Nel doveroso dialogo con gli abitanti di questo mondo sempre più pagano, il cristiano non può prescindere dalla verità della legge naturale. Che Dio ha dettato nei dieci Comandamenti.
«C'è un diffuso paganesimo». Così si dice oggi, per indicare un atteggiamento etico sempre più dominante in Occidente, un atteggiamento proprio della visione liberal della vita. Come alle origini del cristianesimo, si aggiunge.
Per certi versi è vero. E, tuttavia, occorre non dimenticare un elemento che differenzia assai le due situazioni. Mentre, ai suoi inizi il cristianesimo era il “Dio ignoto” annunciato da Paolo all’Areopago e, dunque, una “novità” sorprendente e affascinante, il nuovo paganesimo che oggi si riaffaccia potente sulla scena occidentale sembra piuttosto l’epigono di ben duemila anni di cristianesimo. Non è un particolare di poco conto ed evidenzia subito una sua caratteristica: quella di nascere “contro”; e una sua finalità: quella di voler scalzare il cristianesimo e in particolare il cattolicesimo, incapace, a suo dire, di far posto alle esigenze della modernità.
Lo scontro, come ben sappiamo, si fa aspro soprattutto sui temi etici che riguardano la vita umana – matrimonio, aborto, eutanasia, omosessualità – dove le due visioni del mondo cozzano inevitabilmente tra di loro e si combattono nel tentativo di trovare soluzioni legislative che regolino la vita della comunità nel suo insieme.
È un processo – questo di una strisciante paganizzazione – che si è svolto con una celerità ben difficilmente prevedibile anche solo qualche decennio fa. Il regime di cristianità che durava da secoli aveva al suo interno dei dissidenti ma nel suo complesso condivideva, almeno formalmente, i valori espressi dal cristianesimo, che ne traeva un indubbio appoggio. Fede e cultura si davano una mano a vicenda. Ora, la situazione si è velocemente capovolta. La cristianità si è dissolta, il dissenso si è allargato sempre più ed è diventato spesso maggioranza.
Il risveglio è stato brusco. Ma la virulenza degli attacchi ha anche smosso la reazione del corpo ecclesiale che si è messo in moto e che – almeno così sembra – sta diventando più lucida e determinata. Così, se non è certo venuto meno l’ottimismo cristiano che guarda al mondo con la speranza che nasce dalla fede, ci si è anche resi conto dei pericoli che vengono dal “mondo”, da una visione della vita e dell’uomo lontana dalla prospettiva evangelica e che rischia di travolgere i credenti stessi.
In questo quadro ognuno di noi è chiamato – con l’aiuto del Magistero – a riflettere per cercare di ben capire e, di conseguenza, per operare giustamente. Diciamo subito che due sembrano le piste emergenti sulle quali incamminarsi con decisione. La prima parte dalla considerazione che credenti e non credenti, cristiani e non, hanno in comune l’umanità e, dunque, intelletto e cuore, ragione e intuizione con le quali possono riflettere sul significato e sul valore dell’esistenza umana cercando di capire ciò che è bene e ciò che è male. È dunque possibile che, confrontandosi tra loro, trovino delle aspirazioni e dei valori comuni. Tutti gli uomini, per esempio, desiderano poter condurre una vita libera dai bisogni primari, che si svolga nel rispetto reciproco e nella pace sociale. Tutti desiderano una vita personale con soddisfacenti rapporti affettivi in cui potere dare e ricevere amore. Ciò è avvenuto nella storia e tuttora avviene per molti aspetti della vita. Ne sono un esempio i temi della pace, della attenzione alla natura, della economia e così via. Pur tuttavia, continuando nel confronto, è inevitabile che, nonostante la buona volontà, ad un certo punto emergano delle differenze anche profonde fra credenti e non credenti. Per attenerci in particolare alla nostra Tradizione, le difficoltà nascono dal fatto che il cristiano parte da una visione sacrale dell’esistenza: il mondo che lo circonda, la vita di cui è portatore ha la sua origine non nel caso ma in un Dio creatore e provvidente che gliel’ha donata.
Un Dio che è per questo – in ogni cosa e, dunque, anche per gli aspetti morali – il suo punto di riferimento essenziale.
