Approvata la Costituzione europea. Escluso ogni riferimento alle radici cristiane del Vecchio Continente. Quest’Europa senz’anima non ci piace.
Meraviglia e fa rabbia che i 25 capi di governo riuniti per il varo della i cosiddetta Costituzione europea : chiamati a scegliere fra il pressante appello a inserire nel preambolo della Costituzione un richiamo alle radici cristiane dell’Europa, proveniente da Giovanni Paolo Il, per comune consenso la più alta autorità morale del mondo, e la stolida opposizione dello screditato (anche fra i suoi compatrioti, a giudicare dai risultati della recente consultazione elettorale) Chirac, rappresentante di una Francia rintronata da un attacco di laicismo demodé, abbiano fatto prevalere la tesi di quest’ultimo.
Poteva accadere soltanto a Bruxelles e con quei protagonisti, salvando i sette della cordata italo-polacca, che si sono battuti per il riconoscimento anche se non avrebbe guastato un briciolo di determinazione in più. Era comunque questo il risultato più probabile in un confronto di basso livello, svoltosi e conclusosi all’insegna dell’ambiguità e sotto l’effetto di consultazioni elettorali che hanno dimostrato come Eurolandia nasca non tanto nell’indifferenza quanto nella diffidenza dei popoli, in particolare degli ultimi ammessi, ancor più degli altri restii a considerare benefica un’ammissione pur tanto esaltata dai loro governanti. In realtà questa sorta di ripudio elettorale poteva anche rappresentare l’occasione di un operoso ravvedimento. AI contrario, la maggioranza dei venticinque protagonisti non ha avuto l’intelligenza di comprendere che per riguadagnare gli entusiasmi e i consensi perduti non bastava la sottoscrizione di un pateracchio al ribasso. Occorreva I invece, ed è mancato, un colpo d’ala capace di trasformare in Europa il malcongegnato corpaccio di una Eurolandia che unisce i difetti di un burocratico centralismo giacobino (sintomo sicuro i 35.000 strapagati in gran parte inutili funzionari europei) e l’inefficienza di un claudicante federalismo.
Molti si sono rallegrati del gran rifiuto, ritenendolo una sconfitta del Papa e di tutti i cristiani, mentre è soltanto la sconfitta di Eurolandia e, purtroppo, dei suoi cittadini (quindi, in quanto tali, tanto nostra che loro, di noi o sconfitti e dei presunti vincitori). Comunque una cosa deve essere chiara: l’Europa, quella nata nei cosiddetti secoli bui del medioevo, tuttora una realtà viva di fede, cultura e aspirazioni, conserva integre le sue radici, che sono appunto, come indica la data di nascita, cristiane e non possono essere cancellate da opportunistici silenzi. Questa Europa – chiamiamola pure l’Europa dei popoli – ha, oltre radici e anima, anche una sua li costituzione, perché, come scrive su Studi Cattolici di a aprile Gianfranco Garancini, “l’Europa una costituzione ce l’ha già e da molti secoli. Basterebbe ascoltare la voce della storia”.
AI contrario, Eurolandia non ha né un’anima, volutaa mente rifiutata insieme alle radici cristiane, né una costituzione. Tale, difatti, non è quella appena sottoscritta dai venticinque capi di governo a Bruxelles, e non a solo perché è probabile che più di una firma sia stata accompagnata dalla consapevolezza (o dalla riserva a mentale) che difficilmente questo testo entrerà in vigore per la probabile mancanza dell’approvazione definitiva da parte di tutti gli interessati specialmente se questa verrà affidata non ai vari parlamenti nazionali, ma, come certamente avverrà in alcuni paesi (speriamo anche in Italia), al popolo attraverso una consultazione referendaria.
Vi è di più. Nonostante che la tambureggiante propaganda dei mass-media, impegnatissimi a celebrare lo storico avvenimento, si sforzi di nasconderlo, la cosiddetta costituzione europea non è, dal punto di vista giuridico-istituzionale, nemmeno una vera costituzione, ma, per precisa scelta dei presunti padri costituenti, un trattato fra Stati o, a tutto concedere, per usare un neologismo creato ad hoc, un trattato costituzionale. Una costituzione, difatti, non è – scrive il già citato Garancini, docente di Storia del diritto all’università statale di Milano, – “un trattato per regolare rapporti fra soggetti che stanno ciascuno nella sua sfera giuridica, ma una generazione – una “costituzione” – di un soggetto giuridico”. Quello appunto che i venticinque capi di governo non volevano e in effetti hanno evitato di realizzare, un risultato di cui a questo punto c’è quasi da rallegrarsi.
Se Eurolandia non ha le radici cristiane di Europa, sono però abbastanza evidenti certe sue ascendenze burocratico-giacobine, che fino ad oggi si erano manifestate soprattutto nella pretesa un po’ comica e in apparenza innocua (solo in apparenza, perché la smania di tutto regolamentare resta comunque sintomo grave) di stabilire la curvatura delle banane e il diametro dei piselli, ma da ultimo, in particolare con l’approvazione del mandato di arresto europeo e altri analoghi progetti in cantiere, hanno assunto un carattere assai più preoccupante e minaccioso.
Fortunatamente qualcuno fra i venticinque deve essersi accorto della natura giacobina di una politica che vorrebbe creare nel continente nuovi spazi di libertà e di giustizia alla Robespierre attraverso l’attenuazione del diritto di difesa e la promozione dell’uso incontro 1lato del tintinnio delle manette, e ha preteso di includere la cooperazione giudiziaria fra le materie soggette al diritto di veto anche di un solo, piccolo Stato.
Infine, Eurolandia, se è destinata a sopravvivere e, come tutti ci auguriamo, a ricongiungersi con l’Europa (questa certamente sopravviverà), dovrà presto o tardi darsi una vera Costituzione. Vi sarà, quindi, ancora tempo e modo per rimediare agli errori, recuperare le aspirazioni e gli entusiasmi dei fondatori e dare un’anima alle sue istituzioni.
RICORDA
“Se ci sarà il referendum voterò contro: il problema non è il preambolo, ma tutta la Costituzione, voluta dalla massoneria internazionale e scritta da quel nazionalista imperialista che è il presidente francese Chirac. Perché non ha messo al centro l’uomo, ma solo i meccanismi che consentono di conservare il potere a un gruppo ristretto” .
(Giorgio Vittadini, in Corriere della Sera, 21 giug no 2004).
IL TIMONE – N. 35 – ANNO VI – Luglio/Agosto 2004 – pag. 16 – 17