C’è un insidia mortale: ridurre il cristianesimo a messaggio umanitario. Ma la Chiesa è colonna e fondamento della verità, non un’organizzazione benefica e socializzatrice.
Un avvertimento profetico
Nei primi mesi del 1900 un grande pensatore, Vladimir Sergeevic Solovëv, scrivendo un suo saggio a proposito dell’Anticristo, ha supposto con sorprendente antiveggenza che alla fine del secolo XX la grande tentazione del mondo cristiano sarebbe stata l’attenzione primaria o addirittura esclusiva riservata ai “valori”; “valori”, beninteso, visti non come consecutivi (che sarebbe giusto) ma come sostitutivi dell’adesione alla persona di Cristo e al suo mistero salvifico.
In questo quadro da lui delineato, i discepoli di Gesù – stanchi del pesante onere della testimonianza al Crocifisso risorto che viene loro affidata nel battesimo – si sarebbero ridotti a parlare soltanto di pace, di solidarietà, di amore per gli animali, di difesa della natura, eccetera, lasciando nell’ombra l’affermazione di Cristo oggi realmente e fisicamente vivo, unico Signore e unico necessario Salvatore di tutti.
L’ammonimento del filosofo russo merita di essere preso sul serio: si tratta del pericolo oggettivamente più grave che oggi sovrasta la cristianità e del rischio più seducente che essa può correre, perché questo atteggiamento innegabilmente rende più agevole il dialogo interreligioso (e anzi il dialogo con tutte le opinioni mondane), che è un proposito e un impegno che di questi tempi ci sta molto a cuore.
In effetti, una volta che si accoglie questa prospettiva il dialogo con i “lontani” – non inciampando mai in un maestro che pretende di essere unico, né in un morto che è ritornato alla vita e continua a essere veramente e corporalmente vivo, né in un uomo che incredibilmente è anche Dio – si fa meno irto e più spedito; e la nostra possibilità di essere accolti nei “salotti mondani” (cioè negli ambienti culturalmente emergenti, nelle redazioni dei giornali e dei telegiornali, nei circoli scientificamente e socialmente progrediti) diventa facile e senza problemi. Si spiega allora come mai si stia estendendo tra noi, nelle nostre comunità, nelle nostre pubblicazioni, nei nostri interventi, quella specie di “moda” culturale che don Divo Barsotti ha bollato impietosamente quando ha osservato che nella cristianità dei nostri giorni Gesù Cristo è più che altro una scusa per parlare d’altro.
Il cristianesimo ridotto a pura azione umanitaria nei vari campi dell’assistenza, della solidarietà, del filantropismo; il messaggio evangelico identificato nella sollecitudine per la buona armonia tra i popoli e le religioni, nella ricerca del benessere e del progresso, nell’esortazione a rispettare la natura; la Chiesa del Dio vivente, colonna e fondamento della verità (cf. 1Tm 3,15), scambiata per un’organizzazione benefica, estetica, socializzatrice: questa è l’insidia mortale che oggi va profilandosi per la famiglia dei redenti dal sangue di Cristo.
Ovviamente non si tratta di colpevolizzare o ritenere inutile né il “dialogo” né l’attenzione ai “valori”. Il “dialogo” – un dialogo intelligente, sereno, rispettoso e comprensivo – è doveroso e necessario: come potrebbero vivere gli abitanti di un pianeta così fortemente comunicante e unificato, senza parlarsi e confrontarsi tra loro? Purché però il Signore Gesù da annunciare nella realtà della sua Pasqua non ne diventi la più illustre vittima, e non si smarrisca la persuasione che la Chiesa è, come dice il Concilio Vaticano II, “il sacramento universale della salvezza”. Dal canto loro, i “valori” – solidarietà, pace, ecologismo, ecumenismo, eccetera – possono diventare nel non cristiano le occasioni concrete di un approccio iniziale e informale a Cristo e al suo mistero; e nel cristiano questi stessi valori possono offrire preziosi impulsi all’inveramento di una totale, concreta, appassionata adesione a Gesù, unico Signore dell’universo, della storia e dei cuori.
