Il “vecchio continente” non è un’espressione geografica, ma il frutto di un’identità comune faticosamente conquistata. Genti e culture diversissime si fusero all’ombra della Chiesa. Ecco perché oggi la secolarizzazione minaccia la stessa esistenza dell’Europa.
Continente è sostantivo maschile che fa la sua comparsa nel secolo XVI e che deriva dal latino continens, sottinteso terra, dunque «terra continua», non interrotta, quindi vasto blocco di terra emersa della superficie terrestre, caratterizzato da continuità, separato dagli altri blocchi per mezzo degli oceani. Con questa premessa, l’Europa è un continente a pieno titolo oppure – per dirla con Paul Valéry (1871-1946) – «un piccolo capo del continente asiatico»? Per certo è nome di luogo geografico, correntemente utilizzato per indicare i popoli che vi abitano. Ma la sua caratterizzazione non deriva da oceani circostanti – impossibili da trovare –, ma da tratti permanenti dei suoi abitanti. Fra tali tratti emerge la loro cultura, la loro visione del mondo. Il termine europeenses fa la sua comparsa nel secolo VIII, nella cronaca – redatta nel 769 da un autore ispanico dell’epoca, Isidoro il Giovane o Pacensis – della battaglia di Poitiers, del 732, mentre quello di Europa si presenta nei testi di geografi intesi a descrivere il mondo, ed è termine erudito, riproposto nel secolo XV dall’umanista Enea Silvio Piccolomini (1405-1464), poi Papa Pio II (1458-1464), come formula «laica» per Cristianità: il futuro Pontefice vi parla, infatti, «[…] degli Europei, o degli uomini che godono stima nel nome di Cristo». Contestualmente alla cronaca di Isidoro si viene costituendo tale cultura degli europei, una cultura europea, l’Europa. Lo storico francese dell’educazione Pierre Riché nota: «L’adulto che si occupa di un fanciullo gli trasmette ciò che gli sembra più atto a formarne il corpo, l’intelligenza, la fede religiosa, in funzione di un ideale di vita ben definito. Orbene, tra il V e l’VIII secolo i valori tradizionali sono tutti rimessi in discussione. L’Occidente non conosce un unico tipo di civiltà, ma coesistono parecchie civiltà, che sovente si contrappongono, presentando ai giovani vie molto diverse. Quanti contrasti si rilevano tra l’alunno uscito dalle mani del grammatico romano, e il lettore annesso alla chiesa cattedrale, o il Barbaro cresciuto nell’ambiente del capo, ed il monaco, “oblato” fin dall’infanzia ad un monastero!». La disomogeneità culturale descritta da Riché viene lentamente superata con un’opera di fusione: «E così, dalla testimonianza della storia – nota Papa Benedetto XV (1914-1922) il 23-5-1920 –, abbiamo saputo che i vecchi popoli barbari dell’Europa, dal giorno in cui lo spirito della Chiesa li penetrò, videro colmarsi a poco a poco l’abisso delle mille divergenze che li separavano e placarsi le loro discordie; essi si fusero in una sola società omogenea e ne è nata l’Europa cristiana, che, sotto la guida e gli auspici della Chiesa, conservando la varietà delle nazioni, doveva però tendere a quell’unità che è operatrice di prosperità e di gloria».
