Dipingono la Chiesa nemica del progresso e delle donne e minaccia per l’ambiente.Ma l’evidenza suggerisce il contrario: la dignità inalienabile di ogni persona entra nella storia con il battesimo cristiano e solo l’appartenenza a Cristo ha superato le leggi tribali e la schiavitù ancora presenti nelle società non cristiane.
Viviamo un tempo di risentimento nei confronti della religione cristiana a causa di coloro che la presentano come una minaccia all’integrità della natura e dell’uomo e un ostacolo al progresso. I terzomondisti dicono che il cristianesimo fu al servizio dei colonizzatori e strumento di oppressione, gli ecologisti gli rimproverano di porre l’uomo al centro dell’universo sottomettendogli e sacrificandogli il creato, le femministe gli imputano discriminazioni di genere e la responsabilità di uno status femminile sottoposto.
Tutti costoro dovrebbero rileggersi attentamente la storia e troverebbero invece il contributo decisivo portato dal cristianesimo alla rivoluzione antropologica realizzata con la formulazione del concetto di “persona” e con la conseguente affermazione dei diritti naturali, inerenti alla condizione umana, inalienabili e universali.
Storicamente la religione cristiana propone una comunità, quella dei credenti, alla quale chiunque, in qualsiasi momento della vita, può aderire per sua scelta – perché decide di credere – e senza per questo perdere per forza precedenti appartenenze. Da 2000 anni per i cristiani l’appartenenza biologica, carnale non è più l’unico destino dell’uomo, mentre per una grande parte del genere umano, tuttora, non esistono alternative alla comunità di nascita che determina ascrittivamente il destino di ogni persona e ne dispone: così funzionano il sistema delle caste e tutte le società tribali che impongono invalicabili confini tra lignaggi, clan ed etnie.
Alla comunità dei credenti, poi, maschi e femmine accedono con lo stesso rito di iniziazione, il sacramento del battesimo: un’eccezione forse unica rispetto alle tradizioni millenarie di innumerevoli società che a ogni passaggio di status riaffermano con riti e cerimonie distinte la diversa considerazione e i differenti ruoli assegnati ai due sessi, anch’essi ascritti, immodificabili e biologicamente fondati.
Con il battesimo maschi e femmine sono riconosciuti, di fronte a Dio e di fronte agli uomini, persone pari per dignità e valore.
L’individuo, per il fatto di essere persona, ha inoltre dignità e valore sempre, in ogni momento della sua esistenza, fin da quando è concepito. Non è così nella maggior parte delle società arcaiche non cristiane che prevedono riti di passaggio e d’iniziazione maschili, prima dei quali un giovane non è considerato a tutti gli effetti un membro della propria comunità e non condivide i diritti degli adulti. Curioso notare che, nella nostra Europa secolarizzata, da questo punto di vista si sta tornando a concezioni arcaiche.
Quanto alle femmine, si direbbe che nel mondo non-cristiano non superino mai del tutto questa condizione di dignità limitata. Il cristianesimo attribuisce invece valore alla donna persino quando non è madre: accada ciò per scelta o involontariamente, per sterilità o per altri motivi. Si consideri la sorte di reietta tuttora riservata alle donne sterili nelle società patriarcali tradizionali per apprezzare l’eccezionalità di una religione che ritiene utile e degna addirittura l’esistenza di una donna incapace di generare figli per un uomo.
Non meraviglia che, formandosi su questi principi, fin dall’inizio i cristiani si siano distinti per sollecitudine e impegno a favore dei più deboli. Il valore intrinseco e supremo conferito alla persona dal cristianesimo si è tradotto subito tangibilmente in tutele e cure maggiori ai malati, agli anziani e in particolare alle vedove e agli orfani che, al contrario, ancora adesso quasi ovunque nel mondo non cristiano sono alla mercé dei parenti maschi ai quali è concesso di sfruttarli oppure abbandonarli, spesso spogliandoli di tutto.
In più – concezione del tutto inammissibile nelle società tribali – per un cristiano il “prossimo tuo” da rispettare e soccorrere è, senza eccezioni, ogni persona umana: familiare, affine o estranea che sia.
Un ulteriore “elemento di contraddizione” del messaggio cristiano è il valore attribuito al lavoro che, rendendo le attività produttive degne dell’uomo e l’uomo fiero di svolgerle, allevia per donne e bambini l’onere delle funzioni economiche e rende ingiustificato lo status inferiore assegnato nelle economie di sussistenza a chi le esegue. Ancora adesso, invece, la piaga dell’ozio dei maschi adulti, che schivano il lavoro e si appellano alle tradizioni per giustificarsi, è una delle cause maggiori di povertà nelle società tribali, insieme alle tecnologie elementari e al modo di produzione basato sui rapporti di parentela che rendono il lavoro poco produttivo: per questo le economie arcaiche dipendono in larga misura dai beni reperibili in natura in quantità limitate e irriproducibili (terra, acqua, oro e alcuni altri metalli). E proprio per questo utilizzano come fattore strutturale – vale a dire necessario e non marginale o occasionale – la guerra di conquista: per il possesso di terre fertili, pascoli, sorgenti, acque pescose; e a scopo di razzia e saccheggio, per integrare risorse spesso insufficienti e sempre incerte con l’acquisizione di beni, raccolti e bestiame altrui. Poiché vita e morte, abbondanza e carestia dipendono dalla disponibilità di braccia numerose, sane e forti, in grado di lavorare, razziare, conquistare e respingere le aggressioni delle comunità concorrenti, le economie di sussistenza richiedono società organizzate in unità patriarcali, gerontocratiche, fortemente autoritarie e rigidamente gerarchizzate, dotate di istituzioni che assicurano l’assoggettamento dei giovani maschi e delle donne – altro fattore economico strutturale – e quindi permettono a chi le governa di disporre delle loro preziose facoltà produttive e procreative e di amministrarle a discrezione. Per la stessa ragione scopo delle guerre di razzia è anche la cattura di giovani e bambini di entrambi i sessi. Un ulteriore fattore economico strutturale delle società arcaiche è la schiavitù che serve ad acquisire forza lavoro e riproduttiva, sottraendola ai rivali.
Il cristianesimo ha avviato un processo che ha reso tutto ciò al tempo stesso superfluo e inaccettabile.
Per questo l’Occidente cristiano – unico nella storia umana – considera giusto solo un mondo in cui tutti abbiano pari opportunità di contribuire al progresso materiale, intellettuale e morale dell’umanità e di goderne i frutti.
BIBLIOGRAFIA
Christopher Dawson, Il Cristianesimo e la formazione della civiltà occidentale, Rizzoli, 1997.
John Bossy, L’Occidente cristiano, Einaudi, 2001.
IL TIMONE – N. 47 – ANNO VII – Novembre 2005 – pag. 52 – 53