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10.12.2024

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La regia di Allah
31 Gennaio 2014

La regia di Allah

 

 

 

 

La preghiera musulmana davanti alle cattedrali di Milano e Bologna ha svelato sì il progetto di islamizzazione dell'Europa, ma soprattutto il grande vuoto dell'Occidente cristiano, incapace di dare ragione dei fondamenti della propria società.

C'è chi ha parlato di espressione di libertà religiosa, chi di diritto sacrosanto di preghiera. Ma si può definire veramente così la preghiera "improvvisata" il 3 gennaio scorso da alcune centinaia di musulmani davanti al Duomo di Milano e alla cattedrale di San Petronio a Bologna? Visto il contesto e il modo in cui si è verificato dobbiamo dire che è altamente improbabile. Ricordiamo che il fatto è accaduto al termine di manifestazioni contro l'attacco di Israele a Gaza, che hanno avuto forti accenti violenti e antisemiti. A Milano addirittura la manifestazione avrebbe dovuto sciogliersi in piazza San Babila (ad alcune centinaia di metri dal Duomo) e alcune centinaia di manifestanti hanno deciso di puntare direttamente sul Duomo e, dopo aver bruciato la bandiera di Israele e gridato slogan nati dall'odio, si sono prostrati a terra verso la Mecca. Un'occupazione della piazza del Duomo – ci dicono le cronache – che ha anche provocato la chiusura della cattedrale per alcune ore. A Bologna è andata più o meno allo stesso modo, con la sola differenza che la manifestazione era già prevista e autorizzata per la piazza in cui si è poi effettuata la preghiera.
Molte cose sono state dette e scritte al proposito, però vale la pena mettere a fuoco alcune questioni.

 

Che cosa significa pregare?
Anzitutto la preghiera. Quando si parla di diritto di pregare, infatti, è anche importante intendersi su cosa sia la preghiera. Senza giudicare la fede di nessuno e senza entrare nel profondo della coscienza di ognuno, è ovvio però che si deve aver chiaro che la preghiera è cosa ben diversa dalla recita di formule religiose. E il contesto in cui questa si svolge non è indifferente. Il problema non è il dove, perché non c'è un limite di luoghi in cui la preghiera, anche collettiva, può svolgersi; ma il motivo da cui scaturisce il gesto e il valore che gli dà chi lo compie. Per fare un esempio. Papa Giovanni Paolo II il 6 maggio 2001 entrò nella moschea degli Omayyadi a Damasco, uno dei luoghi più santi dell'islam, sostando in preghiera davanti al memoriale di Giovanni il Battista lì contenuto e rivolgendo un discorso al popolo dell'islam. Non fu considerata una profanazione, né un tentativo di riconquista, perché dalla preparazione dell'evento al discorso fino alla tradizione dell'intera Chiesa cattolica era chiaro che si trattava di un gesto di conciliazione.
Se di sfida si trattava era di una sfida ad aprirsi e a rispettarsi. Ben diverso sarebbe stato se il Papa avesse ottenuto con la violenza del ricatto il permesso di entrare in moschea e avesse colto l'occasione per ricordare che quel luogo era stato strappato ai cristiani molti secoli fa e che prima o poi i cristiani ci ritorneranno. O se avesse "letto" la sua "sosta orante" in moschea come l'opportunità di un'alleanza con i musulmani per sconfiggere gli ebrei.
Così pure, tornando all'islam, è ben diverso lo spettacolo della folla che si reca in pellegrinaggio alla Mecca rispetto a quello offerto dai gruppi islamici a Milano e ti Bologna, dove la recita di formule religiose era un tutt'uno con la violenza e l'odio sparsi per tutto il pomeriggio. Non di preghiera si trattava ma di un evidente show religioso a fini politici. Qualcuno ha giustamente rilevato che "non si prega contro qualcuno". Chi perciò ha parlato di libertà religiosa o diritto alla preghiera ha sbagliato completamente l'oggetto delle sue auguste riflessioni. Un po' come se si giustificassero con la libertà di scelta i rastrellamenti dei nazisti durante la Seconda guerra mondiale e l'uccisione di civili presi a caso tra i fermati.

 

La sfida all'Occidente
Un secondo aspetto allarga il punto precedente. Ci vuole infatti una bella dose di ottimismo della volontà per poter ritenere che sia casuale il fatto che il gesto sia avvenuto contemporaneamente in città diverse e non solo italiane. O che a guidare gli oranti musulmani a Milano fosse Abu Imad, l'imam della moschea di viale Jenner, già condannato per terrorismo. O che la vicenda si pone all'interno di un disegno di conquista dell'Europa più volte esplicitamente dichiarato dagli imam nelle mosche di tutta Italia, come ha ben documentato negli anni scorsi Magdi Cristiano Allam. Non si può non concordare completamente perciò con quanto ha detto monsignor Ernesto Vecchi, vescovo ausiliare di Bologna, all'indomani dell'accaduto: «Questa non è una preghiera e basta. È una sfida, più che alla basilica, al nostro sistema democratico e culturale. Da quel che è successo a Bologna ma anche in altre città abbiamo avuto la conferma che c'è un progetto pilotato da lontano e che prevede l'islamizzazione dell'Europa».
C'è una regia dunque – che conosce la forza simbolica dirompente che possono avere le immagini della preghiera islamica davanti al duomo di Milano e a San Petronio a Bologna – funzionale a un progetto ben chiaro. L'obiettivo non è soltanto la Chiesa cattolica ma l'intero sistema culturale e politico dell'Occidente perché – non dobbiamo mai dimenticarlo – per l'islam, tutto l'islam, non esiste alcuna distinzione tra spirituale e temporale.

 

Ricercare le nostre radici o chiudere gli occhi e tacere?
Chiarito questo, bisogna però sottolineare che il problema fondamentale è nel come si risponde. Possiamo dissentire dai progetti personali o politici di una persona o di un gruppo, ma certamente non possiamo impedire a ciascuno di coltivare le proprie aspirazioni. Però possiamo, anzi dobbiamo, impedire che le aspirazioni di qualcuno vengano messe in pratica contro il bene di tutti. E lo si può fare anzitutto guardando in faccia la realtà e dando "ragione della propria speranza", che vuoi dire arrivare anche a difendere i valori e i princìpi – culturali, giuridici e politici – della nostra civiltà. Ed è qui che le manifestazioni del 3 gennaio hanno messo a nudo una grave falla che esiste nella nostra società, a partire dai cattolici.
Esclusa qualche sparuta reazione, come quella citata sopra, si è assistito a un silenzio imbarazzato e imbarazzante, per non parlare dei tentativi pasticciati di giustificare. Il significato è chiaro: non solo si dimostra di non conoscere affatto coloro con cui si invoca "il dialogo a ogni costo", ma soprattutto si dimostra di non capire più chi siamo noi, le ragioni della nostra speranza.


 

IL TIMONE  N. 80 – ANNO XI – Febbraio 2009 – pag. 12-13

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