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9.12.2024

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La tecnica tra verità e potere
31 Gennaio 2014

La tecnica tra verità e potere

 

 

Come giudicare il progresso tecnologico? Un aiuto per l’uomo o un pericolo?
La verità e il bene sono il criterio etico oggettivo a cui la tecnologia deve sottostare.

Da quando Galileo Galilei (1564-1642) ha puntato il cannocchiale sulla luna ad oggi, la tecnica ha fatto enormi progressi accumulando un potere che può essere utilizzato sia per sostenere la promozione e lo sviluppo dell’uomo sia per annientarlo. Di conseguenza l’uomo contemporaneo ha assunto nei confronti della tecnologia un atteggiamento ambivalente: alcuni la considerano espressione di un nuovo umanesimo, luogo di dialogo e di comprensione tra gli uomini, altri la percepiscono come una minaccia, soprattutto a causa delle applicazioni devastanti che ha avuto nel corso del XX secolo.
Sorge perciò naturalmente la domanda: come deve essere giudicato il progresso tecnologico? È un aiuto o uno strumento di distruzione?
Al di là dell’apparente semplicità (la tecnologia riguarda in fondo solo il modo di fare le cose, l’ideazione di soluzioni concrete a problemi concreti), la questione sottintende un nodo culturale complesso.
Lo sviluppo e le applicazioni della tecnica sono sempre influenzati dalla cultura: la tecnica è attenta alla verità e al bene dell’uomo 5010 se la cultura di cui è espressione non ha separato la conoscenza scientifica dalla conoscenza dei valori e della verità, perché quando la scienza si separa dalla metafisica e dall’etica il potere dell’uomo sulla realtà non ha altro criterio che se stesso, e diventa autonomo e assoluto.

Il termine “tecnica” deriva dal sostantivo greco “téchne” che significa “attività”, “arte”.
La tecnica, cioè l’insieme dei procedimenti ideati dall’uomo per dominare la natura, sottometterla ai propri bisogni e conseguire un risultato utile, è, insieme al linguaggio e ai costumi, una delle componenti fondamentali della cultura.
Se l’esistenza e la natura della realtà vengono rispettate, la manipolazione tecnologica non è violenta; il criterio etico oggettivo a cui la tecnologia deve sottostare sono la conoscenza e il rispetto per la verità dell’uomo, che è persona e non può mai essere trattato come cosa, e per la realtà naturale su cui si opera.
Nella cultura classica la dimensione tecnico-scientifica non è in contrasto con quella metafisica ed etica: lo scopo della scienza è la conoscenza della verità. Aristotele (384322 a.c.) divide le scienze in teoretiche, pratiche e poietiche. Le scienze teoretiche, in primo luogo la metafisica, devono perseguire la conoscenza del vero; le scienze pratiche, l’etica e la politica, devono orientare l’agire dell’individuo verso il bene conosciuto e le scienze poietiche, che ricercano la conoscenza per trasformare la realtà, devono essere guidate dalla conoscenza del vero e del bene.
Nell’età moderna viene meno la collaborazione tra le diverse aree del sapere e la scienza si separa dalla conoscenza dei valori: cambia il modo .di pensare il rapporto tra teoria e prassi e cambia la stessa nozione di conoscenza scientifica.
E Francesco Bacone (1561-1626) a teorizzare un diverso rapporto tra teoria e prassi introducendo l’idea che il fine della conoscenza non è la contemplazione (la conoscenza della verità), ma la trasformazione della realtà. Se la scienza non dipende più dalla conoscenza della verità e dei valori, la tecnologia è indipendente dal vero e dal bene e quindi tutto ciò che è tecnicamente possibile diventa anche lecito.
Galileo, uno dei principali autori della rivoluzione scientifica, introduce un’idea di scienza solo quantitativa: negli oggetti bisogna distinguere le qualità primarie dalle qualità secondarie, le prime sono costituite dagli aspetti misurabili dell’oggetto (quelli quantitativi), le seconde dagli aspetti non misurabili (quelli qualitativi).
Il limite di questa nozione di scienza è evidente quando l’oggetto della conoscenza è l’uomo; ad essa infatti sfugge ciò che costituisce la peculiarità della natura umana: l’identità personale, l’autocoscienza, la libertà, tutti aspetti non misurabili né quantificabili.
Con il meccanicismo del Seicento, l’Illuminismo del Settecento e il positivismo dell’Ottocento il modello quantitativo della scienza e il primato della prassi si affermano diffondendo la cattiva utopia dello scientismo tecnologico, che considera l’uomo come infinitamente manipolante e manipolabile.
La scienza e la tecnica iniziano a essere viste come realtà che garantiscono il progresso continuo del benessere materiale e che pongono le condizioni dell’intesa del genere umano. Secondo questa prospettiva, la storia dell’Occidente è stata segnata dalle lotte e dalle divisioni a causa della diversità delle idee religiose e politiche, mentre la tecnologia garantisce l’unità, il dialogo e la comprensione tra gli uomini, grazie al suo linguaggio universale e all’uso di parametri oggettivi comuni a tutti; essendo indifferente ai valori, essa promuove la tolleranza universale, perciò è espressione di un nuovo umanesimo.
Questa visione può essere definita tecnocratica in quanto sottintende l’idea che la tecnica non abbia bisogno della verità per dare vita a una civiltà; l’ideale tecnocratico non si accorge che le divisioni politiche e religiose non dipendono dal fatto che non esiste una verità universale, ma dal fatto che gli uomini non si lasciano conquistare da essa.
L’unità che .nasce dalla tecnica, non solo non prefigura un nuovo umanesimo, ma nasconde il rischio di una gestione incontrollabile e indiscriminata (nel senso proprio di “senza criterio “) del sapere e del potere: se non sono la verità e il bene a guidare l’agire, in base a quali criteri si sceglie? Il problema riguarda i possibili usi violenti della tecnologia sia in senso materiale, sia in senso culturale: in senso materiale, perché nessuno desidera che i treni arrivino in perfetto orario se la loro destinazione è un campo di sterminio; in senso culturale, perché come nell’infinita biblioteca di Babele, descritta in un celebre racconto di Jorge Luis Borges (1899-1986), si trovano tutti i libri possibili, ma si può vagare per anni senza trovare un testo che abbia un senso compiuto, così la tecnologia che permette l’accesso e l’uso di un sapere che ha annullato verità e valori, offre una rete tendenzialmente infinita d’informazioni senza la possibilità di costruire una civiltà.

 

 

 

RICORDA

 

“Quando in Scienza noi scopriamo qualcosa, questo corrisponde ad aprire orizzonti nuovi alle nostre conoscenze. Orizzonti che possono avere due sbocchi applicativi. Uno verso il bene. L’altro verso il male. La tecnologia ha bisogno di principi etici. Scoprire una Legge Fondamentale della Natura vuol dire essere riusciti a decifrare una frase scritta dal Creatore del mondo nel libro che è dinanzi agli occhi di tutti: il Creato: la vera grande scienza non può avere problemi di natura etica in quanto essa nasce dalla volontà creativa di Colui che ha fatto il mondo. Tra fede e scienza, Il Saggiotore, Milano 1999, p. 126).

 

IL TIMONE N. 28 – ANNO V – Novembre/Dicembre 2003 – pag. 26 – 27

 

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