Nell’arte delle icone si manifestano la gloria di Dio sul volto di Cristo (Joseph Ratzinger) e la vita celeste dei santi, come meta finale della vita terrena. Anche noi dobbiamo fare della nostra vita un’opera d’arte (Giovanni Paolo II).
Per comprendere il senso profondo della realizzazione delle icone, possiamo soffermarci sulle parole dell’allora Cardinale Ratzinger, pronunciate in occasione del Meeting di Rimini del 2002, nell’incontro dal titolo Il sentimento delle cose, la contemplazione della bellezza: «nell’arte delle icone» l’artista «deve liberarsi dalla mera impressione dei sensi ed in preghiera ed ascesi acquisire una nuova, più profonda capacità di vedere, compiere il passaggio da ciò che è meramente esteriore verso la profondità della realtà, in modo che l’artista veda ciò che i sensi in quanto tali non vedono e ciò che tuttavia nel sensibile appare: lo splendore della gloria di Dio, la gloria di Dio sul volto di Cristo (2Cor 4,6)».
La logica delle icone
Qual è dunque la logica dell’icona? Premetto solo che essa, proprio per la sua forza simbolica, è frutto della preghiera e del digiuno dell’iconografo e che i caratteri del pittore di icone sono: umiltà, mansuetudine, purezza dell’anima e del corpo, digiuno, preghiera e confessione frequente. L’icona esprime figurativamente l’Ineffabilità di Dio e svela contemporaneamente la verità dell’uomo. Endokìmov e Sendler sottolineano come nelle icone si uniscano la povertà del materiale usato e la ricchezza del significato. Basti, per esemplificare, ricordare che la semplicità di un supporto quale una tavola di legno seccata e scavata per ottenere una cornice rimanda ad un significato più profondo: la cornice, che rappresenta il tempo in cui opera l’uomo, racchiude il legno, su cui, poi, si dipingerà l’icona, e questo spazio delimitato rappresenta il tempo di Dio che opera nella vita dell’uomo e si fa a lui incontro.
Giovanni Paolo II nella sua Lettera agli artisti vede l’icona come un ponte tra il visibile e l’invisibile, perché l’icona infatti non è rappresentazione fine a se stessa, ma rinvia al soggetto che rappresenta. Non ci si può dunque fermare agli aspetti esteriori e materiali guardando un’icona. Ci avvertono le parole di Florenkij: «se affermo che la metafisica [il significato spirituale] dell’icona è illusoria, tolgo l’anima all’icona e la rendo meramente sensibile e se parlo della deliberata intenzione della sua tecnica il risultato è lo stesso. Il significato dell’icona è [realizzare] l’Incarnazione» (Le porte regali, p. 173), cioè fare sì che Dio si «materializzi», si incarni, nell’opera d’arte. Così, come dice Florenkij: «gli artisti dell’icona non possono che essere santi», e devono es-sere «tecnicamente abbastanza esperti da saper incarnare la visione celeste e abbastanza istruiti da essere sensibili ai santi suggerimenti».
Gli elementi delle icone
Per comprendere meglio che cosa significhi tutto ciò vediamo, dunque, in breve, come si struttura l’icona. Guardando un’icona che rappresenta l’Ascensione (vedi figura) scorgiamo gli elementi cardine dell’icona:
-La luce e l’oro dello sfondo presenti in tutte le icone sono simbolo dell’eternità. La luce delle icone russe vivifica le cose, plasma le figure e dà loro consistenza e vita. Non è la luce dei quadri dei pittori europei, come Rembrandt, che semplicemente illumina gli oggetti.
-Nella rappresentazione gli occhi dei soggetti guardano fissi in avanti, perché essi vivono ardentemente nella certezza di raggiungere la meta (Cristo). Nell’icona si sottolinea l’im-mobilità dei corpi a favore della mobilità degli occhi, specchio dell’anima; vi è dunque il predominio dello spirito sul corpo. Lo spirito è immerso nell’immobile pace della vita divina, nella quale trova la pace e la sua consolazione.
