Vi sono forze ostili al cristianesimo e alla Chiesa che non vogliono che l’Europa ricordi le sue origini cristiane. Con un esito tragico: il nichilismo e la disperazione.
L’alternativa? La speranza cristiana.
Ci troviamo di fronte al processo di unificazione europea come i cattolici italiani del XIX secolo si trovarono di fronte al processo di unificazione della penisola.
Che fare? Assecondare un progetto che certamente ha dei lati oscuri oppure opporvisi e condannarsi all’isolamento?
Lunedì 22 luglio 2002, il portavoce del Dipartimento di Stato americano Richard Boucher annunciava la decisione di bloccare il contributo annuale di 34 milioni di dollari al Fondo dell’ONU per la popolazione (Unfpa),a causa del sostegno di quest’ultimo alla politica di aborto forzato praticata in Cina; purtroppo, l’Unione Europea si sarebbe immediatamente sostituita al finanziamento americano. Non è un incidente isolato, ma esprime un profondo dissidio fra le due realtà su un tema, quello del diritto alla vita, che dovrebbe perlomeno imbarazzare il presidente della Commissione Europea Romano Prodi, noto per la sua pubblica professione della fede cattolica.
Ma questo è un altro, seppur importante, argomento. Quello che voglio sottolineare in questo articolo è l’equivoco di fondo che accompagna la nascita dell’Europa e che si è manifestato nel rifiuto di esplicitare nel Preambolo della costituzione europea in via di approvazione ogni riferimento alle radici cristiane del continente. Vi sono ancora forze, a tal punto ideologicizzate in senso anti-cristiano, che non vogliono neppure che venga ricordata una verità storica, negando la quale un bambino “normale” non supererebbe l’esame di V elementare in una scuola “normale”.
Parlando a suoi connazionali il 19 maggio 2003, alla vigilia del referendum sull’ingresso della Polonia nell’Unione Europea, così come in occasione della visita ad limina Apostolorum dei vescovi polacchi nel 1998, Papa Giovanni Paolo II invitava a sostenere l’ingresso della Polonia, perché l’Europa ha bisogno della Polonia e dei suoi valori cristiani, ma anche la Polonia ha bisogno dell’Europa se non vuole rimanere tagliata fuori da relazioni economiche, sociali e politiche che possono procurare un certo benessere alle nazioni.
Naturalmente, il Santo Padre non nascondeva i problemi, come non li nasconde nell’esortazione apostolica Ecclesia in Europa, uscita alla vigilia della festa dei santi Pietro e Paolo del 2003 in seguito al Sinodo dei vescovi europei del 1999. Quest’ultima è scritta all’insegna della speranza, che non è ottimistica né pessimistica, ma una virtù teologale.
Infusa da Dio nell’anima dell’uomo, la speranza ci fa desiderare “il regno dei cieli e la vita eterna come nostra felicità” fidandoci delle promesse di Cristo e appoggiandoci all’aiuto della sua Grazia e non sulle nostre forze, come insegna il Catechismo della Chiesa Cattolica (n.1817).
La speranza viene richiamata in tutti i sei capitoli che compongono il documento pontificio, che indica la strada di una “nuova evangelizzazione” dell’Europa, basandosi su un triplice passaggio: l’analisi della situazione, la conversione degli attori dell’evangelizzazione, l’edificazione di una Europa nuova.
Indubbiamente, l’europeo di oggi è tentato dalla disperazione. Immerso in un’antropologia relativista, privato di ogni certezza metafisica, tende ad abbandonarsi alle sue sole forze e a rifugiarsi in un attivismo frenetico, respingendo ogni domanda sul significato delle azioni che vengono compiute. Privo di speranza nelle” cose ultime”, alla ricerca della felicità che non riesce a trovare nelle” cose della terra”, l’uomo contemporaneo si trova di fronte alla scelta fra la conversione e il nichilismo, versione ideologica della disperazione.
