Un rapporto di esperti limita l’obiezione di coscienza per i medici e condanna i Concordati tra Chiesa e singoli Stati. Un attacco che colpisce le fondamenta della società occidentale e spiana la strada a nuove forme di totalitarismo. Il compito dei cattolici.
Obbligo implicito per i medici cattolici di abortire e condanna del Concordato come strumento per regolare i rapporti tra Santa Sede e singoli Stati. È questa l’ultima follia anti-cattolica andata in scena alla Commissione Europea. Lo avevamo detto chiaramente nell’ultimo numero del Timone: è in atto una guerra mondiale contro i cattolici. E subito è arrivata l’ennesima conferma: è stata infatti pubblicata l’Opinione (4/2005) dell’EU Network of Independent Experts on Fundamental Rights (Commissione UE di esperti indipendenti sui diritti fondamentali) sulla bozza di trattato concordatario tra Slovacchia e Santa Sede, che prevede la tutela dell’obiezione di coscienza in materia di aborto per il personale sanitario cattolico.
Dunque, al Parlamento Europeo si solleva il caso del Concordato tra Slovacchia e Santa Sede, si vota per chiedere un’opinione alla Commissione Europea, e questa a sua volta incarica il Network di esperti di dare un giudizio: il 15 dicembre 2005 viene consegnata questa Opinione, un rapporto di 40 pagine in cui si sostiene che il diritto all’obiezione di coscienza – pur legato a un diritto fondamentale quale è la libertà religiosa – «non è illimitato», ovvero «può confliggere con altri diritti ugualmente riconosciuti dal diritto internazionale». In questi casi bisogna trovare «un equilibrio tra queste esigenze conflittuali». L’aborto, riconoscono gli esperti, non è un diritto fondamentale, però è «fondamentale» il diritto alla salute della donna e ci si appella poi alla Convenzione Internazionale contro la Discriminazione delle Donne per sostenere che – laddove l’aborto è legale – l’impossibilità per una donna
di accedere all’aborto sarebbe una forma di discriminazione. Per cui, secondo i giuristi della UE, lo Stato deve garantire anzitutto che ogni donna – «anche nelle aree rurali e più lontane dal centro» – abbia la possibilità di accedere all’aborto; inoltre, il medico obiettore di coscienza deve essere obbligato a informare la donna su altri medici nelle vicinanze che pratichino l’aborto (come a dire: io non posso uccidere ma le dò l’indirizzo di un bravo killer).
Importante postilla: ciò che vale per l’aborto, si deve estendere anche all’eutanasia, alla vendita di contraccettivi nelle farmacie e alla celebrazione dei matrimoni omosessuali.
L’Opinione degli esperti UE vanifica dunque l’istituto dell’obiezione di coscienza e crea un precedente che permette di considerare l’aborto come un diritto umano fondamentale. Non per niente questo pronunciamento è stato salutato con entusiasmo dai maggiori gruppi internazionali che lottano per affermare l’aborto su richiesta come un diritto umano. Tra questi il Center for Reproductive Rights, associazione di giuristi e attivisti pro-aborto finanziata dalle solite grandi fondazioni (Ford, McArthur, Hewlett, Soros e così via), che studia come sovvertire le legislazioni nazionali che limitano l’aborto, e la cui posizione è stata integralmente
ripresa nell’Opinione della UE. Un aspetto interessante – ma sarebbe meglio dire inquietante – della vicenda è il fatto che l’Opinione 4/2005 è stata redatta soltanto dal presidente Olivier De Schutter e dai suoi collaboratori del Centro di Ricerche Interdisciplinari sui Diritti dell’Uomo, che egli dirige all’interno della Nuova Università di Lovanio. E i membri del Network degli esperti (uno per Paese, Bruno Nascimbene
per l’Italia) erano praticamente all’oscuro dei contenuti e del metodo usato. Tanto che lo stesso Nascimbene, insieme a Marta Cartabia – costituzionalista che fa parte del team di esperti che collabora con Nascimbene per il Network – ha espresso pubblico dissenso per il metodo e i contenuti dell’Opinione.
Che uno degli scopi fondamentali dell’Opinione sia colpire la Chiesa cattolica risulta chiaro non solo dal testo ma anche dal fatto che la Commissione Europea abbia deciso di pronunciarsi su una materia in cui non ha competenza. Non solo l’aborto è materia esclusiva dei singoli Stati, ma anche il rapporto tra Stato e Chiesa non rientra tra le attribuzioni dell’Unione Europea.
