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11.12.2024

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Le insidie dell’idolatria
31 Gennaio 2014

Le insidie dell’idolatria

 

Quanti idoli ci costruiamo o ci propone il mondo. E che anche i credenti acriticamente “adorano”. Contravvenendo al primo comandamento: “Non avrai altri dei di fronte a me”. Che ispira, sorregge, rende possibile l’osservanza di tutti gli altri.

 

 

 

A prima vista si direbbe che l'idolatria, tra le aberrazioni religiose e le insipienze umane, sia di quelle che appartengono ad altre epoche e ad altre culture. Ma non è così. Un po' in tutti i campi dobbiamo fare i conti con molti "idoli", che ci tentano ed esigono da noi un indebito ossequio: nell'esistenza individuale ("idola hominis"), nella società in cui siamo inseriti ("idola saeculi"), nella cristianità dei nostri giorni ("idola christianitatis").
Mette conto di fare un po' di esame di coscienza su questi pericoli non ipotetici della nostra vita spirituale ed ecclesiale.

1. Gli idola hominis

Bisogna convincerci che ciascuno di noi porta dentro di sé una certa propensione all'idolatria, che in sostanza è allergia all'integralità dell'adorazione e dell'amore di Dio. Di fronte alla prescrizione categorica: «con tutto il cuore, con tutta l'anima, con tutte le forze», ci scopriamo ritrosi, evasivi, irrimediabilmente inclini al compromesso.
D'istinto noi tendiamo a far coesistere un po' di devozione, di impegno cultuale, di perbenismo liturgico con l'intangibilità dei nostri interessi e con l'esaltazione dei nostri gusti.
Un Dio che pretende tutto e non accetta di essere secondo a niente e a nessuno, ci spaventa. E allora siamo indotti a costruirci un «Dio a modo nostro», una nostra religione personale (come spesso si sente dire); vale a dire, qualche compiacente divinità (un "idolo", appunto), che non esageri con le richieste e lasci un po' di posto anche alle nostre propensioni più terrene.
A esaminarci bene, quando distribuiamo con calcolo astuto la nostra unica vita tra diverse e spesso opposte attenzioni, meritiamo anche noi l'ironica descrizione che le profezie di Isaia fanno dell'idolatra; egli con metà del tronco si riscalda e si cuoce l'arrosto, con l'altra metà si costruisce una divinità sulla sua misura, che poi venera, adora e prega dicendo: «Salvami, perché tu sei il mio Dio!» (Is 44,16-17).
Talvolta, senza rinnegare il Dio vivo e vero, facciamo passare di contrabbando nel nostro viaggio terreno gli attaccamenti che ci sono più cari. E così ripetiamo la povera furbizia di Rachele, la quale, entrando nella casa di Giacobbe e accettando come proprio il Dio di Israele, ha portato con sé gli idoletti di suo padre, nascondendoli nella sella del suo cammello (Gn 31,19-34).
Di solito gli «idola hominis» nascono dall'enfatizzazione indebita di alcuni «valori», che pure nel disegno di Dio hanno una radicale positività: quali, ad esempio, il senso dell'autoaffermazione e della propria dignità, la necessità di avvalersi dei beni economici e l'istinto della proprietà privata, la funzione provvidenzialmente stimolante dei vari tipi di piacere. Diventano «idoli» quando rompono il disegno originario e assumono un influsso abnorme e preponderante.
È ovvio che non sono uguali per tutti. Ciascuno ha i suoi propri idoletti. Perciò ciascuno deve esaminare la «sella» del proprio cammello e procedere all'opera necessaria della sua purificazione interiore.

