Il discorso del Papa a Regensburg scatena una isterica reazione islamica. Invece era rivolto anzitutto ai cattolici, perché non rinunciassero al patrimonio della filosofia greca. La ragione universale come condizione del dialogo, se qualcuno ancora lo vorrà.
Le parole di Benedetto XVI all’università di Regensburg hanno suscitato reazioni ostili in tutto il mondo islamico e rischia di essere frainteso in Occidente. Un discorso che tratta dell’islam per il 10% è diventato pretesto per autorevoli esponenti musulmani per proiettare nella polemica esterna gravi e irrisolti problemi interni alla comunità islamica.
Il “cuore” del discorso – che verrà dotato di note dal-lo stesso Pontefice – riguarda invece la ragione e la sua universalità che la pone alla base di ogni possibile dialogo interreligioso. Si tratta allora di verificare la “ragionevolezza” delle diverse religioni che vogliono dialogare: in questo senso, il Papa solleva alcuni quesiti che riguardano l’islam e altri che toccano punti importanti della storia del cristianesimo. Il dato più increscioso delle polemiche scatenate da gran parte del mondo islamico sta nel fatto che questa polemica ha oscurato il resto dell’intervento, che rappresenta il 90% del testo, dove viene giudicato criticamente il tentativo realizzato nel mondo cattolico occidentale di separare il messaggio evangelico dall’incontro con il pensiero greco, attraverso quella operazione culturale detta de-ellenizzazione in voga, per esempio, all’Università cattolica di Milano negli anni 1970, che ha contribuito a disorientare milioni di fedeli. Il discorso del Santo Padre vuole dimostrare come l’incontro tra «il messaggio biblico e il pensiero greco non era un semplice caso». La portata dell’inter-vento pontificio è enorme perché smentisce decenni di de-ellenizzazione e invita tutti i cattolici, come aveva fatto Giovanni Paolo II nelle encicliche sulla missione (Redemptoris missio, 1990) e sul rapporto tra fede e ragione (Fides et ratio, 1998), a riconoscere come provvidenziale il sogno che “chiamò” san Paolo in Macedonia, aprendo la strada alla conversione dell’Europa e all’incontro della cultura greca con la Rivelazione. Come ha spiegato la storica dell’età antica Marta Sordi (Avvenire, 13 settembre 2006), sarebbe bene che noi cristiani ci ricordassimo che l’intreccio fra Rivelazione, cultura greca e diritto romano è il modo con cui il cristianesimo si è sviluppato: questo modo va accolto e valorizzato, anche se ciò non significa che le altre forme di inculturazione della fede nelle diverse aree del mondo debbano necessariamente assumere tutti i connotati del patrimonio europeo, che si è manifestato in modo particolare nella patristica greca e latina e quindi nella Scolastica.
Sarebbe dunque una grave mancanza se perdessimo i tratti essenziali di questo importante discorso, che provo a ricostruire e che tutti dovrebbero leggere interamente.
1. Riprendendo alcune considerazioni dell’imperatore bizantino Manuele II Paleologo, senza farle proprie, il Papa tocca il punto che ha sollevato le maggiori reazioni del mondo islamico, quando l’imperatore accusa l’islam di essersi diffuso con la violenza e di come questa cosa sia irragionevole, cioè contraria alla natura di Dio. Ora, a parte che le affermazioni sono dell’imperatore, l’espansione militare dell’islam nei primi secoli è un dato scontato e oltretutto il Papa cita una sura coranica (2,256) con la quale Maometto dice «Nessuna costrizione nelle cose di fede»; avrebbe potuto citare le altre affermazioni presenti nel Corano a sostegno dell’uso della violenza, ma non l’ha voluto fare.
2. Ma qui il discorso di papa Ratzinger abbandona il campo islamico per entrare in quello che sarà l’ambito su cui si soffermerà maggiormente, cioè il rapporto della religione con la ragione umana. Il Papa racconta come l’avvicinamento fra la fede biblica e «l’interrogarsi greco» cominci già presso il «roveto ardente», dove Mosè ascoltò Dio presentarsi con la semplice formula «Io sono», e continui con la traduzione in greco dell’Antico Testamento (la “Settanta”), contributo decisivo per la nascita e la divulgazione del cristianesimo.
