Che cosa sono le virtù? Quelle umane devono appartenere ad ogni uomo. Anche ai non credenti. E sono il fondamento delle virtù soprannaturali.
Una ricorrente critica che i non credenti fanno ai cristiani nasce dalla constatazione della incoerenza fra i principi proclamati e i comportamenti pratici: e bisogna riconoscere che molto spesso la critica colpisce nel segno, perché in effetti tanti cristiani predicano bene e razzolano male, o addirittura predicano male e razzolano male (per non parlare di quelli che – oggi numerosissimi – non predicano affatto, dimenticandosi che il principio "vivi e lascia vivere" è radicalmente contrario al mandato imperativo di Cristo, che è diretto a tutti ed è quello di aiutare gli altri a scoprirLo). Si parla allora di atteggiamenti "farisaici", i quali vengono giustamente stigmatizzati, e così finiscono per essere anche un pretesto per attaccare genericamente il cristianesimo in genere.
Il fatto è che non di rado l'edificio della vita cristiana è costruito su fondamenta fragili: mentre le fondamenta davvero solide sono la formazione dottrinale – che invece spesso è insufficiente o traballante – e la formazione umana, che aiuta a vivere in concreto le "virtù umane", cioè, come sono state definite, "quegli abiti morali che l'uomo è tenuto a possedere in quanto uomo, quand'anche non sia cristiano, e che il cristiano eleva all'ordine soprannaturale mediante la grazia" (Alvaro del Portillo): il che significa che presupposto per vivere cristianamente è cercare di essere brave persone già sul piano meramente umano (in quest'ottica il non credente umanamente virtuoso e nobile può definirsi naturaliter christianus, e la fede finirà spesso per coronare una vita onestamente vissuta).
Le virtù umane sono qualità strettamente intrecciate e collegate fra loro, in modo che occorre darsi da fare per conseguirle tutte, e non avrebbe senso, per esempio, sforzarsi per essere leali e sinceri e poi abbandonarsi tranquillamente alla pigrizia e all'ozio. Allo stesso tempo, sono qualità che rendono l'uomo più uomo, e non possono ridursi pertanto a semplici atti occasionali, praticati cioè "quando se ne ha voglia", ma devono diventare, attraverso la volontaria ripetizione e lo sforzo costante, appunto "virtù", ossia – come dice la buona dottrina – abiti operativi buoni, attraverso i quali l'uomo consegue ciò che è davvero bene per lui in quanto uomo.
Non si tratta – si badi – di un'invenzione cristiana, perché le virtù umane sono state in gran parte segnalate e studiate già, per esempio, da Aristotele (secondo il quale il possesso delle virtù consente all'uomo di raggiungere l'eudaimonia, ossia la felicità) e da Cicerone: e san Tommaso le ha solo sistematizzate in una prospettiva cristiana, cioè come imprescindibile fondamento delle virtù soprannaturali. Esse costituiscono dunque non tanto un argomento teorico da studiare, quanto un bagaglio fondamentale dei comuni cristiani per operare nel campo su cui verremo tutti giudicati, che è quello della vita quotidiana: nella quale bisogna quindi sforzarsi di conseguire quella "unità di vita" che ha costituito uno dei fulcri della predicazione di san Josemaria Escrivà, e che è ormai entrata nel patrimonio del Magistero della Chiesa (cfr., per esempio, Lumen gentium, nn. 35 e 43; Apostolicam actuositatem, n. 4; Christifideles laici, nn. 34 e 59).
Cercheremo in questa rubrica, con cadenza irregolare e senza alcuna pretesa di esaustività, di esaminarne qualcuna, soffermandoci sugli aspetti concreti e limitandoci a qualche sottolineatura estremamente pratica, nella speranza di contribuire a quella "battaglia per la formazione" che il Timone combatte fin dal suo primo numero.
BIBLIOGRAFIA
Aristotele, Etica a Nicomaco.
Thtils, Santità cristiana, Paoline, 1970.
San Josemaria Escrivà, Amici di Dio, Ares, 8° ed., 2003.
A. Macintyre, Dopo la virtù, Feltrinelli, 1988.
IL TIMONE N. 38 – ANNO VI – Dicembre 2004 – pag. 47