir meno di questa virtù disgrega la forza della decisione perché l'anima è tesa all'inseguimento di beni sensibili. San Tommaso afferma che vi è una prudenza donata a ogni cristiano con il battesimo e che si riferisce a ciò che è necessario per la salvezza, e che vi è anche un'altra prudenza "più perfetta», che mette l'uomo in condizione di guidare non soltanto sé stesso, ma anche gli altri, con accortezza sia nelle cose inerenti alla vita eterna, sia nelle cose che riguardano la vita materiale.
La prudenza è la forza che plasma il nostro spirito traducendo la conoscenza della realtà nella realizzazione del bene. Essa racchiude l'umiltà di chi non ha pregiudizi, la fedeltà all'essere, la vigilanza nel dominare l'imprevisto, il coraggio nella decisione: nella prudenza sta la perfezione della vita attiva.

RICORDA

 
«L'importanza e la necessità della prudenza risulta da molti brani della Sacra Scrittura. Gesù Cristo stesso ci avverte di essere "prudenti come serpenti e semplici come colombe" (MI 10,16). Senza questa virtù nessun'altra può essere perfetta.
La prudenza è la virtù morale più perfetta e necessaria. La sua influenza si estende su tutte le altre, poiché indica il giusto mezzo che fa loro evitare ogni eccesso o difetto. […] Benché sia una virtù intellettuale, la prudenza è tuttavia eminentemente pratica: essa ci dice in ogni caso particolare quello che si deve fare o conviene fare od omettere per raggiungere la vita eterna».
(A.Royo Marin, Teologia della perfezione cristiana, Paoline 1965, p. 640).

«[…] attribuiamo alla temperanza questo nome, perché salva la saggezza [la prudenza]. Salva cioè il giudizio saggio. In effetti non è che il piacere e il dolore corrompano e distorcano ogni tipo di giudizio (per esempio, questo: il triangolo ha o non ha la somma degli angoli interni uguale a due retti), bensì soltanto i giudizi che riguardano l'azione. Infatti i fini delle azioni sono le azioni stesse: a chi è corrotto dal piacere o dal dolore non è più manifesto il principio […]: il vizio, infatti distrugge il principio dell'azione morale».
[Aristotele, Etica Nicomachea, 1140b 12-18].

 

 

 

 

BIBLIOGRAFIA

 

S. Tommaso d’Aquino, Somma teologica, II-II, qq.47-56 (trattato sulla prudenza).
Josef Pieper, Sulla prudenza, Morcelliana 1965
Giuseppe Abbà, Quale impostazione per la filosofia morale? Ricerche di filosofia morale, 1, Las 1995,
pp. 38-46.
Angel Rodriguez Luño, La scelta etica. Il rapporto tra libertà e virtù, Ares 1988, pp. 83-98.

 

 

 

IL TIMONE – N. 36 – ANNO VI – Settembre/Ottobre 2004 – pag. 30 – 31

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