«Tutta la creazione geme e soffre fino ad oggi» (Rm 8,22).
Ci sono due atteggiamenti opposti ed entrambi sbagliati nell’affrontare la questione dell’ambiente. O si concepisce la natura come una realtà che l’uomo ha il diritto di sfruttare senza freni, o la si eleva al di sopra dell’uomo ritenendo una colpa ogni intervento su di essa.
La visione cristiana, invece, assume una terza posizione, che non è una via di mezzo fra queste due, ma una concezione del mondo e della natura come dono di Dio. E ciò che è donato da Dio è al tempo stesso nostro e non nostro. Nostro, in quanto Dio sottopone il creato all’umano dominio; non nostro, perché il dominio sulle cose ci proviene dal Signore stesso (Dominus), per cui la signoria che siamo chiamati ad esercitare sulla natura è in realtà la Sua signoria: Egli ci concede di governare in Lui, e quindi all’interno di una visione salvifica del creato: «Nella natura il credente riconosce il meraviglioso risultato dell’intervento creativo di Dio, che l’uomo può responsabilmente utilizzare per soddisfare i suoi legittimi bisogni – materiali ed immateriali – nel rispetto degli intrinseci equilibri del creato stesso. Se tale visione viene meno, l’uomo finisce o per considerare la natura un tabù intoccabile, o, al contrario, per abusarne. Ambedue questi atteggiamenti non sono conformi alla visione cristiana della natura, frutto della creazione di Dio» (Benedetto XVI, Caritas in Veritate, n. 48).
Quindi, se da una parte sono errati certi atteggiamenti estremi dei movimenti animalisti o di quei “cristiani vegetariani” che deformano il vangelo a sostegno delle loro tesi, in quanto cadono in «atteggiamenti neopagani o di nuovo panteismo», dall’altra «bisogna anche rifiutare la posizione contraria,… perché l’ambiente naturale non è solo materia di cui disporre a nostro piacimento, ma opera mirabile del Creatore» recante in sé un linguaggio che ci parla di Dio (idem, n. 48). Ecco perché ogni ferita all’ambiente è una ferita al volto di Dio che attraverso di esso ci comunica la sua presenza. Purtroppo, giorno dopo giorno, questo volto diventa sempre più irriconoscibile. Chi ha qualche decennio alle spalle è già in grado di accorgersi delle dolorose trasformazioni subite dall’ambiente, che non consistono solo nella diversa qualità dell’aria o del cibo, ma nella distruzione di un patrimonio unico ed irreversibile fatto di creature palpitanti che “ci narrano la gloria di Dio”. Sia il mondo vegetale (con la progressiva cementazione e deforestazione), sia quello animale (con la caccia sregolata o l’avvelenamento) hanno subito gravissime devastazioni che mutilano l’uomo della sua relazione redentiva con il creato, relegandolo in una solitudine sempre crescente.
Se scoiattoli e caprioli nel giardino di casa o cicogne annidate sui tetti o gufi posati sui davanzali appartengono ormai a un passato di cui più nessuno ha memoria, basta però avere qualche decennio sulle spalle per ricordarsi che una volta camminare in un prato significava veder saltare grilli e cavallette, vedersi sfiorare da farfalle giganti e coloratissime; e l’acqua La salvaguardia del Creato di quei prati era abitata da salamandre e anguille d’acqua dolce che le nuove generazioni vedono solo in fotografie; attraversare un bosco significava immergersi in un concerto di canti di uccelli diversi che ne animavano i rami, mentre i boschi di oggi, in cui non si muove più nulla, fanno paura per il loro silenzio, ed è già raro udire ancora qualche cicala. E chi, sempre pochi decenni fa, immergeva i piedi nel mare presso qualche scoglio, li vedeva sfiorati da gamberi e cavallucci marini, e andando più a largo si ammiravano coralli e stelle marine rosse. Oggi i fondali regalano a stento la vista di qualche riccio di mare, ma più spesso appaiono come paesaggi lunari devastati dai raccoglitori di datteri che hanno martellato le rocce metro per metro.
Tutta questa povertà del mare, del cielo, della terra, diventa povertà del cuore dell’uomo, impossibilità a leggervi le somiglianze col volto di Dio. Quasi non possiamo più dire, con Paolo: «dalla creazione del mondo in poi, le sue perfezioni invisibili possono essere contemplate con l’intelletto nelle opere da lui compiute» (Rm 1,20). I cristiani debbono perciò impegnarsi per la massima salvaguardia dell’ambiente, perché sia essi sia le future generazioni possano ancora dire, come il nostro Catechismo: «La bellezza della creazione riflette la bellezza infinita del Creatore» (CCC 341). Essere signori della natura significa nutrire verso di essa quel sentimento di custodia di cui sta parlando il Papa: «Tutto è affidato alla custodia dell’uomo, ed è una responsabilità che ci riguarda tutti… E quando l’uomo viene meno a questa responsabilità di custodire, quando non ci prendiamo custodia del creato,… allora trova spazio la distruzione e il cuore inaridisce » (Francesco, 19/3/2013).
IL TIMONE N. 128 – ANNO XV – Dicembre 2013 – pag. 61
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