Cent’anni fa, non ancora dodicenne, Maria Goretti immolava la vita per difendere la sua dignità personale, umana e cristiana. Perdonò il suo aggressore. Migliaia di giovani la conoscono e venerano.
CRONOLOGIA
16 ottobre 1890. Maria Goretti nasce a Corinaldo, diocesi di Senigallia, terza di sette figli. Viene battezzata il giorno dopo.
6 maggio 1900. Muore Luigi Goretti, il babbo di Maria, colpito dalla malaria.
16 giugno 1901. Maria fa la prima Comunione.
5 luglio 1902. Alle ore 15,30, Alessandro Serenelli, dopo avere tentato di abusare di Maria, sempre respinto, la colpisce con 14 colpi di punteruolo, mentre la bambina grida: “No, Alessandro, è peccato; Dio queste cose non le vuole”.
6 luglio 1902. Alle ore 15,45, nell’ospedale di Nettuno, Maria Goretti muore martire della purezza, dopo avere perdonato il suo aggressore. Aveva undici anni, nove mesi e ventuno giorni.
1937. Alessandro Serenelli si reca dalla mamma di Maria e le chiede perdono. La donna risponde: “Eh, vi ha perdonato lei, vi ha perdonato Iddio, vi perdono anch’io”.
25 marzo 1945. Papa Pio XII riconosce il martirio.
27 aprile 1947. Pio XII dichiara beata Maria Goretti.
1 dicembre 1949. Pio XII riconosce autentici due miracoli, operati per intercessione di Maria Goretti.
24 giugno 1950. Pio XII dichiara santa Maria Goretti, in piazza san Pietro, dinanzi alla mamma Assunta, a 4 fratelli e sorelle e a centinaia di migliaia di fedeli di tutto il mondo.
E’stato acutamente osservato che “nella società degli eterni adolescenti, S.Maria Goretti ricorda che ogni età può essere vissuta in pienezza. Non esistono età di passaggio, ogni momento è adatto per mettersi nelle mani di Dio”. E il Papa nel suo messaggio al vescovo di Albano in occasione del centenario del martirio di S. Maria Goretti ha affermato: “È stato giustamente osservato che il martirio di S. Maria Goretti aprì quello che sarebbe stato chiamato il secolo dei martiri. E proprio in tale prospettiva, al termine del Grande Giubileo dell’Anno 2000 ho sottolineato come la viva coscienza penitenziale non ci ha impedito di rendere gloria al Signore per quanto ha operato in tutti i secoli, e in particolare nel secolo che ci siamo lasciati alle spalle, assicurando alla Chiesa una grande schiera di santi e di martiri” (Novo Millennio Ineunte)”. Quale fulgido esempio per la gioventù! La mentalità disimpegnata, che pervade non poca parte della società e della cultura del nostro tempo, fatica talora a comprendere la bellezza e il valore della castità. Dal comportamento di questa giovane santa emerge una percezione alta e nobile delta propria e della altrui dignità, che sì riverberava nelle scelte quotidiane conferendo loro pienezza di senso umano. Non v’è forse in ciò una lezione di grande attualità? Di fronte a una cultura che sopravvaluta la fisicità nei rapporti tra uomo e donna, la Chiesa continua a difendere e a promuovere il valore della sessualità come fattore che investe ogni aspetto della persona e che deve quindi essere vissuto in un atteggiamento interiore di libertà e di reciproco rispetto, alla luce dell’originario disegno di Dio. In tale prospettiva, la persona si scopre destinataria di un dono e chiamata a farsi, a sua volta, dono per l’altro”.
Questo centenario della piccola santa di Nettuno ci ha portato una notizia sconvolgente: sono migliaia e migliaia i giovani, provenienti da ogni parte del mondo, che visitano ogni anno il suo santuario.
Questa santa che la mentalità laicistica, materialista e permissiva, ha sempre considerato con disprezzo (ricordiamo una infame biografia del più becero degli anticlericali italiani Giordano Bruno Guerri in cui la si definiva una psicopatica ignorante e denutrita), rivela una singolare capacità di corrispondenza con molti, moltissimi giovani.
Giovanni Paolo II legge in profondità questa corrispondenza, conoscitore com’è, profondo e raffinato del cuore degli uomini, soprattutto dei giovani.
Davanti ai giovani di oggi sta una grande e radicale sfida, non quella sugli atteggiamenti particolari da assumere (queste sono semmai solo conseguenze), ma sulla concezione ultima della vita, sul senso profondo e quotidiano della esistenza.