Ma se il cristiano, per amore di apertura al mondo e di buon vicinato con tutti, quasi senza avvedersene, stempera sostanzialmente il fatto salvifico nell’esaltazione e nel conseguimento di questi traguardi secondari, allora egli si preclude la connessione personale col Figlio di Dio crocifisso e risorto e consuma a poco a poco un sostanziale peccato di apostasia.
Gesù Cristo, il Figlio di Dio crocifisso e risorto, inderogabile Salvatore dell’uomo, non è “traducibile” in una serie di buoni progetti e di buone ispirazioni, omologabili con la mentalità mondana dominante. Gesù Cristo è una “pietra”, come egli ha detto di sé; una “pietra” che non si lascia frantumare. Su questa pietra o, affidandosi, ci si costruisce o ci si va a inzuccare: «Chi cadrà su questa pietra sarà sfracellato; e qualora essa cada su qualcuno, lo stritolerà» (Mt 21,44); che è tra le parole del nostro Maestro che oggi sono accuratamente censurate tra i suoi discepoli.
Il cristianesimo e le religioni
Di questi tempi si sente dire con molta frequenza che tutte le religioni sono uguali. Sicché sembrerebbe logico dedurne il convincimento che fra tutte ciascuno può scegliere liberamente, come liberamente è lecito scegliere tra le diverse squadre di calcio da sostenere.
Quanto meno, si dichiara un po’ da tutti che in ogni religione c’è del buono. E su quest’ultimo asserto possiamo anche convenire, purché si chiarisca bene che in questo discorso il cristianesimo non c’entra.
I “luoghi comuni” che propongono la relatività, la similarità e persino l’interscambiabilità delle religioni non toccano affatto il cristianesimo e non lo chiamano in causa, perché ignorano una realtà fondamentale e indiscutibile: il cristianesimo primariamente e per sé non è una religione né un’ideologia né una cultura, né un sistema morale né un codice di pratiche cultuali. Il cristianesimo primariamente e per sé è un “fatto”, anche se (come è ovvio) implica e contiene delle concezioni religiose, delle norme etiche e dei riti propri. Diffondendosi nel mondo, gli apostoli non hanno proposto una religione nuova, hanno fatto conoscere un avvenimento: l’avvenimento pasquale e la persona del Crocifisso Risorto, che è il compendio e il principio di ogni novità che interessa la nostra vita e il nostro destino.
Di nessun’altra religione o ideologia si può dire la stessa cosa. Perciò il cristianesimo non può essere classificato; così, Gesù di Nazaret, il Figlio di Dio crocifisso e risorto, non può essere assimilato a nessuno dei fondatori di religione né a nessun altro protagonista della vicenda umana.
Tutto ciò dobbiamo ribadirlo a tutti i livelli, in tutte le occasioni di annuncio e di testimonianza, in tutti i momenti di confronto e di dialogo, in tutti gli ambienti: molti nostri fratelli sono vittime del pressapochismo e dell’indifferentismo (quando addirittura non si fanno buddisti, musulmani, adepti alle sette) solo perché non sanno (dal momento che nessuno glielo dice) chi sia Cristo in se stesso e che cosa voglia dire propriamente essere cristiani.
Ricorda
«Con la venuta di Gesù Cristo salvatore, Dio ha voluto che la Chiesa da lui fondata fosse lo strumento per la salvezza di tutta l’umanità. Questa verità di fede niente toglie al fatto che la Chiesa consideri le religioni del mondo con sincero rispetto, ma nel contempo esclude radicalmente quella mentalità indifferentista improntata a un relativismo religioso che porta a ritenere che una religione vale l’altra».
(Congregazione per la Dottrina della Fede, Dichiarazione Dominus Iesus, n. 22).
IL TIMONE – N. 43 – ANNO VII – Maggio 2005 – pag. 56-57