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13.12.2024

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la Tradizione spirituale. Beati i perseguitati per causa della giustizia

la Tradizione spirituale. Beati i perseguitati per causa della giustizia

Beati i perseguitati per amore della giustizia

Gesù ha predetto per i suoi discepoli la persecuzione. Ma ha assicurato a quanti sapranno perseverare in Lui fino alla fine la certezza della vittoria

Siamo giunti al termine del nostro percorso lungo la via delle Beatitudini.
Alla tappa finale che le riassume tutte e che ne precisa e sintetizza ancora una volta il senso e le conseguenze.
Il senso, anzitutto. Una dopo l’altra, esse ci hanno insegnato che cosa occorre fare per seguire davvero Gesù: è necessario farsi poveri, riconoscere e piangere i propri peccati, diventare miti, misericordiosi, puri di cuore, operatori di pace; occorre diventare capaci di porre Dio al di sopra di ogni altro desiderio. Non certo azioni le une slegate dalle altre ma, al contrario, un insieme di comportamenti che tendono verso una meta ultima e comune: realizzare il disegno divino sull’uomo dal quale sgorga anche per noi il massimo della gioia possibile su questa terra.
Disegno divino difficile ma al contempo straordinario. Non lo mediteremo mai a sufficienza.
Quel Dio che ha dato vita all’intera creazione per amore, all’interno di questa ha assegnato all’uomo un posto che ha quasi dell’incredibile, perché lo ha voluto non solo intelligente ma libero e, dunque, capace di interagire coscientemente con chi gli ha dato la vita. Capace, in particolare, di scoprire il destino che lo riguarda e poi di scegliere se aderirvi o meno.
Un destino impensabile a viste umane, se non ci fosse stato rivelato: Dio ci vuole con sé, intimamente legati alla sua vita d’amore, quella che si volge in seno alla Santa Trinità.
Ci ha fin dall’inizio fatti simili a lui. Ma poi ci ha voluto donare ancora di più, farci addirittura salire fino alla posizione di figli. Per colmare l’abisso che divideva pur sempre creatore e creatura, vi ha gettato sopra un ponte: quel Verbo che si è fatto carne in Gesù di Nazareth, quel Dio-Uomo che si è caricato sulle spalle l’umanità tutta, con i suoi limiti e i suoi peccati e che portandola con sé, nell’avventura straordinaria della sua morte e risurrezione, le ha aperto la via per realizzare appunto tale figliolanza divina.
Ebbene, le Beatitudini sono, nel loro complesso, proprio la sintesi di quello che occorre fare per percorrere questa via con sempre maggiore pienezza, fino alla fine.
Il cammino giusto per non deviare in qualche viottolo laterale, oppure per fermarci su qualche piazzola intermedia, scambiandola per la meta. E poiché, come abbiamo visto tappa dopo tappa, esse sono l’antitesi esatta di ciò che comunemente si pensa sia il bene dell’uomo, ci dimostrano che abbracciare tale progetto divino richiede un cambio profondo di mentalità, un abbandono progressivo di quello che si chiama lo spirito del mondo, per operare quella conversione che fa “rinascere dall’alto”.
Ora quest’ultima beatitudine, riassume il tutto ammonendoci di non farci illusioni. Questo processo sarà difficile all’interno di noi perché dovrà poco a poco demolire l’uomo vecchio per dar vita a quello nuovo ma non sarà senza conseguenze anche all’esterno. Lo spirito del mondo ne sarà infastidito e si ribellerà, anche con reazioni violente.
Leggiamo dunque con attenzione le previsioni:
«Beati i perseguitati per causa della giustizia, perché di essi è il regno dei cieli». E ancora: «Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e mentendo, diranno di voi ogni sorta di male contro di voi per causa mia. Rallegratevi ed esultate perché grande è la vostra ricompensa nei cieli. Così infatti hanno perseguitato i profeti prima di voi». Questa è la versione di Matteo (5,10-12). Assai simile quella di Luca il quale, come sappiamo, aggiunge ad ogni beatitudine la maledizione contraria. Eccola in questo caso: «Guai, quando tutti gli uomini diranno bene di voi. Allo stesso modo infatti  facevano i loro padri con i falsi profeti (Lc 6,26)».