Se si convertisse diventerebbe un testimone convinto delle beatitudini, che cesserebbero così di essere “belle parole” per diventare un modello che si può intravedere nella vita del testimone. E allora quest’ultimo diventerebbe un missionario, nel senso che trasmetterebbe quanto ha ricevuto convertendosi, annuncerebbe la fede ai suoi parenti, amici o colleghi, aiutandoli a riscoprirla o ad accostarsi a essa per la prima volta, come può capitare sempre più frequentemente nell’Europa multireligiosa del nostro tempo.
Così, dopo che il Vangelo della speranza è stato affidato alla Chiesa del nuovo millennio (capitolo II), quest’ultima è chiamata a convertirsi e a trasmettere quanto ha ricevuto, anche penetrando con le verità della fede nella cultura del tempo, nei mezzi di comunicazione sociale, così che il Vangelo possa essere il “libro per l’Europa di oggi” (capitolo III).
Il convertito non deve soltanto annunciare, ma vivere la fede nei suoi momenti forti e istituzionali, la preghiera e la vita sacramentale, così da costituire “una comunità orante” (capitolo IV). Allora sarà pronto per “servire il vangelo della speranza” (capitolo V) attraverso il servizio della carità, per aiutare gli uomini a ritornare a sperare in Colui che può dare alle persone la felicità che disperatamente cercano. Ma la speranza cristiana non allontana l’uomo dalla vita quotidiana e dall’impegno per la costruzione di una “città degna dell’ uomo”, che riconosca alla dottrina sociale della Chiesa “un ruolo ispiratore”, così che possano essere aiutati i poveri, i disoccupati, gli ammalati, a non perdere o a ritrovare la speranza, gli sposi a non aver paura di donare la vita e di impegnarsi a una reciproca fedeltà, per sempre. E affidando a Maria, Madre della speranza, “il futuro della Chiesa in Europa”.
Questo, in estrema sintesi, il documento del Santo Padre. Un’avvertenza. La richiesta che il Papa continuamente rivolge agli organismi e agli uomini che stanno elaborando la costituzione europea, di rispettare la realtà storica e·· non escludere un riferimento al cristianesimo nel Preambolo del testo costituzionale, non tragga in inganno: se anche verrà. accolta, come ci auguriamo, non cambierà la realtà dell’ avvenuta cristianizzazione dell’Europa e della necessità di una seconda evangelizzazione. Il riferimento salverà la verità storica, ma non cambierà la dura realtà.
RICORDA
“Dall’Assemblea sinodale è emersa, chiara e appassionata, la certezza che la Chiesa ha da offrire all’Europa il bene più prezioso, che nessun altro può darle: è la fede in Gesù Cristo, fonte della speranza che non delude, dono che sta all’origine dell’unità spirituale e culturale dei popoli europei, e che ancora oggi e per il futuro può costituire un contributo essenziale del loro sviluppo e della loro integrazione. Sì, dopo venti secoli, la Chiesa si presenta all’inizio del terzo millennio con il medesimo annuncio di sempre, che costituisce il suo unico tesoro: Gesù Cristo è il Signore; in Lui, e in nessun altro, c’è salvezza (cfr At 4, 12). La sorgente della speranza, per l’Europa e per il mondo intero, é Cristo, ‘e la Chiesa è il canale attraverso il quale passa e si diffonde l’onda di grazia scaturita dal Cuore trafitto del Redentore’ “.
(Giovanni Paolo II, Esortazione aposatolica post-sinodale Ecclesia in Europa, del 28 giugno 2003, n. 18).
BIBLIOGRAFIA
Giovanni Paolo II, Esortazione aposatolica post-sinodale Ecclesia in Europa, del 28 giugno 2003; discorso del 19 maggio 2003, in occasione del pellegrinaggio nazionale dei Polacchi; discorso al terzo gruppo di vescovi polacchi in visita “ad limina”, del 14 febbraio 1998.
Catechismo della Chiesa Cattolica,nn. 1817-1821.
Giovanni Paolo II, Profezia per l’Europa, a cura di Mario Spezzibottiani, presentazione del card. Dionigi Tettamanzi, Piemme, Casale Monferrato (AL) 1999, II ed. aggiornata.
IL TIMONE N. 27 – ANNO V – Settembre/Ottobre 2003 – pag. 54 – 55