Esce un opuscolo sull’ecumenismo della Fraternità San Pio X.
E si fa ancora più faticoso il dialogo tra la Chiesa di Roma e i lefebvriani.
Una conferenza sotto le finestre del Papa, per ribadire un deciso «no» su tutta la linea «ecumenica» del pontificato di Giovanni Paolo II. Un’accusa senza esclusione di colpi, per tacciare addirittura di eresia un cardinale di Santa Romana Chiesa, il tedesco Walter Kasper, presidente del Pontificio consiglio per l’unità dei cristiani, estendendo la stessa accusa, seppure in modo più sfumato ed implicito, anche a papa Wojtyla. Chi pensava che fosse dietro l’angolo il «rientro» della Fraternità San Pio X nella piena comunione della Chiesa cattolica, dopo lo strappo delle ordinazioni episcopali illegittime fatte da monsignor Marcel Lefebvre nel 1988, è destinato a rimanere deluso. I «lefebvriani» restano separati e sono fieri di esserlo ritenendosi l’unico vero baluardo della cattolicità: sembrano non rendersi conto che più passa il tempo e più la loro separazione accentua atteggiamenti settari, tipici dei gruppuscoli che nel corso della storia della Chiesa si sono allontanati da Roma.
Nella Città Eterna, all’Hotel Columbus di via della Conciliazione, lo scorso 2 febbraio, il superiore della Fraternità San Pio X, il vescovo Bernard Fellay, ha tenuto una conferenza stampa di fronte ai giornalisti vaticanisti della stampa e delle tv nazionali e internazionali, presentando un opuscolo intitolato «Dall’ecumenismo all’apostasia silenziosa», dall’eloquente sottotitolo: «Venticinque anni di pontificato». L’idea sottesa al libretto – inviato nelle settimane precedenti a tutti i cardinali – è che il dialogo ecumenico avviato con il Vaticano II abbia innescato una «apostasia silenziosa» (l’espressione, efficacissima, è dello stesso Giovanni Paolo II, tratta dall’esortazione post-sinodale «Ecclesia in Europa», ma il Papa non la riferiva certo all’ecumenismo), che ha portato all’interno della Chiesa cattolica «i germi patogeni del relativismo». Durante la conferenza stampa, questo «errore originale» è stato definito «probabilmente più grave dell’eresia stessa di Martin Lutero».
Come abbiamo detto, il principale obbiettivo del pamphlet lefebvriano è il cardinale Kasper, descritto come colui che «ha demolito le protezioni che difendevano l’identità cattolica, lasciando via libera ad ogni saccheggio». L’accusa rivolta a Kasper è in sostanza quella di cercare accordi con le altre Chiese e comunità ecclesiali, limitandosi a togliere le scomuniche senza identificare e correggere gli errori dottrinali compiuti negli scismi, come se potesse esserci un’altra verità oltre a quella cattolica. «Supplichiamo i cardinali e il Papa di fare quanto è in loro potere – ha detto il vescovo Fellay – affinché il Magistero attuale ritrovi presto il linguaggio multisecolare della Chiesa, secondo il quale l’unità dei cristiani non si può procurare in altro modo che favorendo il ritorno dei dissidenti all’unica vera Chiesa di Cristo, dalla quale precisamente, un giorno, ebbero l’infelice idea di staccarsi».
L’idea di fondo del documento della Fraternità appare piuttosto debole: attribuire all’ecumenismo la crisi della fede è una semplificazione.
Viene criticata l’insistenza con cui si distinguono i confini visibili e quelli invisibili della Chiesa, lasciando intendere che il Concilio insegni che la Chiesa cattolica comprenda soltanto gli elementi visibili e la “Chiesa di Cristo” quelli invisibili. Invece il Vaticano II afferma che l’insieme degli elementi visibili e invisibili formano una sola complessa realtà.
