Il tema della volontà ha un’importanza particolare nella teologia morale,anche se spesso non viene trattato in modo diretto perché sovrapposto a quello della libertà. Invece varrebbe la pena che la scienza morale considerasse meglio la volontà nei suoi meccanismi più profondi, perché ha una funzione centrale nel determinare il comportamento. La libertà è una caratteristica primaria della volontà, ma non s’identifica con quest’ultima.
Cos’è esattamente la volontà? Non è semplice assegnarle una precisa definizione, ma in questo contesto possiamo definirla come il movimento dell’io verso una direzione liberamente scelta. È la volontà che in definitiva sceglie tra il bene e il male, o tra una strada e un’altra: l’uomo è «responsabile dei suoi atti nella misura in cui sono volontari» (CCC 1036). Se riuscissimo a conoscerne a fondo i segreti, non solo psicologici ma anche ontologici, avremmo in mano le chiavi per comprendere meglio le soluzioni del problema morale, con tutti i risvolti costruttivi nel campo dell’educazione di sé e degli altri.
Qual è la vera natura della volontà? Quali sono i suoi fondamenti? In base a quali principi la volontà sceglie una direzione piuttosto che un’altra? Moltissimi educatori o genitori s’interpellano profondamente davanti all’uso talvolta autodistruttivo della volontà. E spesso sono assaliti dal desiderio di poterla in qualche modo pilotare. Ma la volontà umana, per sua natura, non può essere pilotata. Può talvolta essere condizionata, offuscata, ma nelle condizioni naturali di consapevolezza le decisioni ultime vengono comunque prese sempre dall’io del soggetto stesso, e non da chi gli sta intorno. Anche quando, riferendoci a qualcuno, diciamo: “sono riusciti a piegare la sua volontà”, non escludiamo mai questa adesione ultima dell’io, sebbene le pressioni esterne possano essere tali da operare un cedimento della volontà, a cui però non è mai oggettivamente impedito di porre resistenza (e le storie dei martiri ne sono ricche di esempi). La teologia morale arriva perfino a sostenere che nemmeno Dio ha potere sulla volontà dell’io. Ovviamente questo per Sua scelta, in quanto, se così non fosse, cesserebbe all’istante il libero arbitrio, e la creatura non avrebbe più le caratteristiche tipiche della sua natura, e non avremmo più l’io così come lo intendiamo. In tutte le forme di cristianesimo che rifiutano il concetto di predestinazione, l’intero tema della salvezza è indissolubilmente legato a quello del libero arbitrio esercitato dalla volontà. È la Grazia che salva, ma senza mai prescindere dal libero arbitrio, da quel “sì” senza il quale, come dice Agostino, non c’è salvezza. Detto questo, non si dovrebbe però evitare di rispondere alla nostra domanda iniziale: perché l’io sceglie una direzione piuttosto che un’altra? È possibile individuare dei principi? Qui si apre certamente un amplissimo campo di esplorazione e di discussione, che queste righe non hanno la pretesa di esaurire quanto piuttosto di sottoporre alle riflessioni ed agli stimoli di tutti i cercatori di verità. Un primo principio per comprendere meglio i movimenti volitivi dell’io possiamo però indicarlo: l’io si muove verso ciò che guarda. Se la volontà segue una direzione è perché l’ha vista. «L’oggetto scelto è un bene verso il quale la volontà si dirige deliberatamente» (CCC 1751). Ecco quindi una prima cosa che muove o fa muovere la volontà: l’aver visto. La volontà si dirige verso i beni che vede o quelli che, erroneamente, ritiene tali. Adamo scelse il frutto proibito perché lo vide, gli apostoli seguirono Gesù perché lo videro. Da questo pur semplicissimo principio emerge l’enorme funzione morale della conoscenza. Se l’io si volta solo verso ciò che vede, non posso pretendere, per esempio, che una persona segua il Vangelo senza averlo conosciuto o senza leggerlo abitualmente. Né posso pretendere che un figlio mi segua a messa se non ne vede il significato per la sua vita. Solo ciò che entra nel raggio della mia visione, della mia conoscenza, attira l’io. Qui comprendiamo anche il grandissimo ruolo dell’educazione: genitori, scuola, educatori, hanno proprio il compito di “far conoscere”, e quindi di mettere l’io, la volontà, in grado di muoversi. Se ciò che l’io vede proviene solo dalle mediazioni spettacolari del mondo (cinema, TV, pubblicità), non posso evitare che la sua natura fortemente imitativa le segua. La responsabilità educativa non mira a pilotare le volontà, ma a far vedere, nel senso più profondo del termine. Far vedere la Verità.
Un altro principio che oggettivamente muove la volontà è questo: l’io si muove verso la direzione da cui riceve piacere. Anche questa semplicissima regola è molto importante nell’educazione della volontà, propria o degli altri. Innanzitutto perché contiene un esplicito avvertimento a selezionare i diversi tipi di piacere: non tutte le forme di piacere sono allineate alla direzione del bene. Se, una volta iniziata l’esperienza di piacere, non posso più impedire all’io di muoversi verso quella direzione, e non posso più evitare alla volontà di cercarlo, ecco che davvero diventa fondamentale un’accurata scelta delle esperienze, e questo anche prima del loro esercizio (già gli antichi, attraverso la teologia dei sette peccati capitali, comprendevano molto bene i meccanismi che generano il vizio e le schiavitù che ne derivano). Ma lo strumento del piacere può essere anche un ottimo motore per muovere le volontà verso il bene, sia attraverso il principio della gratificazione (la lode muove più del castigo), sia attraverso il principio del piacere superiore (per esempio, abbandono la concupiscenza quando faccio un’esperienza più alta, come quella dell’amore autentico).
IL TIMONE N. 89 – ANNO XII – Gennaio 2010 – pag. 61