Che cosa insegna la dottrina cattolica riguardo l’Eucaristia? E quando è stato istituito questo Sacramento? Che è il cuore della nostra fede, negato dai riformatori protestanti
Trattare dell’Eucaristia, «fonte e apice di tutta la vita cristiana» (Lumen Gentium 11), significa parlare di ciò che abbiamo di più prezioso e fondamentale nella nostra fede cattolica, il cuore della Chiesa: essa è la presenza reale di Gesù Cristo nella pienezza della sua divinità e della sua umanità, il suo Corpo, Sangue, Anima e Divinità. Nella celebrazione della Messa, infatti, il Sacerdote pronuncia le parole di Gesù nell’Ultima Cena sul pane e sul vino che diventano il Corpo e Sangue di Cristo, farmaco d’immortalità e pegno della gloria futura.
Il beato Giovanni Paolo II (1978-2005), con commozione e riconoscenza, nella sua enciclica del 2003 dedicata all’Eucaristia, Ecclesia de Eucharistia – La Chiesa vive dell’Eucaristia –, scriveva: «L’Eucaristia, presenza salvifica di Gesù nella comunità dei fedeli e suo nutrimento spirituale, è quanto di più prezioso la Chiesa possa avere nel suo cammino nella storia» (n.9); e ancora «con intimo trasporto», come il Papa allora si esprimeva, aggiunge: «Qui c’è il tesoro della Chiesa, il cuore del mondo, il pegno del traguardo a cui ciascun uomo, anche inconsapevolmente, anela» (n.59).
Come nasce questo Sacramento?
Il pane e il vino sono offerti, nell’Antico Testamento, come sacrificio e primizie della terra donate al Creatore. Nella persona misteriosa di Melchisedek, re di Salem e sacerdote del Dio altissimo, che offrì pane e vino (cf. Gen 14,18), la Chiesa vede un’immagine della sua propria offerta per il sacrificio della Messa. Questi elementi del pane e del vino, frutto della bontà di Dio e del lavoro dell’uomo, ricevono poi un nuovo senso: i pani azzimi della Pasqua ebraica (cf. Es 12; Dt 16,1-8) e la manna dell’Esodo (cf. Es 16), che commemorano la fretta della partenza liberatrice dall’Egitto e il ricordo che Israele vive sempre del pane della Parola di Dio (cf. Dt 8,3), prefigurano l’abbondanza e la benedizione del pane che, insieme alla benedizione del calice del vino, assume nell’istituzione dell’Eucaristia in Cristo un nuovo e definitivo significato (cf. CCC 1334).
Nel Nuovo Testamento, l’Eucaristia è prefigurata anche nei miracoli della moltiplicazione dei pani e dei pesci fatti da Gesù (cf. Mt 14,13-21; 15,32-39) e, nell’acqua trasformata in vino a Cana di Galilea (cf. Gv 2), si annunzia il compimento del banchetto delle nozze nel Regno del Padre, dove i fedeli berranno il vino nuovo (cf. Mc 14,25) divenuto il Sangue di Cristo (cf. CCC 1335).
Gesù ha istituito l’Eucaristia nel Cenacolo a Gerusalemme, alla vigilia della sua passione, mentre celebrava la Pasqua con i suoi discepoli. I Vangeli sinottici, insieme a san Paolo, ci trasmettono il racconto dell’istituzione, mentre il Vangelo di Giovanni lo prepara con il discorso di Cafarnao sul pane di vita (cf. Gv 6) e lo sostituisce con la narrazione della lavanda dei piedi nell’Ultima Cena (cf. Gv 13,1-20). In Luca leggiamo: «Quando venne l’ora, prese posto a tavola e gli apostoli con lui, e disse loro: “Ho tanto desiderato mangiare questa Pasqua con voi, prima della mia passione, perché io vi dico: non la mangerò più, finché essa non si compia nel regno di Dio”… Poi prese il pane, rese grazie, lo spezzò e lo diede loro dicendo: “Questo è il mio corpo, che è dato per voi; fate questo in memoria di me”. E, dopo aver cenato, fece lo stesso con il calice dicendo: “Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue, che è versato per voi”» (Lc 22,14-20) [cf. Mt 26,17-29; Mc 14,12-25; 1Cor 11,23-26]. Queste parole e questi gesti di Gesù sono il compimento definitivo delle sue promesse e anticipazione del suo sacrificio sul Calvario, che sarà rinnovato e reso presente in ogni Messa: «Celebrando l’ultima Cena con i suoi Apostoli durante un banchetto pasquale, Gesù ha dato alla pasqua ebraica il suo significato definitivo. Infatti, la nuova Pasqua, il passaggio di Gesù al Padre attraverso la sua Morte e la sua Risurrezione, è anticipata nella Cena e celebrata nell’Eucaristia, che porta a compimento la pasqua ebraica e anticipa la pasqua finale della Chiesa nella gloria del Regno» (CCC 1340). Gesù nega ogni interpretazione simbolica dell’eucaristia affermando che la sua carne è vero cibo e il suo sangue vera bevanda (cf. Gv 6,55) e rivela la finalità ultima del sacramento che è l’unione con Lui, essendo noi trasformati in membra vive del suo Corpo.