Sa inoltre che lo Spirito di questo Dio che gli ha dato l’esistenza continua a lavorare nelle profondità del suo essere, suggerendo alla coscienza ciò che è bene e ciò che è male. Ma è anche consapevole che intuire con chiarezza questa legge naturale che il creatore gli ha posto nel cuore, e che egli condivide con tutti gli altri uomini, non è cosa facile. E questo perché quella libertà e quella ragione che sono il suo vanto, lo espongono continuamente, proprio come a suo tempo i progenitori, al rischio di una scelta sbagliata che lo sospinge non verso un umile ascolto e una amorosa sequela di Colui al quale deve la vita, ma verso la tentazione di una superba e pericolosa autonomia. Proprio come ha scritto Paolo: «… hanno vaneggiato nei loro ragionamenti e si è ottenebrata la loro mente ottusa. Mentre si dichiaravano sapienti sono diventati stolti e hanno cambiato la gloria dell’incorruttibile Dio con l’immagine e la figura dell’uomo corruttibile…» (Rm 1, 21-23).
Ma il cristiano sa anche un’altra e importante cosa. E, cioè, che per aiutare l’uomo ad orientarsi tra i possibili abbagli della ragione e del cuore, Dio gli ha fatto dono di una guida: quei Dieci comandamenti, quella Legge che, dettata sul Sinai molti millenni fa, mantiene intatto tutto il suo valore. Dice sempre Paolo: «Io non ho conosciuto il peccato se non per la legge, né avrei conosciuto la concupiscenza se la legge non avesse detto: Non desiderare»(Rm 7,7).
Quando, dunque, un cristiano è chiamato ad un confronto con un fratello in umanità per decidere quale via scegliere, quale legge decidere, come può ignorare tutto questo suo bagaglio interiore? Un primo sforzo sarà certamente quello di ascoltare esigenze e necessità di tutti, cercando di riportare l’attenzione sul valore di ogni persona umana, sull’importanza di indagare le soluzioni nella prospettiva della legge naturale, sulla necessità di “allargare la ragione”, come sostiene papa Benedetto XVI, aprendola ad un orizzonte più ampio nel quale l’ipotesi-Dio non venga esclusa. Tutto questo certamente sarà un lavoro importante, un dialogo che può aiutare tutti ad approfondire meglio i problemi, intravedendo prospettive nuove. Alla fine, tuttavia, non sembra possa venire tacciato di integralismo o di temerario attentato allo Stato laico colui che, di fronte ad una legge che ritiene contraria ai suoi principi, si rifiuta di sostenerla. Se non lo fa è semplicemente una persona incoerente con se stessa e il proprio credo, anche perché non può ignorare come una legge umana contraria a quella di Dio non potrà portare del bene a nessuno, anche se si ammanta delle vesti della comprensione e della misericordia. Egli si rassegnerà alle dinamiche democratiche se la sua prospettiva si rivelerà di minoranza, ma non per questo cesserà di sostenerla. La Chiesa, infatti, ed egli con essa, è chiamata per sua natura a rapportarsi alla Verità e non al consenso.
Comprensione e misericordia, dicevamo. È tuttavia il punto dolente. È l’accusa più dura che in questi dibattiti sui temi etici viene rivolta ai cattolici: mancate di carità, non capite i bisogni degli uomini d’oggi, vi ostinate su posizioni retrograde. Ci fa molto male. Ma è da ritenere ingiusta. Però essa denuncia un grave problema: questi uomini contemporanei, dopo due millenni di cristianesimo, non solo non conoscono quasi più nulla di Cristo ma gli sono ostili. Dell’Amore che completa la Legge e ci fa liberi, dello Spirito che aiuta la nostra debolezza, della gioia per quella vita divina nella quale ci ha introdotti non hanno spesso neanche più il sospetto. Perché? Che cosa dobbiamo capire? Che cosa possiamo fare? È quella seconda pista cui ho accennato e della quale parleremo la prossima volta.
Ricorda
«… è necessario, nella vita personale e nella vita pubblica, avere il coraggio di dire la verità e di seguirla, di essere liberi rispetto al mondo circostante che tende spesso a imporre i suoi modi di vedere e i comportamenti da adottare».
(Benedetto XVI, Discorsoai membri dell’Accademia delle Scienze Morali e Politiche di Parigi, 12 febbraio 2007).
IL TIMONE – N.62 – ANNO IX – Aprile 2007 pag. 56-57