Dalle parole di Gesù, che gli evangelisti riportano, capiamo bene che ciò che viene predetto ai veri discepoli non è per nulla una ipotesi remota. È, al contrario, in forma più o meno pesante, una certezza. Una reazione che occorre prima o poi mettere in conto e che tuttavia finisce per avere addirittura una valenza positiva per chi la subisce.
E questo perché la persecuzione, nella sua violenza, che può giungere a minacciarci di privarci di ogni bene, compresa la vita, che si scontra con la nostra debolezza fino al punto di rischiare di farci rinnegare la fede, praticamente ci obbliga, se vogliamo non cedere ad essa, a mettere pienamente in campo le virtù proprie di ogni beatitudine. E la conseguenza non può essere che un abbandono in Dio e una fiducia in lui, e in lui solo, ancor più grandi e totali. È allora quella perfetta letizia di cui parlava san Francesco.
Se avevamo bisogno di convincerci ulteriormente della verità di queste parole, la situazione attuale non manca certo di esempi. Sappiamo bene come il cristianesimo da qualche decennio annoveri martiri ancor più numerosi che nei primi secoli cristiani. Ma anche nel nostro Occidente dove non si è ancora giunti a questo, crollata quella cristianità che aveva garantito per secoli un sostegno ai valori evangelici, si è fatta spazio una mentalità sempre più ostile al cristianesimo, almeno vissuto nella sua integralità. Tanto che, essere cristiani, e soprattutto cattolici, oggi significa spesso essere al centro delle discussioni, additati e denigrati come coloro che non capiscono la modernità e le esigenze che essa comporta. Come persone che sostanzialmente si oppongono a un progresso di civiltà che oggi sembra necessariamente dover andare proprio in senso opposto a quello proclamato dalle Beatitudini.
Eppure, chi ha toccato con mano come ne esca trasformata l’esistenza quando ci si inoltri anche solo un po’ sulla via indicata da Gesù, chi ha avuto il dono di poter sperimentare nella propria vita qualche momento di quella beatitudine che il vangelo garantisce, non potrà mai zittirsi e tacere.
Non potrà farlo perché sa che ciò che egli annuncia e testimonia è quella Verità che ogni uomo attende, anche se a parole lo nega. E che la sua reazione, anche violenta, è solo una disperata difesa.
Del resto sono sintomatiche le parole di Gesù che Matteo pone proprio a chiusura delle Beatitudini: «Voi siete il sale della terra; ma se il sale perdesse il sapore, con che cosa lo si potrà rendere salato? A null’altro serve che ad essere gettato via e calpestato dagli uomini. Voi siete la luce del mondo; non può restare nascosta una città collocata sopra un monte, né si accende una lucerna per metterla sotto il moggio, ma sopra il lucerniere perché faccia luce a tutti quelli che sono nella casa. Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al Padre vostro che è nei cieli (Mt 5,13-16)».
Così, la via che le Beatitudini ci indicano di una profonda trasformazione personale diventa anche e inevitabilmente una testimonianza dell’efficacia del cammino stesso.
Del “sapore” che esso contiene e della “luce” che sprigiona. Sapore e luce che possono anche infastidire sulle prime chi vi si imbatte. Da sempre, fin dai primissimi tempi. Anche Paolo di Tarso ha cercato in tutti i modi di resistervi fino a quando una grazia speciale lo ha piegato e accecato, per poi riaprirgli gli occhi a una luce così grande che l’ha portato a convertirsi fino al punto di poter esclamare: «Non sono più io che vivo, è Cristo che vive in me (Gal 2,20)». Un traguardo che certamente rappresenta il punto di arrivo, lo scopo, il culmine di ogni beatitudine. â–

Il Timone – Dicembre 2014

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