Tra gli aspetti qualificanti l’Inquisizione la tortura, con il rogo, sembra occupare il primo posto nell’immaginario collettivo, a tal punto da coincidere con l’Inquisizione stessa. Complice di questa visione riduttiva e distorta soprattutto una certa pubblicistica. II risultato? Si pensa alla tortura inquisitoriale come ad una delle più crudeli, applicata da monaci sadici davanti a giudici spietati, ovviamente in un ambiente “fra i più suggestivi”.
Le cose sono diverse.
In primo luogo va detto che la tortura era di uso normalissimo nella giustizia dell’antico regime e che i tribunali laici la impiegarono sino al XVIII secolo. Ivi, le pene inflitte (bruciature, frustate, mutilazioni) servivano per punire, interrogare e come deterrente. La tortura, estranea al diritto canonico, è ammessa per la prima volta nell’ordinamento giudiziario della Chiesa da Papa Innocenzo IV, che nel 1252 ne disciplinò rigorosamente l’uso con la bolla Ad extirpanda.
Quali erano i soggetti indispensabili? L’inquisitore, il vescovo del luogo, un medico, un notaio della diocesi – una novità per l’epoca -, con l’obbligo di mettere per iscritto tutte le domande, le risposte, il tipo di torture, etc. e chi (un laico) le eseguiva. Vi si poteva ricorrere se l’accusato durante l’interrogatorio si contraddiceva nelle risposte, quando vi erano gravissimi indizi e se il chiamato a comparire rimaneva contumace, lo scomunicato rimaneva in tale stato per un anno, contro chi favoriva, accoglieva e frequentava gli eretici.
Nel caso di eresia, poi, la tortura era applicabile a tutti, ad eccezione di donne incinte, vecchi e bambini. Per queste ultime due categorie si procedeva a fustigarli con moderazione.
Quanto al tipo di tortura, il più comune era “i tratti di corda”: l’inquisito, con le mani dietro la schiena veniva sollevato più volte in aria con un sistema di carrucole e poi fatto cadere di colpo senza fargli toccare il pavimento. AI massimo per tre volte per seduta, di durata non superiore a 30 minuti, fino al limite di tre sedute, a distanza di giorni l’una dall’altra. Se l’imputato non confessava, era rilasciato; se confessava sotto tortura o in conspectu tormentorum, la confessione doveva confermarçi per iscritto in un secondo tempo, senza tortura. La tortura, da impiegarsi solo come extrema ratia, non doveva procurare ferite, né ledere l’efficienza fisica dell’imputato e poiché erano molti coloro che superavano la prova gli stessi inquisitori non credevano alla sua efficacia probatoria. Cadde in disuso a partire dal XIV secolo. A Tolosa, tra il 1309 e il 1323 furono emanate 636 sentenze inquitoriali, ma la tortura fu utilizzata una sola volta; a Valencia, su 2354 processi celebrati tra il 1478 e il 1530, vi si fece ricorso soltanto in dodici casi. Un’altra leggenda nera da sfatare.
Dossier: Inquisizione: oltre la leggenda nera
IL TIMONE N. 23 – ANNO V – Gennaio/Febbraio 2003 – pag. 42
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