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11.12.2024

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L’Europa contro gli europei
31 Gennaio 2014

L’Europa contro gli europei

L’Ungheria vara una nuova Costituzione che riconosce le proprie radici cristiane e difende vita e famiglia. E subito si scatena una offensiva mediatica di denigrazione. Così come per un partito finlandese che difende la propria cultura. Su questa battaglia si gioca il nostro futuro


 
 
 
L’Europa sembra proprio aver dichiarato guerra agli europei, ovvero ai popoli che la compongono e che ne sono la ragion d’essere. Per Europa non intendiamo soltanto le istituzioni dell’Unione Europea, ma anche quella elite di intellettuali, organizzazioni non governative e singoli governi, che si ritengono depositarie di un non meglio identificato “spirito europeo”, che spesso e volentieri cozza con il sentire comune dei diversi popoli.
Se ne è avuta una recente prova con l’approvazione della nuova Costituzione ungherese, ma qualche giorno prima anche con i sorprendenti risultati delle elezioni politiche in Finlandia.
Che cosa è dunque successo in Ungheria? Una maggioranza schiacciante in Parlamento, in aprile ha approvato la nuova Costituzione che sostituisce finalmente quella comunista del 1949. Sarebbe dovuta essere occasione di festa, in fondo in Ungheria era ancora vigente l’ultima Costituzione risalente addirittura al periodo stalinista. E invece intellettuali e opinionisti si sono lanciati in un attacco ad alzo zero contro il “nuovo corso” ungherese, accusato di autoritarismo, sciovinismo, intolleranza, omofobia, discriminazione e, in fondo, estraneità ai valori europei. Ma quali sarebbero questi presunti “valori europei”? Basta guardare alle critiche: Corriere della Sera, Amnesty International, socialisti e liberaldemocratici dell’Europarlamento hanno protestato in coro perché un articolo della Costituzione metterebbe in pericolo il diritto delle donne all’aborto legale: «La vita del feto sarà protetta dal momento del concepimento », dice la nuova Costituzione, ma ricalca quello che era già scritto nel precedente testo e che pure non ha impedito che dal 1953 l’aborto fosse legale con il risultato di milioni di aborti (tuttora se ne registrano 40mila l’anno contro 90mila nascite). Peraltro il vero problema dell’Ungheria è la diminuzione della popolazione, con un tasso di fertilità che si mantiene tra i più bassi d’Europa, 1.3 figli per donna. Di per sé l’articolo della Costituzione non può automaticamente far rivedere la legge che legalizza l’aborto, ma il governo intende promuovere un’educazione alla vita, e lo sta già facendo anche attraverso una campagna pubblicitaria, invitando ad esempio le donne in difficoltà a dare in adozione i figli piuttosto che abortirli. Ma per gli “illuminati” di Bruxelles non serve una legge, basta l’ipotetica possibilità che un giorno ci si possa arrivare per far scattare l’allarme.
Altro capo d’imputazione è la presunta omofobia della Costituzione, laddove recita: «L’Ungheria proteggerà l’istituzione del matrimonio inteso come l’unione coniugale di un uomo e di una donna”. In altre parole, sostenere che la famiglia è solo quella fondata sul matrimonio tra uomo e donna, per certe elite è una discriminazione intollerabile.
Così come intollerabile è la rivendicazione della propria identità cristiana: «Noi siamo orgogliosi del fatto che mille anni fa il nostro re, Santo Stefano, ha fondato lo stato ungherese su solide fondamenta, e reso il nostro paese parte dell’Europa cristiana. (…) Riconosciamo il ruolo che il cristianesimo ha svolto nella conservazione della nostra nazione». Peraltro proprio questa rivendicazione dell’identità è il fondamento di tutte le libertà, sancite come segue: «Rispettiamo tutte le tradizioni religiose del nostro paese. (…)
Ognuno avrà diritto alla libertà di pensiero, di coscienza e di religione. Questo diritto darà a ciascuno la possibilità di scegliere liberamente o cambiare la propria religione e convinzione, a manifestarla o ad astenersi dal manifestarla, a praticare o insegnare la propria religione e credo attraverso atti e cerimonie religiose, o in qualunque altro modo». Il nodo è proprio qui, è su questo che fu combattuta a suo tempo la battaglia per la Costituzione europea. Ed è qui tutta la distanza che separa Bruxelles dai popoli dell’Europa reale. Il caso Ungheria svela il progetto elitario che anima le istituzioni dell’Unione Europea, decise a “fare gli europei” dopo aver fatto l’Europa, e sempre che l’Europa non si disfi prima. Si tratta però di un progetto violento che, anziché rispettare e valorizzare la cultura comune e le specificità di ogni popolo, cerca di negarle con forza, ricorrendo alla menzogna e alla presentazione distorta dei fatti per manipolare l’opinione pubblica.
È quello che è accaduto anche nell’altro caso emblematico che citavamo all’inizio, il successo elettorale in Finlandia del piccolo partito nazionalista de “I veri finlandesi” (Sannfinlandarna) che, alle elezioni politiche svoltesi in aprile ha conquistato il 19% dei voti, terzo partito ad appena un soffio dai socialdemocratici (19,1% dei voti). Ovviamente è stato descritto come un partito di destra, xenofobo, estremista, anti-europeista, così come il suo leader Timo Soini. Ma “I veri finlandesi” e Timo Soini non hanno niente a che vedere con le formazioni xenofobe e anti-europeiste che pure in altri paesi europei stanno incrementando i consensi. Timo Soini è un cattolico, cosa rilevante se si considera che in tutta la Finlandia i cattolici non sono più di 10mila , che gode della fiducia anche di protestanti, musulmani ed ebrei che vedono con ostilità il tentativo di imporre alla Finlandia “mode” culturali che le sono estranee, quali appunto i matrimoni e le adozioni gay. È questa l’Europa che non piace a tanti popoli che pure si sentono europei, così come – è il caso de “I veri finlandesi” – l’idea di dover pagare il dissesto finanziario di altri paesi per la loro condotta poco avveduta.
La questione è che i “valori” che le forze che dominano a Bruxelles vorrebbero imporre a tutti i paesi europei non sono affatto condivisi né dai popoli né dai singoli governi: i matrimoni gay, ad esempio, sono riconosciuti solo da sette paesi, eppure si pretende di imporli a Ungheria e altri come se fossero un patrimonio culturale condiviso. La stessa cosa per l’aborto, che seppure legalizzato in quasi tutti i paesi dell’Unione, in nessun modo può essere considerato un diritto fondamentale (a norma di diritto internazionale), come le solite commissioni Ue invece pretenderebbero.
L’esempio del governo ungherese e dell’elettorato finlandese sono dunque il segnale di speranza di un’Europa che, valorizzando la tradizione, è capace di progettare un futuro. Ma è anche un invito a seguire il loro esempio risvegliandoci da quel torpore che ci fa accogliere con rassegnazione quanto imposto da Bruxelles e superando quel complesso di inferiorità di cui la classe politica fa ampio sfoggio ogni volta che si finisce sotto una certa offensiva ideologica.
 
 
 
 
 

 

IL TIMONE  N. 104 – ANNO XIII – Giugno 2011 – pag. 18 – 19

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