3. Il legame del cristianesimo con il pensiero greco (della filosofia di Platone è stato scritto che fu la “prefazione del Vangelo”) «ci obbliga anche oggi», scrive il Papa, perché «questo incontro, al quale si aggiunge successivamente anche il patrimonio di Roma, ha creato l’Europa e rimane il fondamento di ciò che, con ragione, si può chiamare Europa». Altro che polemica contro l’islam, il Papa ripercorre le tappe di quella de-ellenizzazione che ha dato non soltanto un importante contributo alla perdita di identità del mondo occidentale (soprattutto delle sue classi colte), ma anche minato dall’interno la stessa fede cristiana col pretesto di una “scelta religiosa” che di fatto disincarna la fede fondata sul mistero dell’Incarnazione del figlio di Dio.
La prima tappa della de-ellenizzaizone emerge con la Riforma protestante e non poteva essere diversamente visto il tratto fondamentalistico dell’approccio religioso da parte di Martin Lutero (1483-1546), basato sulla sola Scriptura, cioè sul tentativo di riportare la fede alla sua presunta purezza originaria, finalmente liberata dalla metafisica, cioè dalla struttura del sistema filosofico greco.
La seconda tappa del processo di de-ellenizzazione affiora con la teologia liberale del XIX e del XX secolo, il cui esponente maggiore è Adolf von Harnack (18511930), il cui scopo, secondo Papa Ratzinger, «è in fondo di riportare il cristianesimo in armonia con la ragione moderna» liberandolo da apporti filosofici e teologici, come per esempio la fede nella divinità di Cristo e nella Trinità di Dio». La cosa più grave di questo tentativo consiste nell’accettare il presupposto scientista del pensiero moderno, dove il problema di Dio, dell’origine e dello scopo della vita umana diventa un problema pre-scientifico, quindi esclusivamente soggettivo che solo la singola coscienza può valutare. Così la religione, spiega il Pontefice, viene ridotta a fatto rigorosamente personale, incapace di fondare una comunità.
La terza fase del processo di de-ellenizzazione arriva a sostenere che la sintesi fra ellenismo e cristianesimo non dovrebbe vincolare oggi ogni approccio della fede alle altre culture, che dovrebbero invece poter incontrare il Vangelo da solo e inculturarlo nei rispettivi ambienti. Questa tesi, afferma il Papa, è «grossolana e imprecisa» perché «il Nuovo Testamento […] è stato scritto in lingua greca e porta in se stesso il contatto con lo spirito greco – un contatto che era maturato nello sviluppo precedente dell’Antico Testamento». Naturalmente, il Santo Padre aggiunge che questo non significa che tutti gli elementi usati nel processo formativo della Chiesa antica debbano integrarsi nelle diverse culture ma, e questa mi pare affermazione importante da un punto di vista apologetico per sostenere la ragionevolezza della fede, «le decisioni di fondo che, appunto, riguardano il rapporto della fede con la ricerca della ragione umana, queste decisioni di fondo fanno parte della fede stessa e ne sono gli sviluppi, conformi alla sua natura».
4. In conclusione, il Papa spiega il senso e l’uso del suo discorso. Anche qui si capisce come la sua principale intenzione non fosse nei riguardi dell’islam, ma sia rivolta all’interno del cristianesimo. Infatti, scrive che il suo auspicio non è di ritornare a prima dell’illumini-smo, «rigettando le convinzioni dell’età moderna», ma di restituire alla ragione la sua dimensione metafisica allargandone l’ambito d’indagine anche oltre a ciò che è sperimentabile, quindi superando la frattura antimetafisica prodotta dal pensiero di Immanuel Kant (17241804) e uscendo dall’impasse scientista. Soltanto così, con una ragione restituita alla sua universalità e capacità di cercare e trovare le verità fondamentali, sarà possibile il dialogo fra le culture e le religioni.
Dopo aver letto il discorso del Papa mi sono ritrovato in mano, non so bene perché, il libro più famoso di Severino Boezio, De Consolatione philosophiae. Il patrizio romano assassinato a Pavia nel 524, a meno di cinquant’anni, sepolto accanto a sant’Agostino, è considerato l’ultimo dei Romani e il padre del Medioevo e della Scolastica; egli seppe “portare dentro” la nuova cultura che stava nascendo l’antica saggezza della filosofia greca e per questo è stato ripetutamente tradotto, pubblicato e letto nel Medioevo e nell’epoca moderna. Come lui, ma con una responsabilità e autorevolezza molto maggiori, il teologo e Papa Joseph Ratzinger ci invita a entrare nel terzo millennio senza perdere la grandezza e la bellezza dello stesso patrimonio che aveva entusiasmato il grande Boezio.
IL TIMONE – N. 56 – ANNO VIII – Settembre/Ottobre 2006 – pag. 58 – 59