Apologeta tra i massimi, cattolico tutto d’un pezzo, emarginato dai progressisti, anche cattolici, ritorna l’autore di Don Camillo. Gnocchi e Palmaro, collaboratori de “il Timone”, curano la pubblicazione dei racconti di Guareschi. Ed è un successo.
Poteva sembrare un’impresa azzardata. Eppure, accostare le storie di Giovannino Guareschi al Vangelo si è mostrato molto più semplice di quanto ci si potesse aspettare. Così, “Don Camillo, il Vangelo dei semplici” ha cominciato a camminare e il suo successo, nel giro di un anno, ha chiamato l’uscita di “Qua la mano don Camillo. La teologia secondo Peppone”.
Il primo nel 1999, il secondo nel 2000, entrambi editi da Ancora. E, se si vuole, il vero miracolo sta proprio qui. Per la prima volta, il maggior scrittore italiano che parla di temi cattolici, cioè un cattolico scrittore più che uno scrittore cattolico, viene pubblicato da una casa editrice cattolica per entrare nel mondo dei lettori cattolici. Alla fine del gioco di parole, che forse può anche far sorridere, non rimane che piangere. Non resta altro da fare pensando al mondo della sedicente cultura cattolica che, per sessantanni, non si è accorta di uno scrittore impegnato a raccontare le vicende di un prete e a far parlare il Cristo crocifisso. Pazienza se si fosse trattato di uno sconosciuto. Ma nel caso di Guareschi, risulta davvero complicato ipotizzare la buona fede nell’ignorare i milioni di copie dei suoi libri venduti in tutto il mondo.
I due volumi pubblicati da Ancora hanno voluto colmare almeno in piccola parte questo vuoto. Ognuno accosta una serie di racconti tratti da Mondo piccolo a un brano di Vangelo attraverso un commento di uno studioso o di un lettore appassionato di Guareschi. Ormai, l’elenco delle firme comincia a essere lungo. Ma basta ricordare il cardinale Giacomo Biffi, il vescovo di Como Alessandro Maggiolini, Giorgio Torelli, Giovanni Lugaresi, Michele Brambilla. Tutti, alla fine, dicono di essere passati attraverso la stessa esperienza. Quella di misurarsi innanzitutto con la propria fede e con le ragioni del proprio credere.
Non è facile incontrare qualcuno che, come Guareschi, costringe ad applicare l’intelligenza alla vita di tutti i giorni e, dunque, ai grandi temi della vita, della morte, del destino. E, ancora più difficile, in un Paese ormai neanche più sedicente cattolico, è difficile trovare qualcuno che lo faccia stando con entrambi i piedi nell’ortodossia.
A questo proposito vale la pena di segnalare qualche arricciamento di naso in casa cattolica. Alcuni sedicenti intellettuali si stupiscono che i commenti ai racconti fioriscano di riferimenti a San Tommaso, a Sant’Agostino, a Pascal, a Chesterton. L’hanno considerata una provocazione. C’era da aspettarselo e questo non scandalizza. Al più, provoca un fastidioso, ma brevissimo solletico. Colpisce invece che questi signori non abbiano colto il vero aspetto provocatorio dell’operazione. Quello di accostare Guareschi a qualcosa di molto più grande di tutti i teologi messi insieme: il Vangelo. Ma, in fondo, è meglio così. I sedicenti intellettuali continuino pure a pensare di avere l’esclusiva sul cavillare teologicante. Il Vangelo lo lascino ai poveracci che cercano di fare il loro meglio nella vita di tutti i giorni.