15.12.2024

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Le ragioni del perdono
31 Gennaio 2014

Le ragioni del perdono

Può la Chiesa «santa» farsi carico dei peccati dei suoi figli? Anche di quelli passati? Una Giornata del Perdono che ha scandalizzato molti ma purificato una Chiesa che continua a guidare gli uomini verso la salvezza.

«A tutti chiedo perdono». Lette con commozione queste parole del testamento di Giovanni Paolo II, che si riferivano alle sue mancanze personali, ci sono venute in mente le immagini di un vecchio Papa inginocchiato che chiede pubblicamente perdono per le colpe di cui si sono macchiati i figli della Chiesa nel corso della sua storia.
La Giornata del Perdono del 12 marzo 2000 aveva suscitato reazioni discordanti: di entusiasmo, di scandalo e anche di maligna soddisfazione (“non l’avevamo sempre detto che la Chiesa è una specie di associazione per delinquere? Ora lo riconosce anche il Papa…”). Questo Papa ci ha abituato a gesti coraggiosi e quindi rischiosi.
Non crediamo noi che la Chiesa è santa? Si tratta di un punto della nostra fede così importante da costituire un articolo della solenne professione di fede: «Credo la Chiesa una, santa, cattolica e apostolica». Il Papa con questo gesto rischioso e scandaloso ci ha aiutato a non dimenticare che la Chiesa è fatta di uomini e quindi anche di peccatori. Il Concilio Vaticano II ha fatto notare – sulla scia di una lunga tradizione patristica – che tra il mistero del Verbo incarnato e la Chiesa sussiste una «non debole analogia» (Lumen gentium 8), cioè una similitudine molto consistente. Così come in Cristo ci sono due nature, la umana e la divina, anche nella Chiesa ci sono come due aspetti, quello divino e quello umano. Come il Verbo eterno di Dio assumendo la natura umana si è fatto carico dei peccati degli uomini, così continua a fare la Chiesa che si fa carico anche dei peccati dei suoi figli. Si tratta di una similitudine, non di un’assoluta uguaglianza, per cui mentre Gesù si fa carico della natura umana ferita dal peccato assumendo di essa tutto «escluso il peccato» (Eb 4,15), la Chiesa è composta anche di uomini peccatori e il peccato segna quindi spesso la sua vita e offusca la sua bellezza. La Chiesa – finché è in cammino – non è ancora perfetta: «Che la Chiesa sia gloriosa, senza macchia né ruga, – insegna san Tommaso d’Aquino – è lo scopo finale verso cui tendiamo in virtù della passione di Cristo. Ciò si avrà pertanto solo nella patria eterna, e non già nel pellegrinaggio; qui […] ci inganneremmo se dicessimo di non aver alcun peccato» (Summa Theol., III, q. 8, a. 3 ad 2). D’altra parte se la Chiesa ci fa fare – ad ogni Messa festiva – la professione di fede e quindi ci fa confessare la sua santità, ci propone anche ad ogni celebrazione eucaristica un atto di penitenza pubblica: «Confesso a Dio onnipotente e a voi fratelli…». Questa non è una devozione privata, ma un atto liturgico, quindi pubblico, il cui soggetto non è Tizio, Caio o Sempronio, ma tutta quanta la Chiesa.
Ma come è possibile che uomini del XXI secolo chiedano perdono per colpe del passato, anche del più remoto passato, posto che la colpa è strettamente personale? È vero che la colpa riguarda la persona e che non si possono quindi attribuire ai figli le colpe dei padri.
È vero però anche che esiste un certo principio di ereditarietà e di “solidarietà corporativa”, per cui se io cattolico del XXI secolo vado giustamente fiero delle virtù di san Francesco d’Assisi e di tutta l’imponente schiera di santi che nella Chiesa cattolica hanno vissuto e sono morti, in modo tale che le sento quasi come “mie”, debbo però – per la stessa ragione – farmi carico anche dei peccati di tutti quei peccatori che alla stessa Chiesa cattolica hanno appartenuto. Questo poi assume per la Chiesa un significato particolare, perché la Chiesa si presenta con una continuità unica nella storia: oltre che “santa” è “una” in senso sincronico (cioè nella contemporaneità di tutte le diverse componenti che oggi la costituiscono) e anche diacronico (cioè nella sua “mistica” persona che travalica i tempi) e quindi “apostolica”. Si tratta cioè della stessa identica Chiesa che visse, pregò e annunciò il Vangelo al tempo degli apostoli.
