Da un punto di vista pratico l’economia locale dei paesi islamici è una economia primitiva, se comparata con i modelli occidentali, essendo i proventi finanziari della vendita del petrolio, quando c’è, in parte preponderante investiti in Occidente e non localmente, a beneficio dello sviluppo domestico dei Paesi produttori di petrolio o di quelli meno fortunati, pur sempre fratelli islamici, che non ne hanno.
Parleremo pertanto dei principi di economia islamica, più interessanti di quelli di economia reale, riferendoci ai loro testi e cercando di analizzarne il pensiero (Riferimento: Obiettivi di ordine economico islamico. Muhammad Umar Charra – ed. Arthos, Islamic Council of Europe. Per gentile concessione di Giovanni Cantoni).
L’economia islamica odierna è fondata su principi morali coranici, non indirizzati alla coscienza del singolo, essendo le norme morali in economia imposte per legge.
Questa è la principale distinzione dai principi morali dell’ordine naturale cristiano medioevale, cui questi principi appaiono molto simili, come vedremo.
Il Corano invita a perseguire il benessere con lo spirito, altrimenti è amorale. Teoricamente questo invito ricorda lo spirito tomistico cristiano, se fosse liberamente esercitabile, invece è imposto per legge facendone così una assolutizzazione del potere temporale. Mentre il cristiano riconosce a Cesare ciò che è di Cesare, per l’islamico tutto è di Allah. Il Corano non scoraggia la ricchezza e incoraggia il risparmio, ma vieta la tesaurizzazione e l’usura (aggirandola opportunamente per far funzionare in qualche modo il sistema bancario; ricordo che la prima banca islamica nasce solo nel 1974). Il Corano incoraggia persino i consumi, vietando l’avarizia ma anche lo spreco. Promuove la proprietà privata e i commerci, ma vieta la finanza, o meglio la vietava, ora adattandola alle esigenze dei tempi.
L’lslam, di fatto, vuole che il mercato sia regolato da norme morali obbligatorie. Ciò perché il mercato, cioè la domanda e l’offerta, è influenzato dalle scelte viziose degli uomini (pensiamo all’alcool, al sesso, ecc.) e non credendo alla Incarnazione e pertanto alla capacità dell’uomo di esercitare le virtù, l’lslam è certo che il libero mercato vada contro le norme.
Per esempio, la domanda viziata dalle debolezze umane non sarebbe la vera domanda virtuosa che il Corano auspica, ma sarebbe una domanda fatta anche di cose sbagliate o superflue, che incoraggerebbero la loro produzione, falsando conseguentemente l’offerta, i prezzi e provocando sprechi, una concorrenza ingiusta e una iniqua ripartizione delle risorse. E tutto ciò è contro le norme e perciò intollerabile.
Questo spiega anche perché l’Islam disprezza noi occidentali, che queste norme dovremmo condividere, ma non le osserviamo. Il cattolicesimo, che confida nell’uomo che dovrebbe identificarsi con Cristo e santificare ciò che fa, risulta per loro una religione debole, che non impone agli uomini di compiere le norme e perciò salvarsi.
Per questo l’lslam fatica ad adattarsi al progresso e non si limita a vivere nella coscienza dell’individuo e non distingue Chiesa e Stato, per loro Cesare è anche Dio… Così non sono tolleranti, non relazionano con le altre religioni, per loro il Corano è legge, fonte del diritto che vieta e impone, per il bene del fedele.
Ciò implica anche l’esigenza di combattere ciò che è male e difendersi da chi attacca e nel materialismo globalizzato occidentale vedono un attacco ai loro valori.
Come riuscire a conciliare le norme islamiche con il mondo occidentale è ancora una domanda aperta. Potenzialmente la sua integrazione non gestita potrebbe mettere in discussione il sistema capitalistico e persino quello socio-sindacale (che difende i lavoratori per il salario e non per lo spirito).
Se paradossalmente ci conquistassero dovremmo prepararci ad esercitare le virtù per legge, il che di per sé, per il lettore del Timone forse non sarebbe difficile, ma sarebbe piuttosto anticristiano.
IL TIMONE N. 26 – ANNO V – Luglio/Agosto 2003 – pag. 43