Il teologo non può prescindere dalla verità. Non sarebbe nemmeno necessario affermarlo, visto che il fine della teologia è proprio la ricerca della verità. Tuttavia, si stanno sempre più diffondendo forme di teologia il cui fine non è la verità, ma piuttosto la novità, l’originalità, la pluralità. In certi casi, il fine sembra perfino la ricerca di consenso o di ammirazione o di successo. Spesso chi scrive di teologia s’inchina alle mode imperanti, si sottomette al pensiero comune, insegue la quantità delle adesioni e non la qualità del contenuto. E questo avviene sia nel campo della teologia morale, sia in quello della teologia dogmatica. Tutto ciò non rende un servizio alla verità, ma solo a se stessi, generando confusione nei credenti. L’indipendenza della ragione e la libertà nella ricerca vengono in tal modo fraintese e ridotte a mero strumento di ribellione. Il punto di partenza di questo conflitto non è la mancata obbedienza al Magistero, ma alla verità, alla più profonda natura di se stessi, al proprio autentico fine. Si è perso il contatto con la propria appartenenza, quella che ci fonda in Colui che ha detto: «Io sono la Verità» (Gv 14,6).
«La teologia, quale scienza della Parola salvifica di Dio, richiede quindi due atteggiamenti fondamentali ed inseparabili, che devono appartenere al teologo: egli deve studiarla come scienziato e come contemplativo. Proprio l’essere scienziato della Parola di Dio comporta che egli ne sia un contemplativo. L’approfondimento scientifico della Parola con l’acutezza della sua intelligenza e nella rigorosa osservanza del metodo teologico presuppone che egli abbia un’esperienza personale di questa Parola salvifica» (Card. Zenon Grocholewski, Conferenza del 23 marzo 2000).
Il fine della teologia non è dire cose nuove, ma cose vere in modo nuovo. E se si è in Dio, la Verità si comunica da sé. La teologia è in realtà un servizio d’amore: «La teologia, che obbedisce all’impulso della verità che tende a comunicarsi, nasce anche dall’amore e dal suo dinamismo: nell’atto di fede, l’uomo conosce la bontà di Dio e comincia ad amarlo, ma l’amore desidera conoscere sempre meglio colui che ama» (Cong. per la Dottrina della Fede, Istruzione Donum Veritatis sulla Vocazione ecclesiale del Teologo, 7, del 24/5/1990).
E quali sono le basi per “conoscere sempre meglio”? Nell’ambito della fede cattolica queste basi sono: la Sacra Scrittura, la Sacra Tradizione e il Magistero: «La Sacra Tradizione, la Sacra Scrittura e il Magistero della Chiesa, per sapientissima disposizione di Dio, sono tra loro talmente connessi e congiunti che non possono indipendentemente sussistere» in quanto si manifestano «sotto l’azione di un solo Spirito Santo» (CCC 95); per cui la vera ricerca teologica non è un’impresa individuale fondata sulla mera cultura, ma deve compiersi «alla luce della Tradizione della Chiesa universale» (Ad Gentes, III, 22).
E la libertà di ricerca? Recentemente papa Benedetto XVI ha invitato a non confondere la teologia “autenticamente cattolica” con le filosofie su Dio o con le scienze religiose in generale. Alcuni teologi condizionati dal contesto laicista s’illudono di poter esercitare una teologia “non confessionale”, cadendo così La sana teologia nell’errore di «prescindere dalla dimensione credente e confessionale della teologia, con il rischio di confonderla e di ridurla alle scienze religiose» (Benedetto XVI, Discorso alla Commissione Teologica Internazionale, 7/12/2012). Non esiste dunque una teologia cattolica che possa essere indipendente dal Credo. Per i teologi del dissenso, invece, «i documenti del Magistero non sarebbero niente altro che il riflesso di una teologia opinabile» e «gli interventi magisteriali avrebbero la loro origine in una teologia fra molte altre»; affermando questo «in opposizione e in concorrenza con il magistero autentico sorge così una specie di “magistero parallelo” dei teologi» (Istruzione Donum Veritatis sulla Vocazione ecclesiale del Teologo, 34). La libertà di giudizio non può dunque scavalcare la verità, in quanto, come dice Gesù, è la verità che rende liberi (Gv 8,32). Certo rimane la libertà di aderire ad essa o meno, ma non quella di alterarla. «Il teologo, non dimenticando mai di essere anch’egli membro del Popolo di Dio, deve nutrire rispetto nei suoi confronti e impegnarsi nel dispensargli un insegnamento che non leda in alcun modo la dottrina della fede». E questo se si parla di teologia cattolica. In tal caso «la libertà propria alla ricerca teologica si esercita all’interno della fede della Chiesa». Ognuno può certo offrire i contributi della sua ragione, ma «occorrono molte correzioni e ampliamenti di prospettiva in un dialogo fraterno, prima di giungere al momento in cui tutta la Chiesa possa accettarle». In teologia la «libertà di ricerca si iscrive all’interno di un sapere razionale il cui oggetto è dato dalla Rivelazione, trasmessa ed interpretata nella Chiesa sotto l’autorità del Magistero, ed accolta dalla fede. Trascurare questi dati, che hanno un valore di principio, equivarrebbe a smettere di fare teologia » (Istruzione Donum Veritatis, 11-12).
IL TIMONE N. 121 – ANNO XV – Marzo 2013 – pag. 61
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