-Vi è sempre una concezione architettonica, resa formalmente dalla posizione a scala delle figure delle icone, e che rimanda all’idea della Chiesa come comunità e come architettura in cui ogni singola pietra ha valore: i profeti, gli apostoli e i santi raccolti attorno al Salvatore e alla Vergine sono pietre rigettate dagli uomini, ma trasformati in «pietre viventi edificate come edificio spirituale» (1Pt 2, 4-5).
-Quest’idea comunitaria esprime anche un altro concetto: il santo non è considerato nella sua singolarità, ma vive nella comunione dei santi. Tale futura comunità è tuttavia solo simbolica, perché non ancora realizzata: si verificherà nell’al di là.
-L’icona è rappresentazione della lotta del bene contro il male, della belva contro Dio. Trubeckoj (1863-1920), professore all’Università di Kiev e di Mosca, sottolinea questo aspetto partendo dai dati storici che portarono alla realizzazione dell’icona. Quando cominciò l’arte delle icone, la Russia, minacciata dai Tartari e da grandi mali per tutta la sua storia, aveva sì bisogno di mostrare la lotta in cui era stata sempre impegnata, ma, ancor più, attraverso l’icona, gli artisti sentirono l’urgenza di dare un senso al male che accadeva, cercarono di dare un significato positivo al vivere. Gli iconografi con meravigliosa chiarezza e forza incarnarono nelle forme e nei colori ciò che riempiva il loro animo: essi avevano «la visione di una diversa realtà vitale e di una diversa concezione del mondo» (Saggio sull’icona, p. 16), cioè la visione della vita celeste dei santi come meta finale, che dà senso alla vita terrena e che è il premio per chi ha subito e rifiutato il male.
Il significato esistenziale dell’icona
Che cosa dice a noi l’icona? Ci vengono in aiuto le parole di Giovanni Paolo II: «ad ogni uomo è affidato il compito di essere artefice della propria vita, in un certo senso, egli deve farne un’opera d’arte, un capolavoro». Insomma, a noi uomini viene chiesto di realizzare nella nostra esperienza e nella nostra vita ciò che è rappresentato dalle icone: dobbiamo dunque guardare alla Luce che genera; trasfigurare la nostra vita ordinaria, dandole un significato soprannaturale; realizzare un’unione, nella vita umana, tra tempo ordinario ed eternità; vivere nella comunione e nella Chiesa, superando così il nostro individualismo.
A tale esperienza, fatta dagli apostoli sul Tabor, si arriva attraverso la continua conversione del cuore e, come fecero gli stessi apostoli, ripetendo a Cristo: «è bello per noi stare qui».
«Ammirare le icone, e in generale i grandi quadri dell’arte cristiana, ci conduce per una via interiore, una via del superamento di sé e quindi, in questa purificazione dello sguardo, che è una purificazione del cuore, ci rivela la bellezza, o almeno un raggio di essa. Proprio così essa ci pone in rapporto con la forza della verità. Io ho spesso già affermato essere mia convinzione che la vera apologia della fede cristiana, la dimostrazione più convincente della sua verità, contro ogni negazione, sono da un lato i Santi, dall’altro la bellezza che la fede ha generato. Affinché oggi la fede possa crescere dobbiamo condurre noi stessi e gli uomini in cui ci imbattiamo a incontrare i Santi, a entrare in contatto con il bello».
(Joseph Ratzinger, Il sentimento delle cose, la contemplazione della bellezza, Messaggio al Meeting di Rimini 2002).
Bibliografia
Catechismo della Chiesa Cattolica, 1667 ss.
Egon Sendler, L’icona immagine dell’invisibile San Paolo, 2001.
Pàvel Nikolàjevic Endokìmov, Teologia della bellezza. L’arte dell’icona, Paoline, 1984.
Evgenij Nikolaevic Trubechoj, Studio sulle icone, Istituto di propaganda libraria, 1970.
Joseph Ratzinger, Il sentimento delle cose, la contemplazione della bellezza, Messaggio al Meeting di Rimini 2002.
Giovanni Paolo II, Lettera agli artisti, 1999.
Giovanni Paolo II, Messaggio per la XIX giornata mondiale della gioventù (4 aprile 2004).
Pavel Florenkij, Le porte regali, saggio sull’icona, Adelphi,1 1997.
IL TIMONE – N.62 – ANNO IX – Aprile 2007 pag. 54-55