Lutero non comprese bene san Paolo. Che non intendeva contrapporre la fede alle opere dell’uomo. Piuttosto voleva ricordare che queste ultime nascono dalla fede in Gesù Cristo.
La Lettera di San Paolo ai Romani è uno dei testi più importanti del Nuovo Testamento per capire qualcosa del disegno di salvezza che Dio ha sull'umanità e che suppone la fede da parte dell'uomo.
L'interpretazione di alcuni passi di questa lettera è anche alla base della concezione che Lutero ha della salvezza e della grazia. Particolarmente decisiva per l'elaborazione della sua dottrina fu l'interpretazione di Rm 1,17: «È nel vangelo che si rivela la giustizia di Dio di fede in fede, come sta scritto: il giusto vivrà mediante la fede».
Lo stesso Lutero, un anno prima della sua morte, nella prefazione all'edizione del 1545 delle sue opere, racconta la sua esperienza personale relativa all'interpretazione di questo passo: «Ero stato infiammato dal desiderio di intendere bene un vocabolo adottato nella lettera ai Romani, al capitolo primo, dove è detto: La giustizia di Dio è rivelata nel vangelo: poiché fino allora lo consideravo con terrore. Questa parola "giustizia di Dio" io la odiavo, poiché la consuetudine e l'uso che ne fanno abitualmente tutti i dottori mi avevano insegnato a intenderla filosoficamente. Intendevo la giustizia […] per la quale Dio è giusto e punisce i colpevoli. Nonostante l'irreprensibilità della mia vita di monaco, mi sentivo ancora peccatore davanti a Dio; la mia coscienza era estremamente inquieta, e non avevo alcuna certezza che Dio fosse placato dalle mie opere soddisfattorie. Perciò non amavo quel Dio giusto e vendicatore, anzi, lo odiavo, e se non lo bestemmiavo in segreto, certo mi indignavo e mormoravo contro di lui, dicendo: "Non basta forse che egli ci condanni alla morte eterna a causa del peccato dei nostri padri e che ci faccia subire la severità della sua legge? Bisogna ancora che accresca il nostro tormento con il Vangelo e che anche in quello ci faccia annunciare la sua giustizia e la sua collera?".
Ero fuori di me, tanto era sconvolta la mia coscienza [.. .]. Finalmente Dio ebbe compassione di me. Mentre meditavo giorno e notte e esaminavo la connessione di queste parole: "La giustizia di Dio è rivelata nel vangelo come è scritto: il giusto vivrà per fede", incominciai a comprendere che la giustizia di Dio significa qui la giustizia che Dio dona, e per mezzo della quale il giusto vive, se ha fede. Il senso della frase è dunque questo: il vangelo ci rivela la giustizia di Dio, nella sua misericordia ci giustifica mediante la fede […]. Subito mi sentii rinascere, e mi parve che si spalancassero per me le porte del paradiso. Da allora la Scrittura intera prese per me un significato nuovo».
Lutero, quindi, abbandona la concezione classica della giustizia di Dio, secondo la quale Dio è giusto in quanto partecipa la sua giustizia, cioè la sua santità, all'uomo elevandolo dalla condizione di peccato alla condizione di grazia e trasformandolo interiormente mediante il dono del suo Spirito, sempre che l'uomo cooperi attivamente all'azione salvifica di Dio mediante la fede, la carità e le altre virtù. La «scoperta» di Lutero, invece, ritiene che la salvezza di Dio non è condizionata né dal comportamento morale dell'uomo, né dall'osservanza dei dieci comandamenti, ma dalla sua sola fede fiduciale, cioè nella fiducia certissima nei meriti della morte in croce di Cristo. Perciò, ogni azione umana in ultima analisi è inutile alla salvezza: le opere buone non concorrono positivamente a rendere l'uomo giusto e santo.
Inoltre, tutti quei brani nei quali san Paolo contrappone la fede alle opere, e intende per opere l'osservanza farisaica della legge di Mosè (es. Rm 3,21-24,2728), sono interpretati da Lutero nel senso che tutte le opere non giovano né alla fede né alla salvezza. Però, un'altra lettera del Nuovo Testamento, la Lettera di Giacomo smentisce risolutamente l'intuizione di Lutero: «Che giova fratelli miei, se uno dice di avere la fede ma non ha le opere? Forse che quella fede può salvarlo? Se un fratello o una sorella sono senza vestiti e sprovvisti del cibo quotidiano e uno di voi dice loro "Andatevene in pace, riscaldatevi e saziatevi", ma non date loro il necessario per il corpo, che giova? Così anche la fede: se non ha le opere è morta in se stessa» (Gc 2,14-17). Per questo motivo Lutero avrebbe volentieri bruciato la Lettera di Giacomo e comunque non la considerò un testo ispirato da Dio.
BIBLIOGRAFIA
Roberto Coggi op, Ripensando Lutero, Edizioni Studio Domenicano, 2004.
Dichiarazione congiunta sulla dottrina della giustificazione fra la Chiesa cattolica e la Federazione luterana Mondiale, 31 ottobre 1999.
Bruno Corsani, Lutero e la Bibbia, Queriniana, 2001.
Dossier: San Paolo a duemila anni dalla nascita
IL TIMONE N. 74 – ANNO X – Giugno 2008 – pag. 46