Dunque, la società europea, l’Europa, è nata dall’opera universalizzante della Chiesa Cattolica che, applicando la norma dell’inculturazione di sempre, secondo cui – come si legge nella Magna Charta della Nuova Evangelizzazione, il discorso tenuto a Santo Domingo da Papa Giovanni Paolo II (1978-2005) il 12-10-1992 – «non è la cultura la misura del Vangelo, ma Gesù Cristo è la misura di ogni cultura e di ogni vita umana», da una molteplicità di etnie e di apporti culturali, attraverso una lunga e faticosa azione appunto d’inculturazione della fede, cioè di discernimento dei diversi elementi e aspetti della cultura sulla base della fede, ha saputo nel tempo trarre una concordia discors, una società insieme unitaria e diversa. «Questo continente – la ricostruzione dell’itinerario di formazione dell’Europa e d’inculturazione in essa del cristianesimo è dello stesso Papa Giovanni Paolo II in un discorso del 20-5-1985 – è sempre stato un luogo d’incontri, un ampio crocevia in cui popoli si sono spostati, soppiantati o alleati. Dal momento in cui l’Impero romano dà all’Europa la sua prima figura allargandosi a partire dal bacino mediterraneo, l’unità che per un certo tempo essa conosce deriva dal congiungimento di correnti greche e latine, ben presto associate con gli antichi popoli dall’Occidente all’Oriente. In seguito, a prezzo di molte rivalità e conflitti, le entità politiche non cessano di veder cambiare le loro zone d’influenza, specialmente con l’arrivo di popoli differenti, nel corso di quelle che bisogna certamente chiamare ancora le “invasioni”. Al cristianesimo saranno necessari secoli per raggiungere i diversi popoli e contribuire in profondità a far partecipare tante parti diverse alla coesione di un’ispirazione comune, nella complementarietà di Roma e di Bisanzio. Così appare una certa unità di civiltà, grazie a intense correnti di scambi. Si ricordi la feconda azione dei discepoli di san Benedetto, di cui il mio predecessore Paolo VI [1963-1978] diceva che portavano insieme “la croce, il libro e l’aratro” [24-10-1964]. Si ricordi l’azione dei santi Cirillo e Metodio, i missionari partiti da Bisanzio che, portando il cristianesimo ai popoli slavi, ebbero il genio di accettare e di favorire la loro cultura in un felice accordo con la sede di Roma. Queste figure di fondatori possono simboleggiare il lento avvento di uno spirito europeo in uomini che dissodano la terra, costituiscono una cultura, si uniscono in una fede. Noi siamo ancora gli eredi dei lunghi secoli in cui si è formata in Europa una civiltà ispirata dal cristianesimo».
Dello stesso Papa Giovanni Paolo II, in un discorso del 23-2-2002, è la descrizione dell’itinerario di de-formazione dell’Europa: «Purtroppo – afferma il Pontefice –, alla metà dello scorso millennio ha avuto inizio, e dal Settecento in poi si è particolarmente sviluppato, un processo di secolarizzazione che ha preteso di escludere Dio e il cristianesimo da tutte le espressioni della vita umana. «Il punto d’arrivo di tale processo è stato spesso il laicismo e il secolarismo agnostico e ateo, cioè l’esclusione assoluta e totale di Dio e della legge morale naturale da tutti gli ambiti della vita umana. Si è relegata così la religione cristiana entro i confini della vita privata di ciascuno». Aiuta ancora, pro memoria, Valéry: «[…] Kant qui genuit Hegel, qui genuit Marx, qui genuit…», «[…] Kant che ha generato Hegel, che ha generato Marx, che ha generato…». Dunque, attraverso un processo plurisecolare, la società europea si è venuta trasformando da «società coesa» – per utilizzare una formula suggerita da Papa Giovanni Paolo II –, da «societas eiusdem generis», da «società omogenea» – usando l’espressione di Papa Benedetto XV –, in società «disomogenea», cioè «non omogenea» o «malamente omogenea». Ragionando per secoli, per millenni – come per altro suggeriscono sia la natura della Chiesa Cattolica sia la sua storia – Papa Pio XII (1939-1958), il 24 dicembre 1954, si chiede: «Si tratta solo di un momentaneo smarrimento per l’Europa?». E sentenzia: «Ad ogni modo, ciò che deve restare, e senza dubbio resterà, è l’Europa genuina, cioè il complesso di tutti i valori spirituali e civili, che l’Occidente ha accumulato, attingendo alle ricchezze delle singole sue nazioni, per dispensarle all’intero mondo».
BIBLIOGRAFIA
Giovanni Paolo II, Esortazione Apostolica Post-Sinodale «Ecclesia in Europa» su Gesù Cristo, vivente nella sua Chiesa, sorgente di speranza per l’Europa, del 28-6-2003.
Christopher Dawson, Il cristianesimo e la formazione della civiltà occidentale, Rizzoli, 1997.
Giovanni Cantoni, Europa de cultura christiana, in Cristianità. Organo ufficiale di Alleanza Cattolica, anno XXXI, n. 318, Piacenza luglio-agosto 2003, pp. 3-6.
IL TIMONE – N. 58 – ANNO VIII – Dicembre 2006 – pag. 44 – 45