Il documento è zeppo di citazioni tratte dall’enciclica wojtyliana «Ut Unum sint» («Perché siano una sola cosa»), pubblicata nel 1995 da Giovanni Paolo II e dedicata all’ecumenismo. Purtroppo però, i passi riportati e criticati sono selezionati arbitrariamente, spesso omettendo le poche righe precedenti o successive che mettono nella giusta luce affermazioni le quali – una volta estrapolate dal loro contesto – sono suscettibili di critiche. Ad esempio, nel pamphlet vengono omesse le cristalline parole del paragrafo 18 di «Ut Unum sint», dove papa Wojtyla scrive: «Non si tratta in questo contesto di modificare il deposito della fede, di cambiare il significato dei dogmi, di eliminare da essi delle parole essenziali, di adattare la verità ai gusti di un’epoca, di cancellare certi articoli del Credo con il falso pretesto che essi non sono più compresi oggi. L’unità voluta da Dio può realizzarsi soltanto nella comune adesione all’integrità del contenuto della fede rivelata. In materia di fede, il compromesso è in contraddizione con Dio che è Verità. Nel Corpo di Cristo, il quale è “via, verità e vita”, si potrebbe ritenere legittima una riconciliazione attuata a prezzo della verità?».
Notare queste gravi omissioni, che finiscono per far dire al Papa ciò che non ha mai inteso dire, non significa non riconoscere che nel documento della Fraternità San Pio X vi siano osservazioni condivisibili. Non si può infatti disconoscere che certe situazioni assurde – come lo «scisma» lefebvriano – sussistono anche a causa dell’arbitrarietà e dell’imprudenza di certe interpretazioni conciliari di segno opposto proprio in campo liturgico ma anche ecumenico. Interpretazioni che non sono dovute al Concilio Vaticano II. Il problema è dato dal fatto che i lefebvriani non sembrano più in grado di «distinguere». Una cosa, infatti, sono le idee espresse da un cardinale nel corso di una conferenza, altra cosa sono gli atti dottrinali del Magistero. E il Pontificio consiglio per l’unità dei cristiani presieduto da Kasper non produce atti dottrinali, che competono invece al Papa e alla Congregazione per la Dottrina della Fede.
La Santa Sede ha affrontato comunque sul serio questa presa di posizione. Alla conferenza stampa erano infatti presenti tre teologi esperti di ecumenismo incaricati di prendervi parte per ascoltare dalla Congregazione del Clero e dalla Congregazione per la Dottrina della Fede. Siamo in grado di confermare che anche Giovanni Paolo II ha chiesto una copia del documento della Fraternità San Pio X, per poterlo leggere.
Monsignor Fellay, ai giornalisti ha riferito una frase che gli avrebbe detto il cardinale Castrillón: «Non siete eretici né scismatici».
Di questo si fa forte la Fraternità per chiedere, prima di qualsiasi accordo, che Roma tolga le scomuniche, con un atto unilaterale.
Cosa che difficilmente accadrà. Il Vaticano ha già ampiamente dimostrato la sua buona volontà offrendo a una comunità scismatica tradizionalista del Brasile, rientrata nella comunione con Roma, la possibilità di ordinare un nuovo vescovo tradizionalista, di poter continuare a celebrare secondo il messale di San Pio V, di avere un seminario. Lo stesso e anche di più il Papa e Castrillón sarebbero disposti a fare verso la San Pio X, nonostante le forti opposizione interne alla Curia romana e all’episcopato francese. Le scomuniche saranno tolte quando ci sarà l’accordo.
RICORDA
“Riprendendo un’idea che lo stesso Papa Giovanni XXIII aveva espresso in apertura del Concilio, il Decreto sull’ecumenismo menziona il modo di esporre la dottrina tra gli elementi della continua riforma. Non si tratta in questo contesto di modificare il deposito della fede, di cambiare il significato dei dogmi, di eliminare da essi delle parole essenziali, di adattare la verità ai gusti di un’epoca, di cancellare certi articoli del Credo con il falso pretesto che essi non sono più compresi oggi. L’unità voluta da Dio può realizzarsi soltanto nella comune adesione all’integrità del contenuto della fede rivelata. In materia di fede, il compromesso è in contraddizione con Dio che è Verità. Nel Corpo di Cristo, il quale è “via, verità e vita” (Gv 14,6), chi potrebbe ritenere legittima una riconciliazione attuata a prezzo della verità?”.
(Giovanni Paolo II, Lettera enciclica Ut unum sint, 1995, n. 18).
IL TIMONE – N. 32 – ANNO VI – Aprile 2004 – pag. 14 – 15