Il Concilio di Trento.
La transustanziazione La Chiesa ha approfondito nella storia la dottrina sull’Eucaristia, che è il tesoro da adorare e preservare, e ha specificato, apportando un notevole contributo alla chiarificazione teologica della fede, la sua dottrina nel Concilio di Trento (1545-1563), dove fornì una risposta cattolica alle questioni sollevate da Martin Lutero (1483-1546) e dai riformatori protestanti. Il Concilio non intese fare una rielaborazione sistematica di tutti gli aspetti della dottrina e disciplina eucaristica, ma si occupò di essa in due fasi, nel 1551 e nel 1562, in tre diverse sessioni, attraverso un Decreto di otto capitoli.
Trento ribadì anzitutto la «presenza reale » di Cristo nell’Eucaristia: «Dopo la consacrazione del pane e del vino, il nostro Signore Gesù Cristo, vero Dio e vero uomo, è contenuto veramente, realmente e sostanzialmente (canone 1: vere, realiter et substantialiter) sotto l’apparenza di quelle cose sensibili » (Sessione XIII, Decreto sul santissimo sacramento dell’Eucaristia, 1). La presenza reale del Corpo e Sangue di Cristo nelle specie del pane e del vino permane anche dopo la celebrazione. In questo modo il Concilio respinge le tesi protestanti di Giovanni Calvino (1509-1564), che parlava di presenza solo spirituale, di Filippo Melantone (1497-1560), che ammetteva la presenza reale solo al momento della comunione, e di Martin Lutero, che limitava la presenza reale alla celebrazione (dalla consacrazione alla comunione).
La trasformazione del pane e del vino nel corpo e sangue di Cristo, che si opera in forza delle parole della consacrazione durante la Messa, è sostanziale per cui è chiamata transustanziazione, alla luce delle categorie filosofiche di sostanza e accidenti (quest’ultime, proprietà non essenziali). Il significato della parola transustanziazione, è spiegato dal Concilio sempre nel Decreto della Sessione XIII: «…attraverso la consacrazione del pane e del vino si compie la trasformazione di tutta la sostanza del pane nella sostanza del corpo di Cristo nostro Signore, e di tutta la sostanza del vino nella sostanza del suo sangue». Mentre la sostanza, quindi, è totalmente convertita, gli accidenti del pane e del vino (le specie eucaristiche) rimangono invariati nelle loro qualità e apparenza.
La Teologia riformata
Radicalmente diversa è la posizione all’interno del movimento della Riforma che ebbe, tra gli esponenti più in vista, oltre a Martin Lutero, Giovanni Calvino e Filippo Melantone, anche Huldrych Zwingli (1484-1531). Essi non furono in grado di recuperare positivamente tutta la ricchezza insita nel mistero eucaristico e finirono per impoverirlo e addirittura negarlo del tutto, con l’aggravante della divisione del corpo ecclesiale.
