In quest’anno 2005, nell’entusiasmo e nella commozione legati alle celebrazioni della grande vittoria sul nazismo, la Russia sta riscoprendo (suo malgrado) il cordone ombelicale che ancora la tiene legata alla vecchia Unione Sovietica. Le celebrazioni del 9 maggio, 60° anniversario del trionfo dell’Armata Rossa, sono state l’occasione per un repechage storico che sembrava ormai impossibile: la grande vittoria nazionale è stata vittoria del regime, l’abnegazione dei soldati russi era frutto del comunismo, e infine la potenza dell’Armata Rossa era potenza dell’idea.
Facendo di ogni erba un fascio, l’orgoglio nazionale russo, così spesso umiliato negli ultimi decenni, non si è lasciato sfuggire l’occasione per risollevarsi, anche a costo di accettare un falso sillogismo: l’Unione Sovietica ha sconfitto la Germania nazista, a quel tempo nel paese governava Stalin, quindi la vittoria in guerra è merito suo. Se la Russia ha potuto vincere perché era «sovietica», ben venga anche la nostalgia di Stalin. Ma maltrattando così la logica non si esalta la gloria nazionale, né tanto meno si rende giustizia a quanto di veramente grande e generoso hanno compiuto i soldati russi. In questa riabilitazione postuma del regime molti piani sono andati confusi e molte verità sono state dimenticate.
Prima fra tutte, una verità trascurata che da sola basterebbe ad annichilire qualsiasi nostalgia per l’ideale sovietico: il patto Molotov-Ribbentrop, l’alleanza che per un certo periodo ha legato la Germania nazista all’URSS comunista. Stando ai luoghi comuni politici, le due potenze si trovavano ai poli opposti dello schieramento ideologico ed erano per questo nemiche giurate, inconciliabili; la propaganda sovietica ha sempre battuto molto sul tasto di questo antagonismo morale: il nazismo rappresentava la quintessenza dell’odio antiumano mentre il comunismo incarnava l’amore per l’umanità. E allora come mai l’alleanza?
Una vulgata storica attribuisce in toto alle potenze occidentali la responsabilità di aver spinto l’URSS tra le braccia del suo acerrimo nemico: il patto, magari moralmente condannabile, era stato prodotto dagli errori e dall’anticomunismo di Francia e Inghilterra, che avevano costretto l’URSS a tutelarsi dall’aggressività nazista. Ancor oggi questa versione ha, incredibilmente, dei sostenitori; la si può trovare persino su un sito internet russo (
http://stalinpravda.narod.ru/fan21.html) e, dal canto suo, ancora nel 1992 il Ministero degli esteri della Federazione russa pubblicava il testo del patto Molotov-Ribbentrop depurato dei protocolli segreti [Dokumenty vnesnej politiki, 1939 g. (Documenti di politica estera, anno 1939), ed. Ministerstvo inostrannych del Rossijskoj Federacii, Mosca 1992].
Ma numerosi dati di fatto dimostrano invece che l’avvicinamento alla Germania era in corso da diversi mesi: l’apertura, in aprile, di negoziati segreti con la Germania «per migliorare le relazioni»; la sostituzione del ministro degli esteri Maksim Maksimovic Litvinov (1876-1951), filooccidentale e per di più ebreo, con Molotov, che in un discorso ufficiale auspica migliori rapporti con la Germania; la visita di una missione commerciale sovietica; la firma di un trattato commerciale fra Mosca e Berlino il 19 agosto 1939, proprio mentre sono in corso a Mosca i colloqui con Francia e Inghilterra in vista di una possibile alleanza antinazista; infine il telegramma personale di Stalin a Hitler del 21 agosto in cui si dice pronto all’alleanza.
Un altro concetto mistificato nella retorica delle celebrazioni è l’identificazione tra regime e nazione; in realtà va fatta una distinzione netta. Una cosa fu la gestione del conflitto decisa ai vertici dello Stato, che soffrì di tutte le debolezze intrinseche ai regimi ideologici: fu tardiva e inadeguata, incapace di prendere atto dei fatti reali, più preoccupata di controllare la lealtà ideologica dell’esercito che di fermare il nemico, strategicamente inconsulta tanto da causare un numero spropositato (e inutile) di vittime tra i suoi. Tutta un’altra cosa fu la popolazione sovietica, che nel pericolo immediato riscoprì l’amore per la patria, ritrovò il senso della comunità, lo spirito di sacrificio e persino la libertà d’iniziativa. Alla popolazione va riconosciuto doverosamente il merito, al governo il demerito, le inutili perdite furono semplicemente, come commenta lo storico Shusharin, l’ennesima manifestazione del terrore staliniano, una questione più interna che bellica.
Le perdite umane furono veramente altissime (i calcoli più recenti parlano di 27 milioni di vittime sovietiche), talmente eccessive da essere tenute nascoste dalle fonti ufficiali, anche se poi queste non hanno perso occasione per sbandierare «l’immane sacrificio» come una prova che quella sovietica era stata una giusta causa, e che senza l’URSS l’Europa non sarebbe mai stata liberata dal nazismo. Pur ammettendo che sia stato così, non possiamo tuttavia dimenticare che l’invasione della Polonia, che fece scoppiare il conflitto mondiale, venne in realtà compiuta parallelamente da due paesi, Germania e Unione Sovietica, in base al protocollo segreto del patto Molotov-Ribbentrop.
