La pittura di Caravaggio è religiosa. Non solo per la scelta di buona parte dei soggetti, ma anche perché ispirata da una tensione alla scoperta di Dio nella realtà. Un’analisi nel quarto centenario della morte
Michelangelo Merisi, detto il Caravaggio, nato a Milano – presumibilmente – nel 1571, di cui ricorre quest’anno il quarto centenario della morte (1610), è indubbiamente uno degli artisti più discussi e, allo stesso tempo, amati della storia dell’arte.
A dispetto di quanto sostenuto da taluni critici, la pittura di Caravaggio non è religiosa solo formalmente (in quanto religiosa è la maggior parte dei soggetti che l’artista dipinse), ma anche intrinsecamente, in quanto ispirata da una tensione alla scoperta di Dio nella realtà.
Un primo influsso sulla sensibilità dell’artista fu senz’altro esercitato dal clima culturale che lo circondò negli anni della prima giovinezza: Caravaggio era fratello e nipote di due ecclesiastici e si nutrì del clima della controriforma – meglio sarebbe dire, della Riforma cattolica – e della particolare spiritualità di san Carlo Borromeo, che esortava alla semplicità evangelica e alla riscoperta del sacro.
A ciò si aggiunga che egli crebbe in quel «santuario dell’arte semplice» (Longhi) che era il movimento pittorico chiamato naturalismo lombardo, tanto diverso sia dal tardo manierismo, il quale era caratterizzato da rappresentazioni talvolta artificiose e innaturali, sia dalla magnificenza allora imperante a Firenze, Roma e Venezia. Giunto a Roma dopo quattro anni di apprendistato presso la bottega di Simone Peterzano, Caravaggio trasferì nelle opere che gli furono commissionate questa particolare sensibilità religiosa e pittorica, suscitando clamore e non poche critiche, che gli causarono anche il rifiuto di diverse opere e le accuse di mancanza di decoro nella raffigurazione delle scene sacre.
Tale particolare sensibilità può a buon titolo considerarsi all’origine anche di alcune scelte artistiche di Caravaggio, che si posero, nel loro contesto storico, come una novità: la raffigurazione delle cose quotidiane, della natura nel suo aspetto realistico, di uomini semplici, concreti, appartenenti al popolo, costituivano elementi molto innovativi per l’epoca e sovvertivano l’iconografia tradizionale attraverso l’utilizzo di immagini anticonvenzionali e antiaccademiche. Era inevitabile, dunque, che da subito Caravaggio si ponesse come un artista in rotta con la tradizione, che faceva riferimento a grandi artisti quali Michelangelo e Raffaello e che era spesso portata ad una raffigurazione idealizzata dell’uomo e della realtà.
Caravaggio introdusse un modo nuovo di guardare la realtà, comprese le verità di fede: tutte le sue opere, infatti, sono create in base a un’osservazione penetrante della realtà, ispirate alla volontà di una raffigurazione fedele, attenta al dettaglio, riportato nella sua concreta percezione.
Ma tale visione non si perde nel naturalismo fine a se stesso e non si traduce in una forma di verismo. Essa, infatti, non rinuncia mai ai valori simbolici, anche laddove essi sembrano assenti. La stessa raffigurazione del Canestro di frutta, splendido esempio di attenzione alla verità del dettaglio naturalistico, lungi dall’essere una semplice natura morta, è invece ricca di significati profondi: il canestro contiene infatti uva e melograne, emblemi del martirio di Cristo, nonché delle mele, che alludono tanto ai “frutti” della Grazia quanto al peccato originale.
L’attenzione di Caravaggio per la realtà lo porta piuttosto a non eliminare i difetti delle cose, a non disdegnare il loro aspetto “brutto”, a scegliere i suoi modelli per le figure – non escluse quelle sacre – tra persone del popolo: nascono così opere dirompenti come la Morte della Vergine, ove la Vergine ha le sembianze di una donna annegata, con il ventre gonfio a causa dell’acqua ingerita, o la Madonna dei Pellegrini, venerata da due viandanti con i piedi nudi e sporchi e i vestiti rattoppati.