In Lutero, il più rappresentativo dei riformatori, la dottrina della transustanziazione, come accennato, è la seconda cattività in cui i teologi cattolici hanno “costretto” il sacramento eucaristico. Egli non negava tuttavia la presenza reale di Cristo nel pane e nel vino, ma solo fino alla comunione (in usu), mentre dopo di essa le ostie avanzate tornano a essere semplice pane. Affermava in pratica la teoria della “consustanziazione”, cioè la natura fisica degli elementi del pane e del vino rimane immutata pur diventando anche sostanza del Corpo e Sangue di Cristo. Non avviene, cioè, la totale conversione della sostanza del pane e del vino nella sostanza del Corpo e Sangue di Cristo. La prima cattività, in cui la teologia cattolica avrebbe “rinchiuso” l’Eucaristia, era il diritto di restituzione ai laici della comunione sotto le due specie del pane e del vino, mentre la terza cattività era la concezione della Messa come sacrificio. I riformatori, infatti, negavano il carattere sacrificale della Messa per affermare l’unicità del sacrificio di Cristo. La passione di Cristo sulla croce è un vero sacrificio, mentre la Messa non ha relazione con il Calvario essendo solo promessa della remissione dei peccati e testamento di Cristo alla Chiesa. Lutero affermava che bisognava ritornare a considerare la Messa nel suo aspetto conviviale – la santa Cena – in cui tutti sono invitati a partecipare cibandosi del corpo e sangue di Cristo per fare comunione tra noi e lui. Cristo ha istituito l’eucaristia come sacramento e non come sacrificio, cioè l’ha istituita per darsi a noi nella promessa del perdono dei peccati e comunicandoci la sua grazia, e non per ricevere da noi la nostra opera buona, l’offerta di un sacrificio.
La risposta puntuale e precisa del Concilio ai riformatori è sintetizzata all’interno del Catechismo della Chiesa Cattolica, dove leggiamo: «Il sacrificio di Cristo e il sacrificio dell’Eucaristia sono un unico sacrificio: “Si tratta infatti di una sola e identica vittima e lo stesso Gesù la offre ora per il ministero dei sacerdoti, egli che un giorno offrì se stesso sulla croce: diverso è solo il modo di offrirsi”» (n.1367). Diverso, quindi, è solo il modo dell’offerta: cruento il modo di Cristo, sacramentale il modo della Chiesa, ma ciò non significa simbolico ma vero sacrificio, reale ed efficace. Il sacramento, infatti, è segno efficace della grazia che contiene. Tutto questo significa che la Messa è sacrificio e convivio insieme e i due aspetti non vanno disgiunti (cf. anche: Giovanni Paolo II, Ecclesia de Eucharistia, 12-13, sul concetto di «sacrificio»). Ancora, il Catechismo recita: «La presenza eucaristica di Cristo ha inizio al momento della consacrazione e continua finché sussistono le specie eucaristiche. Cristo è tutto e integro presente in ciascuna specie e in ciascuna sua parte; perciò la frazione del pane non divide Cristo» (n.1377). È così ribadita la dottrina della transustanziazione e la permanenza della conversione della sostanza del pane e del vino in Corpo e Sangue di Cristo anche dopo la comunione. Il Catechismo poi aggiunge: «Il modo della presenza di Cristo sotto le specie eucaristiche è unico. Esso pone l’Eucaristia al di sopra di tutti i sacramenti e ne fa “quasi il coronamento della vita spirituale e il fine al quale tendono tutti i sacramenti” [San Tommaso d’Aquino, Summa theologiae, III, 73, 3]» (CCC 1374).
Certamente, è difficile esaurire a parole la ricchezza infinita dell’Eucaristia, perché contiene la stessa Persona di Cristo, quindi è inesauribile e ineffabile. Possiamo balbettare qualcosa di questo mistero, ma soprattutto possiamo e dobbiamo adorarLo e ringraziarLo, come fece il beato Giovanni Paolo II al termine della sua enciclica: «Se di fronte a questo Mistero la ragione sperimenta i suoi limiti, il cuore illuminato dalla grazia dello Spirito Santo intuisce bene come atteggiarsi, inabissandosi nell’adorazione e in un amore senza limiti… “Bone pastor, panis vere, Iesu, nostri miserere…”» (Ecclesia de Eucharistia, 62).
Per saperne di più…
Catechismo Chiesa Cattolica (CCC): nn. 1322-1419.
Giovanni Paolo II, Enciclica Ecclesia de Eucharistia, 17 aprile 2003.
Padre Livio Fanzaga, La fame di Dio. Meditazioni sull’Eucaristia, Sugarco, 2011.
IL TIMONE N. 127 – ANNO XV – Novembre 2013 – pag. 36 – 38
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