L’attacco nazista all’URSS del 22 giugno 1941 scompaginò l’alleanza naturale fra le due potenze totalitarie e costrinse l’Unione Sovietica – che fino a quel momento si era comportata sul piano internazionale né più né meno della Germania, invadendo in pochi mesi parte della Polonia, la Finlandia, la Bessarabia, i tre Paesi baltici (Estonia, Lituania, Lettonia), la Bucovina – a stringere un’alleanza spuria con le potenze occidentali. Obbligata a far questo dalle circostanze, cambiò schieramento ma non politica; infatti, già verso la fine del conflitto fu assolutamente chiaro che l’Unione Sovietica aveva intenzione di proseguire la propria espansione in Europa. Il Paese che aveva sopportato forse l’onere maggiore della guerra in Europa in realtà non aveva mai condiviso gli scopi degli alleati occidentali, ma aveva una sua politica di guerra: al principio aveva sostenuto Hitler nella speranza che questi distruggesse le odiose democrazie capitaliste, poi, attaccato a sua volta, aveva combattuto disperatamente per sopravvivere. Ma dopo la sconfitta dei nazisti la sua guerra di autodifesa si era rivelata per quello che era secondo il progetto iniziale, già accarezzato con il patto Molotov-Ribbentrop: una guerra di espansione.
Il Komintern (l’Internazionale Comunista), che era nato nel 1919 in previsione di esportare la rivoluzione in tutto il mondo, venne abolito proprio nel 1943, guarda caso nel momento stesso in cui questa prospettiva passava alla fase realizzativa. L’URSS aveva liberato l’Europa dal nazismo solo per soggiogarla a sua volta.
Fu proprio nelle ultime fasi della guerra e nell’immediato dopoguerra che le vere posizioni si misero in luce fino in fondo, e fu allora che l’instabilità politica in Europa peggiorò, se possibile, ancor di più. Diversamente dai molti che speravano illusoriamente in un’apertura democratica del regime comunista dopo l’esperienza comune della guerra, il filosofo russo emigrato Georgij Fedotov mise tutti di fronte alla cruda realtà, scrivendo nella sua opera del 1947, Il destino degli imperi: «Per ora, sulle rovine e nel caos dell’Europa, incombono due giganti, i due vincitori che la guerra ha portato in alto… La lotta tra i due Imperi è già in atto per via diplomatica, economica, propagandistica… Per l’URSS la guerra continua ancora; la pace non è stata firmata né dovrà esserlo. Stalin si pone evidentemente come l’erede di Hitler, non solo in quella che era la zona di predominio della Germania, ma anche nelle sue pretese. Per la classe dirigente in Russia si tratta di arrivare al predominio mondiale attraverso la conquista e la rivoluzione».
Dunque, l’alleanza tra nazismo e comunismo era stata un’alleanza di elezione tra due totalitarismi che si ponevano, sbandierando valori diversi, lo stesso scopo: la conquista e la spartizione del mondo. Il fatto che questo sodalizio sia andato in crisi (ancora non si sa perché, se per la folle presunzione di Hitler o per prevenire l’attacco di Stalin) è un fatto provvidenziale di cui ancora non apprezziamo abbastanza il valore: «In realtà – ha scritto Dmitrj Shusharin – noi dobbiamo solo ringraziare il cielo che non si sia consolidata l’alleanza tra Stalin e Hitler, che il contrasto fra questi due sistemi criminali, terroristici, nemici della civiltà abbia salvato dall’estinzione la civiltà giudeo-cristiana. E che la guerra abbia lasciato come strascico il socialismo dei carri armati soltanto nell’Europa centrale e dell’est».
Quindi, pur comprendendo la naturale nostalgia della nazione russa per i tempi in cui era «grande e forte», va ricordato che se la vittoria è avvenuta «sotto Stalin», questo non vuol dire «grazie a Stalin». Senza di lui, anzi, la stessa vittoria sarebbe costata meno fatica, e soprattutto meno sangue.
Il patto Molotov-Ribbentrop fu un trattato di non aggressione sottoscritto a Mosca il 23 agosto 1939 dal rappresentante della Germania nazista, il ministro degli esteri Joachim von Ribbentrop (1893-1946), e dal rappresentante dell’Unione Sovietica, il ministro degli esteri Vjaceslav Molotov (1890-1986).
Il patto aveva anche un’appendice non pubblicata, il «protocollo segreto aggiuntivo», che prevedeva la divisione dell’Europa orientale in due sfere di influenza, tedesca e sovietica. Finlandia, Estonia, Lettonia e Bessarabia entravano nella sfera sovietica, mentre la Polonia sarebbe stata divisa. Il 28 settembre un protocollo segreto supplementare cambiò la destinazione della Lituania, che passò alla sfera sovietica.
A questi accordi seguirono immediate azioni militari:
1° settembre 1939: la Germania invade la Polonia;
17 settembre: l’URSS invade la Polonia;
28 settembre: protettorato sovietico sugli Stati baltici;
30 novembre: invasione sovietica della Finlandia;
giugno 1940: l’URSS invade Estonia, Lettonia, Lituania, Bessarabia, Bucovina;
22 giugno 1941: la Germania invade l’URSS.
Michail Geller, Alexandr Nekric, Storia dell’URSS dal 1917 a oggi, Rizzoli, Milano 1984.
Viktor Suvorov, Stalin, Hitler, la rivoluzione bolscevica mondiale, Spirali, Milano 2000.
V. Suvorov, La storia non è quella dei vincitori, in «La Nuova Europa», n. 1, 2001.
Viktor Zaslavsky, Il massacro di Katyn. Il crimine e la menzogna, Ideazione editrice, Roma 1998.
Dmitrj Shusharin, La guerra: a ciascuno il suo, in «La Nuova Europa», n. 3, 2005.
IL TIMONE – N. 44 – ANNO VII – Giugno 2005 – pag. 22-24