Se però la Chiesa ha sbagliato in passato, come posso fidarmi della Chiesa oggi? Qui dobbiamo considerare che l’errore fa parte della vita di ogni uomo. Ma c’è modo e modo di avere a che fare con l’errore. Il mistero della Chiesa è proprio costituito da questo fatto: anche se gli uomini della Chiesa possono peccare e quindi errare – anche ai più alti livelli della gerarchia – essa però nella sua intima essenza è santa e quindi preservata da questo stesso errore. «Le porte degli inferi non prevarranno contro di essa» (Mt 16,18). I suoi dogmi, cioè quelle verità solennemente definite dal suo Magistero straordinario (sia esso del Papa o dei Concili ecumenici) o proclamate come definitive dal suo Magistero ordinario e universale sono sante e quindi infallibili. Se poi l’errore può insinuarsi nel suo insegnamento non infallibile essa è pur sempre assistita dallo Spirito Santo, che è Spirito di verità, per cui l’errore non può trionfare su di lei e in lei ci saranno sempre energie – accompagnate immancabilmente da umiltà e sofferenza – che la condurranno e indurranno con il tempo a superarlo. Tra queste energie dobbiamo riconoscere anche quella che si è tradotta nei gesti di Giovanni Paolo II. Un maestro che sa riconoscere di aver sbagliato è – a ben vedere – molto più autorevole di chi non è disposto per principio ad ammettere le sue debolezze. Uno dei mali più gravi da cui è afflitta l’umanità oggi è quello della pretesa orgogliosa di ricostruirsi in modo perfetto senza tener conto della nativa fragilità umana, cioè del peccato originale. I disastri prodotti dalle ideologie del secolo scorso sono il segno visibile della pericolosità di questo modo di pensare e di agire. Se è vero che non c’è pace senza giustizia, il richiamo ad una giustizia astratta che non tenga conto di come gli uomini concreti sono e vivono nella storia si risolve ultimamente in una tremenda ingiustizia. È stato questo un insegnamento forte di Giovanni Paolo II nel messaggio per la giornata della pace del 2004: non c’è vera giustizia senza perdono! Per insegnare però prima di tutto bisogna fare («Gesù fece e insegnò», At 1,1) e il Papa ha incominciato col dare l’esempio.
La soluzione alla pretesa orgogliosa di una perfezione astratta non è data però dalla rinuncia pura e semplice alla verità. Questo è l’altro grande male dei nostri tempi (forse il più subdolo): la verità non esiste, ognuno ha la “sua” verità. Anche qui la richiesta del perdono si propone come medicina, perché non ha senso chiedere perdono, soprattutto per colpe passate, se non si è convinti che esiste una verità che trascende i tempi.
La Chiesa è “santa” abbiamo detto. “Santo” in ebraico vuol dire “separato” “diverso”. Dio è diverso e separato da ogni altro essere perché in lui vi è la radice dell’essere mentre tutte le creature non “sono” il proprio essere, ma “ce l’hanno”. L’essere di Dio è “amore” (1 Gv 4,8.16) perché le tre divine Persone sono l’una per l’altra. L’amore è dunque il centro del messaggio cristiano e una delle espressioni più elevate dell’amore è il perdono e quindi anche la richiesta di perdono. Chiedendo perdono la Chiesa conferma – per gli uomini di buona volontà – di essere veramente “diversa” e “santa”. Essere e rimanere nella Chiesa non vuol dire esser preservati per il fatto stesso – senza che rimanga decisivo il nostro impegno e il nostro sforzo – da ogni e qualsivoglia errore e peccato; vuol dire piuttosto esser posti in un cammino vero – cioè che va nella giusta direzione – e in cui siamo aiutati a fare della verità la norma ultima e definitiva del nostro pensare e agire.
I dogmi, gli insegnamenti e gli ammonimenti della santa Chiesa sono come i cartelli indicatori di questa direzione: «Conoscerete la verità e la verità vi farà liberi» (Gv 8,32). In un mondo in cui la normalità non è chiedere perdono ma rivendicare con puntiglio e accanimento tutte le proprie vere o presunte ragioni – e il relativismo per cui ciascuno ha “la sua verità” non fa che esasperare questo atteggiamento – la
Chiesa, attraverso il gesto di Giovanni Paolo II, ci è apparsa allora come “diversa”, diversa di quella diversità per cui è “diverso” Dio.

Bibliografia

Giovanni Paolo II, Lettera apostolica Tertio millennio adveniente, 10 novembre 1994
Commissione Teologica Internazionale, Memoria e riconciliazione: la Chiesa e le colpe del passato, 7 marzo 2000.
Georges Cottier, Memoria e pentimento. Il rapporto fra Chiesa santa e cristiani peccatori, San Paolo, 2000.

Dossier: Giovanni Paolo II: punti fermi

IL TIMONE – N. 43 – ANNO VII – Maggio 2005 – pag. 50-51

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