2. Gli idola saeculi

Ci limitiamo ad indicare soltanto tre realtà, in sé legittime e positive, che però nel mondo attuale corrono il pericolo di essere assolutizzate e adorate come divinità.
1. Le leggi economiche. La dottrina sociale cristiana da sempre ritiene che esistono delle leggi economiche che non possono essere ignorate con faciloneria demagogica o disprezzate in nome di utopie senza fondamento.
Tuttavia non sono leggi supreme del reale ed esigono di entrare in fruttuosa dialettica con i principi di un giusto umanesimo. La loro osservanza non deve essere spinta fino alla negazione del primato dell'uomo, della norma della sussidiarietà e dell'attenzione alla solidarietà universale.
Sia il capitalismo selvaggio sia le ideologie socialisteggianti (oltre che l'esorbitanza del potere finanziario che dispone a proprio arbitrio delle forze imprenditoriali e produttive) non devono diventare divinità intangibili della convivenza civile e dell'organizzazione politica.
La Centesimus annus parla esplicitamente, per esempio, di una possibile «idolatria del mercato», da condannare, pur avendo riconosciuto che il mercato è un'istituzione sociale giusta e insopprimibile (n. 40).
2. Il sesso. La cultura oggi dominante ritiene il sesso una specie di divinità, un «assoluto» che non sopporta regolazioni né fine intrinseco: non riconosce ragion d'essere oltre il suo stesso esercizio. Ritiene che l'impulso sessuale spieghi tutto il comportamento umano e non abbisogni di ricevere nessuna illuminazione da niente che esista al di fuori di esso. Siamo in presenza di una vera e propria sessuolatria, che ispira e alimenta l'imperversare di una sessuomania quasi patologica.
Ma questa mentalità onnipresente è intrinsecamente menzognera, perché il sesso – che ha in sé una dignità altissima – ha però un'indole essenzialmente relativa: se lo si assolutizza, lo si tradi-sce nel suo significato più vero. Esso infatti è relativo all'amore, del quale deve essere conseguenza e manifestazione; è relativo alla vita, alla cui trasmissione non deve artificialmente precludersi; nel disegno di Dio è addirittura relativo al mistero delle nozze eterne del Figlio del Re con la realtà ecclesiale, della quale è immagine palpitante.
3. I mezzi di comunicazione sociale. Una terza tentazione di idolatria, caratteristica di questo tempo, proviene dall'enorme preponderanza che hanno assunto i mezzi di comunicazione sociale. Si è difatti instaurato un clima in cui si è portati a dare maggiore rilievo alla «notizia» che non all'effettiva consistenza degli avvenimenti.
Si pensa, magari senza una chiara coscienza: se la notizia è vera tanto meglio; tuttavia ciò che oggi importa è che colpisca e che attiri l'attenzione. L'audience diventa così molto più determinante a stabilire una valutazione favorevole, di quanto non sia l'intrinseca qualità di ciò che viene proposto.
Un'immagine assume più spessore della realtà stessa. Chi non si fa mai vedere in televisione è come se non esistesse. Chi si fa vedere spesso in televisione è considerato per ciò stesso un maestro di vita da interrogare e da ascoltare su tutti i temi e su tutti i problemi. E invece non bisogna mai dimenticare che un asino anche se compare cento volte sul teleschermo non diventa un cavallo.
In questo contesto fioriscono quelle particolari forme di idolatria che sono il «divismo», il culto fanatico dei personaggi, la mitizzazione dei protagonisti del teatrino sociale.

3. Gli idola christianitatis

«Il paese è pieno di idoli; adorano l'opera delle proprie mani» (/s 2,8). Il lamento di Isaia serba ancora qualche validità ai nostri giorni.
1. La cronolatria. Un primo idolo è stato indicato da Jacques Maritain quando ha parlato di "cronolatria" o adorazione dell'attualità (Le Paysan de la Garonne, Paris 1966, pp. 25-28). Oggi, quando si vuol condannare una proposizione, non si dice che è falsa o illogica o erra. ta; si dice che è superata, sorpassata, attardata, vecchia. Non conta tanto la verità, quanto la formulazione recente. Pare che le idee, come le uova, per essere apprezzate debbano essere «di giornata».
Quando si vuoi squalificare un teologo si dice che è «fermo al Concilio di Trento»; dove è mirabile il fatto che la riprovazione per il teologo è . espressa non per ciò che, una volta dimostrato, potrebbe costituire una giusta critica (e cioè, ad esempio, per la non consonanza con l'insegnamento del Vaticano II), ma per ciò che, semmai, dovrebbe. costituire un titolo di merito (e cioè la fedeltà ad un magistero solenne che, per quanto antico, resta autorevole e vincolante).
2. La cosmolatria. Mentre nel linguaggio ascetico tradizionale la «fuga dal mondo», la «rinuncia al mondo», il «disprezzo del mondo» sono stati per secoli temi classici, oggi è sempre più diffuso un atteggiamento che, con qualche esagerazione, può essere definito cosmolatrico.
Sembrerebbe che non si sappia che il Nuovo Testamento, se parla di amore divino per il mondo inteso come "umanità da salvare", parla anche di un mondo che non si deve amare (Gv 2,15), perché è una realtà dominata da Satana e avversa all'iniziativa salvifica del Padre. Fa senza dubbio impressione ascoltare oggi certe acritiche celebradel mondo. Di questi tempi uno può impunemente parlare male della Sposa di Cristo senza avere il minimo fastidio ecclesiale; ma se a scrivere due righe "contro il mondo", deve aspettarsi almeno qualche tiratina d'orecchie da parte della nostre riviste pastorali.
3. L'accordo ad ogni costo con tutti. Un altro idolo del nostro è che i cristiani debbano andare d'accordo a qualsiasi costo con tutti. Senza dubbio, evitare le dispute inutili è per i discepoli di Cristo un dovere e al tempo stesso una saggezza. Non però fino alla reticenza sulle verità fondamentali della fede cattolica e fino allo smarrimento della nostra identità.
Basterà guardare a questo proposito quanto sia rovinoso l'uso assolutizzato del principio che «bisogna guardare più a ciò che unisce che non a ciò che divide». Per esempio, se hai la stessa fede nella Trinità, nella redenzione di Cristo, nella vita eterna, è del tutto insipiente litigare come e quando vada cantato l'alleluia. Ma se ciò che ci differenzia è la divinità di Cristo o la sua risurrezione, non è giusto non parlarne per rispetto dei non cristiani e per amore del quieto vivere.

Conclusione. Il comandamento più importante (e il più impegnativo) è il primo: "Non avrai altri dèi di fronte a me" (Dt 6,3). È il comandamento più difficile, ma anche il più necessario: è quello che ispira, sorregge, rende possibile l'osservanza di tutti gli altri.

IL TIMONE – N.39 – ANNO VII – Gennaio 2005 pag. 48 – 49

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