E venne il giorno tanto sospirato delle nozze di Giacobbe con Rachele. «Giacobbe disse a Labano: “Dammi la mia sposa, perché il mio tempo è compiuto e voglio unirmi a lei”. Allora Labano radunò tutti gli uomini del luogo e diede un banchetto.
Ma quando fu sera, egli prese la figlia Lia e la condusse da lui ed egli si unì a lei… Quando fu mattina… ecco era Lia! Allora Giacobbe disse a Labano: “Che mi hai fatto? Non è forse per Rachele che sono stato al tuo servizio? Perché mi hai ingannato?”. Rispose Labano: “Non si usa far così nel nostro paese, dare, cioè, la più piccola prima della maggiore. Finisci questa settimana nuziale, poi ti darò anche quest’altra per il servizio che tu presterai presso di me per altri sette anni”. Giacobbe fece così: terminò la settimana nuziale e allora Labano gli diede in moglie la figlia Rachele… Egli si unì anche a Rachele e amò Rachele più di Lia. Fu ancora al servizio di lui per altri sette anni».
Ma vediamo ora il dramma incredibile che è sotteso alla narrazione delle nozze di Giacobbe. C’è il banchetto nuziale. Rachele, vestita con gli abiti più belli, è sfavillante per la sua bellezza e per la gioia che illumina il suo viso. Giacobbe la contempla con una intensità di amore che in quei sette anni di attesa non è mai venuta meno e che ora si fa trepidante perché quel “tesoro”, per il quale egli ha faticato giorno e notte come pastore di Labano, sta per essere suo.
Un po’ in ombra, la sorella Lia guarda il volto radioso di Rachele e pensa a quella felicità che ella non ha ancora conosciuta. Forse anche Lia è innamorata di Giacobbe, ma è tenuta in disparte e piange sulla sua solitudine. E scende la sera. Le sorelle si ritirano nella loro stanza e, secondo l’usanza di allora, sarà il loro padre a condurre Rachele nella tenda di Giacobbe.
Ed ecco giungere Labano. Rachele si alza in piedi: è pronta a seguirlo. Labano, con un gesto imperioso, la fa stare in disparte. Va diritto da Lia, le ordina di prepararsi e di seguirlo. Rachele sbalordita, esterrefatta e angosciata guarda in silenzio la scena.
Lia deve porsi un lungo velo davanti al viso. Labano la prende per mano e la conduce alla tenda di Giacobbe. Rachele rimane sola. Ella conosce la durezza autoritaria del padre: con lui sarebbe stato inutile, se non pericoloso, proferire anche una sola parola di protesta. Rachele si getta sul suo giaciglio e piange. Pensa che Giacobbe sarà costretto a sposare Lia. Non si può dire la sua disperazione. Il suo pianto è convulso, disperato. Perché questo inganno? Perché questo tradimento?
L’oscurità non permette a Giacobbe di vedere il volto della donna che Labano gli ha condotto.
Egli è certo che quella donna sia Rachele. Quando Labano esce dalla sua tenda, Lia, trepidante e come trasognata per quanto le accade, non pensa né all’inganno di cui è vittima Giacobbe, né alla disperazione di Rachele.
Poteva dire a Giacobbe come erano andate le cose: “non sono io Rachele, mio padre ha voluto così”, e non lo fa. Che cosa sarebbe accaduto? Come avrebbe reagito Giacobbe? Avrebbe osato protestare contro Labano a quell’ora notturna? Egli era pur sempre suo ospite e al suo servizio.
Ma Lia avrebbe dovuto restare in disparte, opporsi a quella unione, pensando alla disperazione della sorella. Avrà pensato che suo padre aveva voluto che fosse lei la sposa di Giacobbe? Allora sarà stata presa da una grande gioia, avrà accettato volentieri quell’inganno. Non era ancora giunto il tempo dell’eroismo cristiano, dell’inderogabile testimonianza della verità, dell’autentico amore fraterno.
Lo sguardo di Giacobbe su di lei al risveglio. Lia aveva taciuto. Il suo sguardo intimidito e timoroso su Giacobbe in quel mattino… Sì, era stato un inganno atroce. Forse entrambi avranno pensato che a Labano, uomo duro e malvagio, non si poteva resistere. Poi, tutto fu svelato.
Ancora una settimana di attesa per Giacobbe. Un gran respiro di sollievo per Rachele. Su Lia, invece, pesa ora la riprovazione di Giacobbe e il silenzio ostile di Rachele. E avrà inizio una rivalità drammatica fra le due sorelle che si placherà solo dopo molti anni. (continua)
IL TIMONE N. 25 – ANNO V – Maggio/Giugno 2003 – pag. 60