Se poi passiamo ad esaminare il testo, e limitandoci alle cose più eclatanti, troviamo a pagina 31 l’affermazione secondo cui siccome «il 70% della popolazione slovacca è cattolica, il diritto all’obiezione di coscienza comporta il rischio che le donne non abbiano la possibilità di accedere all’aborto». Qui c’è un ragionamento sottile: ciò che si afferma veramente è che c’è qualcosa di sbagliato nella coscienza dei cattolici, al punto che impedisce l’esercizio di un diritto fondamentale. Così si mettono le basi per la discriminazione di una parte rilevante della popolazione europea, e non è un caso che la proposta di modifica della legge 194, avanzata in Italia dai radicali, vada proprio in questa direzione chiedendo vantaggi di carriera per i medici non obiettori e la limitazione del personale non obiettore negli ospedali.
Tornando all’Opinione, troviamo inoltre che il rapporto stilato dal Network attacca direttamente lo strumento del Concordato, cercando n tal modo di togliere la possibilità alla Chiesa di influire nella società. Un atteggiamento davvero curioso, visto che nella tessa Unione Europea vi sono Paesi dove c’è una “chiesa” di Stato (non cattolica) come nel Regno Unito, in Danimarca o in Grecia.
Insomma, il rapporto preferenziale dello Stato con una religione – secondo gli esperti della Commissione Europea – è da condannare oltanto se la religione è cattolica.
E’ evidente perciò che ci troviamo davanti a una farsa del Diritto o, per meglio dire, a una operazione ideologica che con il Diritto ha poco a che fare. La questione importante da capire è il fatto che quando si colpisce la Chiesa cattolica si mette a rischio la libertà di tutti. Lo ha bene evidenziato il giurista americano Paolo Carozza, docente alla Facoltà di Diritto dell’Università Notre Dame (Indiana, USA) ed esperto di diritti umani internazionali, secondo cui «intaccare la libertà di coscienza mina alle radici il fondamento stesso della civiltà occidentale e pone le premesse per un nuovo totalitarismo». Lo stesso Carozza punta l’indice contro i suoi colleghi perché – dice – «i giuristi, soprattutto quelli cattolici, non possono stare zitti, devono dire la verità, denunciare che questa è una truffa: il silenzio è complicità». Ma la denuncia è solo una parte del compito: «Contro queste burocrazie – dice ancora il giurista americano – sempre più staccate dalla gente e in mano a gruppi che fanno diventare comuni degli interessi molto particolari, è fondamentale porre gesti positivi, proporre esperienze che costruiscono e che si dimostrano più umane. Soltanto un popolo che vive e lavora insieme può vincere questa battaglia».
RICORDA
«La libertà non può essere arbitrarietà, ma ha bisogno dell’ordinamento delle libertà e dell’osservanza delle sue regole. Se così è, segue subito la duplice domanda: chi stabilisce queste regole? E qual è il criterio secondo cui vengono istituite? Alla prima domanda oggi rispondiamo rinviando alla democrazia come forma regolatrice delle libertà, e ciò è giusto. Tuttavia rimane la seconda domanda, perché devono pur esserci dei criteri per il giusto ordinamento delle libertà. Ora, noi diciamo: è la maggioranza che decide. Ma ci possono anche essere maggioranze malate, e il secolo scorso lo ha dimostrato. Ci può essere una maggioranza che decide che una parte della popolazione deve essere sterminata perché ostacola il godimento della propria libertà. Oppure che un popolo confinante deve essere combattuto perché restringe il proprio spazio vitale. Ci sono norme che nessuna maggioranza può abrogare. Così è davvero necessario porre la domanda: quali sono i beni che nessuno può distruggere senza distruggere l’essere umano e in tal modo anche la libertà? La domanda sull’incondizionatamente buono e sull’incondizionatamente malvagio non può essere elusa, se ci deve essere un ordinamento della libertà che sia degno dell’uomo».
(Intervista a Joseph Ratzinger del 2001, ripubblicata da Avvenire l’11 maggio 2005 con il titolo “Filosofi dov’è la verità?”).
BIBLIOGRAFIA