A dispetto di quanto sostennero molti detrattori del suo tempo, Caravaggio è tutt’altro che irriverente o blasfemo: egli è piuttosto un artista animato da una profonda spiritualità, da una sensibilità religiosa che lo porta a immedesimarsi con i personaggi delle storie sacre e ad essere un autentico, oltre che originalissimo, interprete dello spirito della Riforma cattolica. Il tema fondamentale della poetica caravaggesca, infatti, è proprio l’incontro-scontro dell’uomo con Cristo: egli realizza una toccante testimonianza di fede nel Dio che si è fatto Uomo ed è venuto «ad abitare in mezzo a noi» (Gv 1,14), una commossa memoria dell’incarnazione di Dio per riscattare i peccati degli uomini di ogni tempo e farsi compagnia al loro cammino: un Dio raffigurato non nel fulgore della Sua gloria, ma nella condivisione, umana e concreta, delle circostanze di ogni giorno. Emblematiche le versioni della Cena in Emmaus, che mostrano il Cristo seduto a una tavola, che benedice il pane davanti allo sguardo attento e curioso dell’oste e dei discepoli, rendendo partecipe lo spettatore di quel gesto destinato a cambiare la Storia.
L’arte di Caravaggio ritrae un Dio che è presente fra gli uomini, che incontra uomini reali, compatiti nelle loro fragilità e brutture, e li redime con la Grazia divina, sempre raffigurata nella folgorante luce che ha reso tanto noto l’artista. Si pensi alla Vocazione di San Matteo o alla Conversione di San Paolo: una luce metafisica squarcia le tenebre, fa emergere la verità delle cose, le riscatta e dà loro una prospettiva di resurrezione. Caravaggio ci svela le grandi verità del cristianesimo con visioni della quotidianità intense e drammatiche, che richiamano l’attenzione dell’osservatore su episodi avvenuti in un tempo e in uno spazio reali, calati nella concretezza della vita e per questo rilevanti per ogni uomo. La visione esistenziale del peccato e della fragilità umana e lo stupore della redenzione non sono contraddetti neanche dalla vita notoriamente turbolenta di Caravaggio. Il dramma personale dell’artista, infatti, si identifica con quello dell’umanità intera e lo porta a percepire ancor più nitidamente le ferite del peccato.
E, insieme, la Grazia salvifica di Cristo. L’incontro dell’uomo con Cristo, nelle storie sacre di Caravaggio, accade infatti nella vita quotidiana e la trasfigura: meglio ancora, sta accadendo, e quindi interpella l’osservatore nell’attimo in cui questi si pone davanti all’opera, lo coinvolge con un’estrema forza d’urto in cui trascendente e quotidiano diventano inscindibili. Allo stesso modo Caravaggio non divide passato e presente: se gli avvenimenti rappresentati nei suoi dipinti sono avvenuti nel passato, essi sono allo stesso tempo presenti, tant’è che i personaggi ritratti da Caravaggio indossano abiti della sua epoca. In tal modo, i suoi dipinti assumono valore simbolico: ad esempio, la Vocazione di san Matteo finisce per rappresentare non solo la chiamata di un apostolo da parte di Gesù, ma anche quella di ogni uomo. Così, producendo la memoria di Cristo in chi le contempla, le opere di Caravaggio fanno perdurare nel tempo gli avvenimenti narrati.
Caravaggio è dunque un pittore figlio del suo tempo e, insieme, assolutamente moderno, in quanto sempre pronto a riproporre, con insolita partecipazione, il fatto cristiano nel suo aspetto più umano, quello della condivisione della vita di ciascuno da parte di Dio.
RICORDA
Arte significa: dentro a ogni cosa mostrare Dio».
(Hermann Hesse, citato da Benedetto XVI, Incontro con gli artisti, 21 novembre, cfr,
www.vatican.va )
BIBLIOGRAFIA
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Marco Bona Castellotti, Il paradosso di Caravaggio, BUR, 1998.
Mia Cinotti, Michelangelo Merisi detto il Caravaggio. Tutte le opere, Poligrafiche Bolis Bergamo, 1983.
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Maurizio Marini, Michelangelo Merisi da Caravaggio “pictor praestantissimus”, Newton & Compton, 1987.
Sergio Samek Lodovici, Vita del Caravaggio dalle testimonianze del suo tempo, Edizioni del Milione, 1956.
IL TIMONE N. 91 – ANNO X II – Marzo 2010 – pag. 54 – 55