Tutta la società e la sua mentalità, così dirompentemente pervasiva attraverso i mezzi della comunicazione sociale, presenta ai giovani la vita come bene di consumo: da possedere e da consumare nella espressione della propria ultima istintività individuale. La personalità è esclusivamente una energia di possesso e quindi di godimento: si possiede e quindi si gode della propria bellezza fisica, dei propri possessi economici, della propria affettività, della propria sessualità. Non c’è spazio per impegni seri e duraturi, con la propria persona e quindi con la realtà. Il rispetto della propria personalità fisica e della personalità dell’altro (la purezza, appunto) è concepito com e un inconveniente, un ostacolo da superare il più rapidamente possibile per l’affermazione piena della propria istintualità.
L’uomo consuma tutto, tutte le occasioni e tutti gli incontri, tutti i rapporti, tutte le conoscenze, ma alla fine l’uomo consuma se stesso.
L’orizzonte del mondo giovanile è singolarmente segnato, in questo periodo, da un senso di ultima inconsistenza, una sorta di nichilismo, che, al di là della conclamata capacità di possesso e di godimento, ultimamente avvlena lo stesso esercizio del possesso e godimento. Molti, troppi giovani sono tristi: e la tristezza è un segno di una profonda, radicale in corrispondenza fra la vita che si vive ed un desiderio che non è mai possibile negare totalmente di una vita vera, secondo la verità ultima con cui è stata pensata e ci è stata donata.
Ecco allora aprirsi davanti ai giovani la grande proposta che, nella Novo Millennio Ineunte, Giovanni Paolo ” ha definito “il radicalismo cristiano”.
La vita deve essere vissuta seguendo la grande esigenza della verità, cioè il desiderio di conoscere il senso ultimo della propria esistenza ed il senso ultimo della realtà: l’origine del nostro esistere e la destinazione del nostro cammino sulla terra.
” desiderio della verità implica necessariamente la scoperta del desiderio del bene e quindi la tensione a vivere la vita non come affermazione egoistica di sé, ma come dedizione incondizionata al Tutto ed alla realtà come segno e parte del Tutto..
La vita non si realizza nell’egoismo, che consuma tutto, ma nell’amore, come capacità del!’ affermazione di Cristo in ogni persona, in ogni realtà, in ogni situazione.
La. carità è la legge profonda della vita: perché Dio, Dio stesso secondo la definizione di S. Giovanni “è carità”. La carità si anima di un rispetto profondo del mistero che è in ogni cosa, rispetto profondo quindi innanzitutto di se stessi, della propria natura, della propria persona, nel rispetto di quella legge profonda di carità che è alla radice della nostra stessa realtà personale.
La purezza, cioè il rispetto attivo della natura profonda e dei ritmi della nostra stessa personalità, nella dimensioni affettive e sessuali, è parte della carità verso Dio e verso se stessi. Così l’amore alla purezza dell’altro è parte di quell’amore al mistero ultimo della sua vita che lo lega indissolubilmente alla presenza di Cristo.
Si capisce la purezza non solo se ci si riferisce alla propria individualità e al peso dei condizionamenti psicologici e sociali, ma se si guarda il mistero della propria vita nel grande e definitivo mistero di Cristo.
È certo una richiesta esigente, ma scaturisce come necessaria conseguenza di una vita che è definitivamente piena ed umana soltanto nell’incontro sconvolgente con la persona di Gesù Cristo.
Ai giovani di oggi è necessario riscoprire radicalmente la strada del Vangelo; certo senza scandalizzarsi della loro fragilità, di quella debolezza che è stata così favorita dalla mentalità dominante. Ma il cammino faticoso e lieto verso la pienezza della propria umanità è possibile anche oggi, e forse non è mai stato atteso come oggi.
RICORDA
“La portarono all’ospedale di Nettuno operandola urgentemente: era gravissima eppure lucida tant’è vero che quando il confessore le domandò se fosse disposta a perdonare, rispose: ..Sì, per amore di Gesù gli perdono e voglio che venga con me in paradiso”. Fu esaudita perché il Serenelli non soltanto si pentì ma dopo l’uscita dal carcere, dove aveva scontato ventisette anni di pena, finì la sua vita nel convento dei Cappuccini di Ascoli Piceno lavorandovi prima come giardiniere poi come portiere”.
(Alfredo Cattabiani, Santi d’Italia, Rizzoli, Milano 1993, p. 692).
IL TIMONE N. 21 – ANNO IV – Settembre/Ottobre 2002 – pag. 44 -46